La Margherita, fra il dire e il fare
Il Congresso del partito del Presidente: dubbi e malessere da una parte, sicumera del potere dall’altra. Un partito consapevole della necessità del riformismo; ma che non riesce a tradurla in pratica.
“Chi c’è oggi vicino alle famiglie trentine? – si domandava retoricamente la signora Lorenza Iori – "I consiglieri provinciali" – si rispondeva, con una buona dose di ottimismo. E proseguiva ammonendo: "Voi consiglieri fate scudo attorno al Presidente e agli Assessori. Per garantire un futuro di dignità - e attenzione, dico dignità, non successo - alle famiglie; che oggi stentano ad arrivare a fine mese. Per esempio: la sanità. Ma siamo sicuri che stiamo andando nella direzione giusta? E nelle politiche sociali? E quando...".
Questo intervento, tanto appassionato quanto sconclusionato, è parso a tanti emblematico del congresso della Margherita. Pieno di passione, gonfio di orgoglio di partito; eppure altrettanto denso di dubbi capitali. Un alternarsi di delega totale, aprioristica, e al contempo di radicata sfiducia: l’imperativo categorico "Dobbiamo sostenere il partito e il Presidente Lorenzo Dellai" a fianco del dubbio radicale: "Stanno facendo le cose giuste?".
E’ stato il congresso del malessere questo tenutosi il 7 novembre; e al contempo il congresso della forza, della sicumera del potere. Quando la signora Iori scendeva dal podio, Dellai, da consumato navigatore della politica, l’abbracciava e baciava; e poi nel proprio intervento la citava più volte, "come ha giustamente detto Lorenza…", fino alla melensaggine; ma nella sostanza tirava dritto per la sua strada e, nei fatti, ai dubbi rispondeva con un richiamo all’obbedienza.
Il congresso del malessere, dicevamo, che serpeggiava tra le righe di diversi interventi e che si era espresso in posizioni definite. Quella di Mario Magnani, presidente del Consiglio Regionale, che aveva osato mettere in dubbio la reale consistenza delle 5.000 tessere; e difatti nella sala della Cooperazione erano presenti solo tre/quattrocento persone (meno della metà di quelle che, poche settimane prima, erano venute a sostenere l’avvio della corsa di Remo Andreolli come candidato segretario dei DS).
C’era la posizione alternativa del consigliere Claudio Molinari, espressa in tre tesi e repressa sul nascere: a Molinari si diceva che avrebbe potuto illustrarle, forse, nel tardo pomeriggio. E a lui non restava che ritirarsi in buon ordine.
C’era la bella mozione dei giovani della Margherita, che fustigava la "fossilizzazione nel cosiddetto centrismo immobile che difende lo status quo, consolida il potere, non ha il coraggio delle riforme". E c’era la mozione del consigliere Giorgio Viganò sul "modello di sviluppo sostenibile" su cui torneremo.
Ma c’erano soprattutto le condizioni esterne. Gli alleati sempre più recalcitranti: i Verdi, irritati per le insistenze sulla PiRuBi, rafforzati dalla presenza del consigliere Bombarda, meno decisi a fare da zerbino come nella scorsa legislatura; i DS in perenne fibrillazione, sconclusionata eppur incombente (ed è lo stesso partito che pochi anni orsono osannava "Dellai nostro leader"!); gli autonomisti più quieti, ma solo finché soddisfatti delle briciole che gli si lascia.
E soprattutto c’era la società trentina, che rispetto a Dellai si è disincantata, come aveva dimostrato la durissima, delegittimante opposizione alle pastette sui costi della politica (vedi La crisi dei privilegi sul numero scorso). La pazienza verso un partito e un leader presentatisi e votati come riformatori, ma che poco riescono a combinare, era ormai al limite. Anche perché ormai premevano sempre più pesanti i condizionamenti esterni: la globalizzazione, la delocalizzazione, l’euro, la stretta alle risorse…
In questo contesto il partito di maggioranza, che faceva?
La relazione del segretario uscente ed entrante Mauro Betta aveva un pregio indubbio: sgombrava il campo dai giochetti e tatticismi politici, e senza ambiguità schierava la Margherita all’interno dell’area di centro-sinistra. "Una Margherita coraggiosa, riformista e non conservatrice" come da titolo della relativa mozione, non offre spiragli al centro-destra: il feeling Dellai-Malossini, gli inciuci con Forza Italia (peraltro sponsorizzati dall’assessore all’asfalto Silvano Grisenti, qui sconfitto) sembrano proprio tramontati, dopo il disastroso approdo degli accordi sottobanco per i soldi alla politica.
E le difficoltà dentro la coalizione? Ci sono, ammetteva Betta, "ma non possono essere motivo per rinunciare a un’alleanza che consideriamo strategica: per motivi culturali prima ancora che di convenienza politica".
Le riforme sono "imprescindibili", per la Margherita e per il Trentino; e le riforme si fanno con la sinistra, non con la destra. Molto bene. E’ un taglio netto ai giochetti e alle ambiguità.
Ma non basta. Come si spiegano il malessere, le fibrillazioni, la scarsa operatività, lo strisciante discredito? Quali i motivi di fondo? E come ci si rimedia? Su questo Betta tace.
"Non è vero – ci risponde – Propongo uno ‘statuto della coalizione’, per gestire al meglio la discussione e i meccanismi decisionali dentro la maggioranza".
A noi sembra poca cosa. Si pensa di risolvere con meccanismi istituzional-burocratici il problema di fondo: le motivazioni di un governo e di un’alleanza. E difatti gli alleati, timorosi di venire schiacciati in tale meccanismo (né più né meno di quello che succede ai dissidenti dentro la Margherita) la proposta l’hanno subito lasciata cadere.
I problemi infatti sono di altra natura. Per spiegarci, riprendiamo la mozione di Giorgio Viganò sul modello di sviluppo,che mette in campo tutta una serie di considerazioni sull’uso delle risorse, e le conseguenti responsabilità verso le future generazioni e verso l’insieme del pianeta. Viganò però, come la maggior parte del mondo ambientalista, rimane fermo al dato "negativo", alla necessità di limitare i danni. Mentre invece le prospettive sono ad un altro livello. Con l’ingresso, entro pochi lustri, della Cina e dell’India fra le nazioni pienamente sviluppate e fortemente consumiste, si pone il problema di riorientare l’intero sistema produttivo secondo metodiche e procedure rigorosamente ecologiche. E’ l’imminente sfida che si apre al capitalismo e alla tecnologia: produrre non di meno (come ingenuamente vorrebbero i pauperisti), ma in maniera radicalmente diversa, assumendo le compatibilità ecologiche come dato del problema, né più né meno come a inizio ‘900 si dovettero assumere i diritti, di orario e salario, dei lavoratori.
Ora, in questo nuovo corso, il Trentino come si colloca? Intende porsi all’avanguardia o rimanere indietro? Avanzare verso il nuovo o difendere, finché si può, il vecchio?
Perché indubbi sono gli investimenti della giunta Dellai in università e ricerca. Ottimo l’intento dell’assessore Salvatori per lo sviluppo di un distretto per la bioedilizia. Però il tema investe l’insieme della comunità, e implica scelte non indolori. Per rimanere agli argomenti oggetto di recenti polemiche: si punta sulle autostrade o sulle ferrovie? Sugli impianti di risalita o sull’ecoturismo? Sull’incenerimento dei rifiuti o sul riciclo/riuso?
Il punto è che la Margherita sembra avere come referenti gli attuali attori del mondo economico, anzi tra essi coloro che, più in difficoltà, più ricercano una sponda politica: e quindi si preferiscono autotrasportatori e costruttori di strade ai ferroviari; gli impiantisti alle nuove aziende di ecoturismo; l’ASM di Brescia a nuove imprese nel campo del riciclo. Insomma, viene preferito il vecchio al nuovo.
"I nostri referenti sono le comunità; – ci rispondeva Giorgio Casagranda, capogruppo della Margherita in Consiglio provinciale - è assieme a loro che stabiliamo priorità e interventi."
Ma il compito di dare l’indirizzo non dovrebbe essere il vostro? Ad esempio, se abolite i contributi agli impiantisti, dalle valli non vi arrivano più richieste per nuove Jumele.
"Sono cose da fare con attenzione e gradualità. Però siamo molto sensibili a questi ragionamenti".
A dire il vero, la "sensibilità" verso le problematiche di respiro, nella Margherita c’è. A parlare con assessori e consiglieri di questi argomenti, si nota subito uno scatto dell’attenzione. Probabilmente comincia a farsi viva la consapevolezza che il mix di contributi più chiacchiere sulle riforme non basta più. E contemporaneamente pezzi consistenti dell’architettura di potere dellaiana iniziano a non stare più insieme (vedi scheda I milioni di Trentino Trasporti).
Il fatto è che il divario è sempre amplissimo non solo tra il dire e il fare, ma anche tra i grandi enunciati generali e le indicazioni appena un po’ più operative.
Lo si vedeva, in maniera netta, con l’intervento di Dellai. Che partiva alla grande, con un discorso ispirato e coinvolgente: "Abbiamo un compito grande, che non può esaurirsi nella semplice amministrazione: guidare il Trentino verso la società competitiva". Ma enunciato il titolo e poco più, non svolgeva il tema. E in maniera disarmante e financo irritante, riduceva tutto il discorso alla difficoltà di "fare riforme che mettano in discussione equilibri consolidati" e a un invito a "essere compatti".
Per cui il problema non era una politica che pretende sempre più soldi, ma "l’autodenigrazione. A cui bisogna dire basta: al Trentino hanno fatto più male le due recenti uscite su Repubblica (vedi scheda La colpa è della macchina fotografica?) che le alluvioni del ‘66".
E ancora, non sono problematici i rapporti con i poteri consolidati, bensì "la visione caricaturale che si dà della Margherita come gruppo di potere, di approfittatori", cui seguiva l’invito alla rissa: "Chiedo a tutti voi di non porgere l’altra guancia: per favore reagiamo duramente". E le correnti interne "ben vengano: se sono frutto di sensibilità defferenziate e non di arrabbiature"; e tutte le dissidenze venivano subito catalogate come arrabbiature e debitamente stroncate.
Così Claudio Molinari, acquattato in galleria, se ne andava via con la coda tra le gambe; Mario Magnani, bacchettato dal podio anche dai comprimari, fingeva di essere altrove; Giorgio Viganò, dopo aver deciso che farsi bocciare la mozione sarebbe stato "una semplice testimonianza" (cioè una patetica velleità: curioso in un cattolico!), se la faceva tagliare di ogni riferimento a PiRuBi, inceneritore, impianti a fune; i giovani si sopportavano ("tanto, i giovani, si sa…"), e tutto finiva in gloria.
Ma tutto sembrava desolatamente inutile.