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QT n. 5, 6 marzo 2004 Servizi

Rimpiangere i democristiani?

Com’era la classe politica della prima Repubblica? Ne parlano un ex socialista (Walter Micheli) e un ex comunista (Sandro Giordani).

Questotrentino, da sempre, ha fatto una bandiera della questione morale, individuando nella corruzione e nel costituirsi dei politici in casta a parte uno dei problemi del governo del paese. Eppure quando il Presidente del Consiglio se ne è uscito con l’invettiva contro "i politici di professione, tutti ladri" ci siamo sentiti profondamente a disagio. Non solo per una certa (poco professionale, lo ammettiamo) avversione per il personaggio; non solo perché lui (beneficiario di Bettino Craxi) è l’ultima persona che in merito potrebbe dire qualcosa; ma anche perché tale generalizzazione ci sembra sommamente sbagliata. Sbagliata sul piano storico perché non coglie i meriti della generazione che dal dopoguerra ha rifondato l’Italia; e ingiusta sul piano individuale, perché mette nello stesso calderone i pochi (almeno fino all’era di Craxi) che dalla politica hanno soprattutto preso, e i tanti che hanno soprattutto dato.

A discutere di questi problemi abbiamo chiamato tre esponenti della politica trentina di questi ultimi anni: uno di vertice, Walter Micheli, già vicepresidente socialista della Giunta provinciale; e due di base, Sandro Giordani, operaio alla Merloni e già assessore diessino a Villalagarina, e Tarcisio Michelotti, operaio alla Dana, già sindaco (anch’egli dei Ds) di Drena.

Micheli: Le recenti dichiarazioni di Berlusconi sui politici di sinistra della prima Repubblica che sarebbero dei ladri mi sembrano intollerabili. Episodi di degenerazione si sono certamente verificati, soprattutto negli ultimi anni di quella stagione, ma non si può assolutamente ridurre tutto a una storia di malaffare. Coloro che attraverso la Resistenza conquistarono la Costituzione repubblicana erano uomini integri.

Giordani: E’ importante riprendere il discorso sul ruolo dei partiti nella nostra società. Lo dico francamente: io sono un nostalgico del ruolo dei partiti. La militanza politica faceva vivere il senso della partecipazione, della costruzione di un progetto. Poi, visto che in Italia abbiamo un caso unico in Europa come Berlusconi, è chiaro che abbiamo sbagliato qualcosa; un Berlusconi che - lui sì - ha fatto i soldi grazie alla politica, aiutato com’è stato da uomini politici e gruppi d’interesse. Evidentemente, dopo la caduta del muro di Berlino la sinistra doveva aggiornare il suo modo di fare politica, di essere organizzazione. Ma forse abbiamo buttato via il bambino insieme con l’acqua sporca. Oggi vedo troppe individualità, e una grande difficoltà a costruire un progetto in modo collettivo. Ma se non lo facciamo, saremo condannati a tenerci Berlusconi ancora per anni, e non grazie ai suoi meriti, ma per le nostre incapacità.

Micheli: Insomma, nel passato la grande forza della sinistra è stata la sua capacità di interpretare interessi generali e di muoversi collettivamente, mentre oggi, pur con personaggi di notevole qualità, si recita a soggetto e la tattica prevale sulla strategia. Finché è rimasto questo senso del collettivo, si è conservato anche il presidio della moralità, dell’etica.I partiti della prima Repubblica non si possono recuperare, ma quel senso del lavorare insieme andrebbe ripreso, per evitare quegli scivoloni che consentono oggi a Berlusconi di dire certe cose.

Berlusconi parte da una percezione - abbastanza diffusa - secondo cui i politici sono una casta a parte, che ha come primo obiettivo la propria carriera. A parte il pulpito da cui viene una tale predica, c’è qualcosa di vero in questa impressione?

Giordani: Per fare politica non dovrebbe essere indispensabile avere comunque un ruolo istituzionale. Walter Micheli ne è un esempio... La semplice militanza, la partecipazione, sono importanti perché si possa arrivare ad un progetto.

Però una qualche degenerazione c’è stata. Quando Massimo D’Alema si trovò a non avere più un ruolo ufficiale, fece il diavolo a quattro, finché non fu nominato presidente del partito. Il problema comunque non sono le bizze di D’Alema, ma il fatto che nei DS tutti gli davano ragione...

Giordani: Una volta si esagerava in senso contrario. Ad esempio, a me per andare in pensione mancano quattro anni di contributi, e sono gli anni in cui ho lavorato per il PCI. Ma non perché il partito mi abbia fregato: era una scelta condivisa, perché i militanti non volevano pesare sulle finanze del partito. Facevamo tutti così. Un altro episodio: nel 1973, alle elezioni regionali, Giovanni Armani risultò eletto nella lista del PCI, ma si dimise immediatamente perché la sua elezione non rientrava nei progetti elettorali del partito. Ma voglio citare anche una bella eccezione di pochi anni fa, quella del segretario nazionale della FIOM recentemente scomparso, Claudio Sabattini; quando terminò il suo secondo mandato, andò tranquillamente a fare il segretario in Sicilia, senza sentirlo assolutamente come un’umiliazione. Purtroppo i casi del genere sono rari, e in questo non c’è gran differenza fra destra e sinistra.

Micheli: Abbiamo un ceto politico che deve assolutamente apparire, e questo succede perché sempre più la democrazia si esaurisce nei ruoli istituzionali. Al di fuori, non ci sono più organismi collettivi. Ma il recupero di un impegno politico che prescinda dai ruoli è indispensabile, altrimenti la democrazia si riduce a ben poco...

Giordani: ...mentre in tempi non lontani, i partiti - tutti i partiti - anche nei centri più piccoli, svolgevano attività di dibattito sui problemi locali. Qui in Trentino, ogni anno, si riuscivano ad organizzare fino a 50-60 feste dell’Unità. Di tutto questo oggi non rimane nulla. E certe riforme elettorali, come l’elezione diretta del sindaco, hanno ulteriormente accentuato la disaffezione dei cittadini verso la politica; certo, è assicurata la governabilità, ma molti sindaci, con gli enormi poteri che si ritrovano, si comportano come dei padroni. Potrebbero convocare il Consiglio una volta all’anno: basta approvare il bilancio... E purtroppo questa tentazione sembrano averla soprattutto i sindaci di sinistra. Non è un caso se in più di 30 comuni del Trentino ci sono Consigli eletti su una lista unica.

Fin qui, seguendo Berlusconi, abbiamo parlato soprattutto della sinistra. Vogliamo dire qualcosa anche della vecchia classe politica democristiana? Come possiamo valutare, oggi, quell’esperienza e quel personale politico?

Micheli: Sotto il profilo dei comportamenti, dell’onestà personale, credo si possa dire che ci fosse addirittura un’ostentazione di sobrietà. Basta ricordare il loro modo dimesso di vestire, o un Donat Cattin, potente ministro della Repubblica, che abitava in una casa popolare. Creò sensazione e quasi scandalo - e si era ormai negli anni ’70 - il fatto che la moglie del presidente Leone si vestisse con ricercatezza e avesse introdotto al Quirinale una certa mondanità. Questa sobrietà, per decenni ha accomunato un po’ tutta la classe politica. Gli attacchi della sinistra ai democristiani (definiti "forchettoni", negli anni ’50) riguardavano i loro favoritismi nei confronti della destra economica, la subalternità alla Confindustria, ma non episodi di illeciti arricchimenti personali.

Giordani: Io quella Democrazia Cristiana quasi la rimpiango, perché so che certi valori nostri e loro coincidevano. Oggi l’uso delle istituzioni in vista del proprio interesse personale è diventato disinvolto come credo in nessun altro paese europeo.