Barocco politichese
Per la serie “Facciamoci del male”: lo stupefacente editoriale del dellaiano Alessandro Dalla Torre.
Il tema - il cosiddetto "partito territoriale", ultima trovata di Lorenzo Dellai - è senza dubbio piuttosto astratto. Vogliamo dire: trattare quell’argomento non è come raccontare la ricetta dei canederli; qualche parola difficile, qualche contorsione sintattica è pressoché inevitabile. Questo giornale, oltre tutto, non è proprio "popolare": gli stessi nostri lettori, nel piccolo sondaggio che effettuammo lo scorso anno, dissero che ci considerano un giornale alquanto élitario. E dunque, non ci appartiene affatto la demagogia populista contro chi "parla difficile". Ma ohibò, c’è un limite a tutto; un limite assolutamente superato da un articolo di Alessandro Dalla Torre, giovane politico dellaiano, che sulla prima pagina dell’Adige del 13 luglio ci spiega le mille meraviglie del "partito territoriale" o "casa dei trentini" che dir si voglia. Qui non vogliamo entrare nel merito politico della questione (già criticamente affrontata - Casa, o caserma dei trentini?- da Renato Ballardini sul numero scorso): ci limitiamo, come solitamente ci piace fare, a considerare i modi della comunicazione politica.
Dalla Torre avvia il suo ragionamento con una prima illustrazione della proposta del suo leader: "La Lista Civica ‘Margherita’, progetto positivamente ispirato dal cambiamento di fase in corso, ha colto in questa occasione l’opportunità di coniugare due - ormai ineludibili - esigenze: aggiornare e riqualificare l’apparato interpretativo - ‘software’ - che ispira il sistema e la natura delle politiche provinciali, e riconfigurare il sistema di governo e della rappresentanza politico-istituzionale - ‘hardware’ - nelle sue molteplici articolazioni e manifestazioni".
Quindi difende il progetto di Dellai dalle critiche che vedono nella "casa dei trentini" un rischio di chiusura localistica; e lo fa con queste parole: "Non esiste nessun riferimento a retoriche etniche o localiste. Al contrario. Il territorio in questa prospettiva, prima della sua "fisicità" rileva come sistema cognitivo, come insieme di saperi locali, come "cifra" intorno alla quale "fare progetto". E "fare progetto" nel contesto prospettato in premessa, significa appunto attitudine a selezionare ed investire su politiche in grado di affrontare la sfida della pressione globale e l’inesorabile competizione tra sistemi territoriali".
Ne volete ancora?
"Alimentare una riflessione sul futuro del Trentino accettando la dialettica tra locale e globale dentro un’opzione territoriale e rifiutando, nel contempo, la residualità di apparati ideologici messi a presidio di una rappresentazione del mondo che non regge più la comprensione della complessità insita nella modernità, può, dunque, aiutare ad emancipare l’attuale dibattito sullo sviluppo e sull’identità locale della contrapposizione di posizioni che si stanno rivelando conservatrici e parziali".
A questo punto, Dalla Torre bacchetta sarcasticamente "le arcigne argomentazioni della confraternita pauperista locale", per poi lanciarsi nella volata finale: "In un contesto alpino come il nostro, elaborare questa politica attraverso una seria riflessione sul territorio consentirà di esorcizzarne le proiezioni regressive recuperando alla sfera dei bisogni effettivi e dei nuovi diritti di cittadinanza il necessario aggiornamento delle ormai logore tradizioni politiche europee. (...) Il presidio democratico ad una positiva evoluzione della dimensione politica dell’Unione Europea passa - nel cuore delle Alpi - attraverso un’opzione etica dove i principi devono essere fortemente ancorati alla responsabilità di governo e delle scelte. Ma queste scelte non possono tardare". Con il che l’articolo si conclude.
Che dire? Qualcuno in redazione, lasciandosi vincere dal qualunquismo che una tale prosa inevitabilmente induce, parla di aria fritta, di fumo sparso per nascondere il nulla. A nostro avviso non è così. L’articolo - che avremmo voluto riprodurre nella sua interezza per far capire che non abbiamo malignamente estrapolato alcune frasi "sfortunate" - non è incomprensibile, non si basa su un lessico particolarmente prezioso: è però un linguaggio stupefacente nella sua omogenea innaturalezza, nel suo barocchismo burocratico, in quello scoppiettante susseguirsi di leziosità politichesi, di stucchevoli figurine retoriche che richiedono dal lettore una continua concentrazione, che l’argomentare di Dalla Torre, francamente, non merita.
Ma al di là del fatto estetico, questo intervento ci pare l’atto autolesionistico di un politico proprio nel momento in cui il continuo crescere dell’astensionismo elettorale richiederebbe che gli uomini pubblici, quando manifestano il proprio pensiero, prestassero un po’ più di attenzione alla concretezza, per cercar d’invertire quella pericolosa tendenza.
Personalmente, poiché si dice che la forma sia anche sostanza, devo dire che una persona che si esprime in quel modo mi fa paura, perché lo percepisco assolutamente come un alieno.