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QT n. 6, 20 marzo 2004 Servizi

Dopo l’approvazione, il silenzio

La Convenzione delle Alpi è il più importante, vasto ed organico progetto internazionale di sviluppo sostenibile; per la salvaguardia di risorse strategiche (acqua, foreste, energia, biodiversità) decisive anche per la pianura. Eppure in Italia, Francia, Slovenia, non se ne vuole parlare.

Sta terminando in vetta alla Marmolada, Punta Rocca, l’avventura di dieci scialpinisti che una settimana fa sono partiti dalla Val Cadino ed in sette tappe, attraversando la catena del Lagorai, per poi inserirsi nelle Pale di San Martino, hanno raggiunto la più alta vetta delle Dolomiti.

Le Torri del Vajolet.

Un viaggio reso ancor più delicato dalle consistenti recenti precipitazioni nevose, dalle improvvise alte temperature e quindi dal rischio di valanghe, che ha imposto modifiche ai percorsi originariamente previsti, ma anche un viaggio che ha permesso di ritrovare il significato più vero dell’avventura in montagna e della condivisione delle difficoltà.

La traversata in alta quota è stata organizzata da Mountain Wilderness e si sposa con un’altra iniziativa che nell’estate avrà come protagonista il teatro naturale del Monte Bianco e le sue creste: uno stretto legame viene quindi ad unire le Alpi Orientali, le Dolomiti, ai grandi massicci granitici delle Alpi Occidentali, un legame che offre significati simbolici non secondari alla Convenzione delle Alpi.

La Convenzione delle Alpi è un trattato internazionale, divenuto effettivo perché approvato da tutti i governi degli otto Stati alpini, ma è anche un trattato che stenta, soprattutto in Italia, a trovare vita e dignità.

Pensiamo ai comportamenti del nostro governo: il disegno di legge che doveva approvare tutti gli otto protocolli (Agricoltura, Foreste, Pianificazione territoriale, Turismo, Difesa del Suolo, Trasporti, Protezione della natura, Energia), per volontà governativa è stato privato di un protocollo strategico, quello dei trasporti.

La Convenzione delle Alpi è anche priva di un nono protocollo, quello che doveva essere la cornice, il primo che avrebbe dovuto trovare ratifica ed applicazione: "Popolazione e Cultura". Gli altri protocolli dovevano delineare le strategie di sviluppo e di intervento più opportune per intervenire su un territorio delicato e fragile come quello alpino, indirizzi che offrivano dignità e valore alla vita delle popolazioni montane. Ma ancor oggi gli otto paesi alpini non sono riusciti a trovare un accordo di alto profilo per approvare questo protocollo, il più politico, che investiva nella cultura e nelle politiche formative delle popolazioni, quello legato ai temi della conservazione delle diverse identità che caratterizzano le popolazioni delle Alpi.

Gli attivisti che hanno attraversato il Lagorai durante questi giorni hanno permesso a tutti di riflettere sui contenuti della Convenzione: ad ogni tappa, un tema. Si sono messe in rilievo le sofferenze dei vari territori, le contraddizioni delle scelte politiche. Si pensi, per quanto riguarda il Trentino, alla scelta riguardante l’autostrada della Valdastico, alla promozione della monocultura agricola delle mele in valle di Non, all’abbandono dell’agricoltura di montagna, alle scelte di ulteriore sviluppo dell’industria dello sci alpino con i collegamenti di Val Jumela, San Martino di Castrozza, Campiglio, Val della Mite, Val Orsara a Folgaria. E tutto questo mentre nei territori a noi vicini si sperimentano ormai da anni percorsi alternativi.

Nel Salisburghese si promuove il turismo senz’auto, Austria, Svizzera e Germania fanno il possibile per penalizzare il traffico merci su gomma e favorire lo sviluppo dei trasporti ferroviari, si rinaturalizzano torrenti e fiumi, abbattendo le canalizzazioni violente degli anni Sessanta, si investe nella conservazione del paesaggio e nel potenziamento dell’agricoltura di montagna, i parchi diventano laboratorio di sviluppo alternativo. Viene da chiedersi perché all’estero questi processi vengano promossi e sostenuti con convinzione, pur fra alcune contraddizioni, mentre nel versante meridionale delle Alpi - Italia, Francia, Slovenia - il mondo politico impedisca perfino l’informazione e la promozione di scelte di sviluppo alternativo.

In Trentino, da diversi anni, su più tematiche si propongono atti di indirizzo e si promuovono commissioni di studio. Al mondo politico risulterebbe certamente più semplice leggersi i vari protocolli della Convenzione delle Alpi e attorno a quelle linee strategiche costruire lo sviluppo della nostra comunità. La Convenzione delle Alpi infatti - come scrive Mountain Wilderness - rappresenta il più importante, vasto ed organico progetto internazionale di sviluppo sostenibile di un’area estesa ed articolata. Non vi si trovano solo risposte alle emergenze che un territorio montano vive (si pensi alla difesa dei suoli o al turismo di massa), ma costituisce anche un vero e proprio atto di impegno solidaristico rivolto a tutte le popolazioni che vivono nelle grandi pianure europee. Tutte le attività economiche delle città trovano infatti sostentamento nelle risorse strategiche presenti sulle Alpi: basti pensare all’acqua, alle foreste, alla ricchezza di biodiversità vegetali ed animali, al paesaggio, alla produzione energetica, agli spazi ricreativi.

Il Sassolungo.

Se applicata in modo coerente, la Convenzione delle Alpi risolverebbe gran parte dei problemi che oggi tutti noi stiamo vivendo. Ci sono comunque passaggi da chiarire, lacune da colmare. E’ assente, ad esempio, un protocollo specifico dedicato alla risorsa idrica. Si è posta attenzione alla politica energetica, ma si è trascurata una lettura d’insieme della gestione di una risorsa tanto importante per il futuro dell’umanità.

Gli attivisti, proprio quando arriveranno in vetta alla Marmolada, la montagna che ospita l’ultimo grande ghiacciaio delle Dolomiti, proporranno l’avvio dei lavori a livello internazionale su un protocollo specifico dedicato all’acqua.

Un messaggio che verrà lanciato da un ghiacciaio in disperata sofferenza, inquinato ed umiliato dai comportamenti dell’uomo, ma anche un ghiacciaio importante, che non rappresenta solo una riserva idrica, ma è anche museo aperto di storia, anche tragica dell’umanità.

C’è un altro aspetto da evidenziare a dieci anni dalla firma della Convenzione: in Italia quasi nessuno conosce i contenuti del trattato.

Il mondo politico ha fatto cadere su di essa il silenzio, ed è un silenzio pesante, che va rotto. Perché la Convenzione diventi progetto di sviluppo, perché le linee generali lì esposte divengano pratica di governo condivisa, è necessario investire nell’informazione e coinvolgere i cittadini in processi partecipativi e nuovi. E’ necessario consolidare i percorsi della democrazia, innovarli, aprire brecce forti dentro i nostri municipi, nelle vallate sempre più chiuse e che si vorrebbero isolate in "Comunità di valle" autoreferenziali.

In Austria e in Svizzera ciò è accaduto: in questi paesi ogni famiglia ha in casa il libretto con i testi completi dei protocolli che costruiscono la Convenzione. Doveva accadere in Italia durante l’Anno Internazionale della Montagna, ma il comitato che ha gestito l’avvenimento, dopo mille promesse, ha negato alla proposta di CIPRA il finanziamento di questa azione informativa. Oggi potrebbero essere proprio i Comuni, o le Province le istituzioni che rilanciano i contenti della Convenzione delle Alpi. Potrebbe diffondersi in tutta Italia una rete di comuni, comunità di valle, province che costruiscano un’alleanza convinta nel recepimento di direttive che garantiscono al contempo conservazione e sviluppo, risposte importanti ai bisogni dell’economia, ma anche alle esigenze di socialità, di cultura e di potenziamento dei servizi che le popolazioni delle nostre montagne sempre più spesso reclamano.