Lettera a Paolo Barbacovi
Ricevo un invito a partecipare a un incontro sul tema "Scuola e formazione". La busta contiene l’"ipotesi di indirizzo" dell’assessore Tiziano Salvaterra: ringrazio per il documento. L’invito è firmato "Gruppo SDR", una sigla che per me, che pure leggo i giornali, i necrologi, le previsioni del tempo, gli appuntamenti culturali, ma anche le pagine della politica, non significa nulla. Poi scorro le firme, la tua, quella di Mauro Bondi, di Roberto Pinter, e ricordo: è la lista nata per le recenti elezioni provinciali, nello sforzo estremo di unificare alcune membra sparse della sinistra.
Scrivo a te perché ci è capitato, recentemente, di parlare un momento. Non posso venire, perché ho già un impegno: questa sera presento, in una pubblica assemblea, un libriccino di poesie, scritte da un amico, sul "dolore del mondo". Ma non sarei venuto comunque. E non verrò, fino a quando…
Fino a quando? Non sono un ingenuo: non vi chiedo di non dividervi più, anche se, quando le opinioni sono diverse, si può rinunciare all’insulto e al narcisismo. Quando leggo le vostre dichiarazioni, i vostri articoli, non mi domando più chi ha ragione e chi ha torto, tanto è il senso di repulsione che suscitano in me. Il primo messaggio che arriva al cittadino, è che la "guerra per bande" continua, senza fine.
Quello che chiedo è che vi dedichiate a risolvere "insieme" un problema. C’è in questa provincia un filo d’erba da piantare, una sedia da spostare, una bicicletta da riparare? Discutetene insieme, da Remo Andreolli, giù giù fino a Roberto Pinter, insieme con Rifondazione Comunista e Costruire Comunità, trovate una posizione unitaria, andate poi dalla Margherita, e dagli altri alleati (che non ho ancora imparato per bene), e cercate con loro la mediazione possibile. Fateci poi sapere che è stato possibile, per una volta, riporre i coltelli, e dialogare, ristabilire un rapporto fra persone che pensano, e si stimano, un poco. Fino ad allora non porterò il mio mattone, per quello che vale, all’area tematica di "Scuola e formazione". Voglio poter dire, con franchezza, che non vi parlo da un pezzo. La scuola è il luogo del pluralismo, esercizio difficile: fra i banchi, e in cattedra, le idee sono diverse. Guai se estraessimo ogni volta il coltello.
So bene che non è solo questione di politici di professione. Al primo incontro, convocato da Margherita Cogo, ho partecipato con curiosità, senza impegnarmi per i successivi. Anche gli intellettuali, in quella occasione, hanno mostrato quanto la politica sia diventata un deserto: più che un gruppo di lavoro che pensava collettivamente, ognuno tracciava il suo solco, indifferente al solco dell’altro. Alcuni, addirittura, gareggiavano a chi sapeva spararle più grosse. Non so che frutti ne abbia tratto la vicepresidente che si preparava a un incontro di giunta.
A parlare di "deserto" a proposito della politica contemporanea è stata Hannah Arendt, filosofa ebrea scomparsa da anni. Quando scriveva - sono passati molti anni - di "terra arida, senza segni, senza sentieri", nulla sapeva, ovviamente, della sinistra in Italia e in Trentino, dell’Ulivo, dello SDR. Il problema di quel deserto deve essere quindi profondo, generale, diffuso. Rappresenta questo per voi una piccola consolazione? Ho scritto a Sandro Giordani, dopo il suo bell’intervento sull’ultimo QT (Rimpiangere i democristiani?), che i partiti di un tempo sono irrimediabilmente scomparsi, e io non vedo un colpevole a cui imputare l’assassinio.
I processi sono complessi. Ma rimane nostro quel deserto della politica. Anche quando ci rifugiamo nell’oasi degli ambiti impolitici - l’amore, l’amicizia, la poesia - dove troviamo un temporaneo ristoro, siamo costretti a contaminarla con la polvere delle nostre suole.
Con il libricino delle poesie in mano, di fronte a una sala attenta, dopo il lager e il gulag, simboli del dolore innocente nel Novecento, non ho potuto tacere sull’ultima tragedia di Madrid. E citare Vladimir Majakovskij, che al sorgere della Rivoluzione d’ottobre, quella delle speranze cadute, sussurrava: "Per quanto concerne il pane la cosa è chiara / per quanto concerne la pace, anche / ma la questione cardinale della primavera / va risolta, ad ogni costo".
Prima di ogni riunione politica, leggetevi sottovoce, una poesia. Coraggio.