Vogliamo smettere di litigare?
La sinistra tra pluralità delle idee, identità di gruppo e piccole baruffe.
Vorrei avere scritto io la lettera, dolcissima e tuttavia assai severa, indirizzata da Silvano Bert a Paolo Barbacovi sull’ultimo numero di QT (Lettera a Paolo Barbacovi). Essa esprime in forma mirabile un sentimento comune a gran parte di coloro che per condizione sociale, per indole o per scelta culturale si identificano, sia pure con variegate sfumature, con lo schieramento di sinistra o di centro-sinistra. E’ora di smetterla con le risse a sinistra per futili motivi!
So per esperienza personale che fare il politologo o il commentatore politico è molto più facile che "fare politica". Il "fare politica" è attività fra le più complesse e difficili. Sia quando il ruolo del politico è interpretato in modo nobile, sia quando invece è recitato come una modesta pratica clientelare. In ogni caso ciò che lo distingue da altre attività intellettuali è la sua pragmaticità, cioè la necessità ineludibile di tener conto delle persone. Anzitutto delle persone che formano il ceto politico, ma poi anche di tutte le altre, che formano il corpo elettorale, la pubblica opinione, la cosiddetta società civile. Ebbene, ognuna di queste persone è portatrice di idee ma anche e forse soprattutto di interessi economici. Quelli che compongono il ceto politico, o che aspirano a farne parte, non sono esenti da vizi, come l’avidità, l’ambizione, la doppiezza, il collegamento con gruppi lobbysti. La grande folla che compone il corpo elettorale può essere in alcune sue parti più sensibile a stimoli demagogici che a proposte ponderate ed oneste. Il tutto è poi ulteriormente complicato dal fatto che questi rapporti con l’avversario e la pubblica opinione sono oggi, assai più che un tempo, realizzati attraverso i mezzi di comunicazione di massa e quindi secondo i meccanismi che li caratterizzano. A ciò si aggiunge il perdurare di quel nostro carattere italico che è l’individualismo, che a sinistra si carica anche di una cospicua dose di settarismo intellettualistico, ed avremo un ambiente complessivo disomogeneo ed accidentato.
Da tutto ciò derivano i vizi della "visibilità" e dell’auto-contemplazione della propria identità di gruppo o gruppetto e persino del singolo attore, con casi di vero e proprio narcisismo. Da ciò la deprecabile incapacità di svolgere un lavoro collegiale, cioè di fare sintesi delle diverse idee e proposte. Da ciò la crisi dei partiti che non riescono a ritornare ad essere strumenti di partecipazione popolare all’elaborazione di linee e programmi politici.
Il problema è più acuto a sinistra. La destra ha il suo collante: l’azienda del premier ed il potere. La sinistra naviga in mare aperto e brancola alla ricerca di una bussola per darsi la rotta.
Io resto convinto, malgrado tutto, che anche la sinistra (il centro-sinistra) più frantumata, scalcinata, litigiosa, persino riformista accomodante sia pur sempre preferibile alla destra che ci governa. Però, ha ragione Silvano Bert: le esigenze minime di reciproca tolleranza all’interno dello schieramento vanno rispettate.
Prendiamo per esempio il caso del condono. Vi erano molte buone ragioni di principio per votare la proposta di legge Pinter contro il condono. Vi era anche qualche buona ragione pratica per votare il disegno di legge della Giunta che limitava in Provincia gli effetti del condono approvato dalla maggioranza del Parlamento nazionale. Non si poteva trovare l’accordo di votare tutti assieme a favore di entrambe le proposte? Certo poteva apparire un comportamento contraddittorio. Ma siamo stretti nella morsa di una duplice contraddizione: l’essere in una coalizione di maggioranza con la Margherita, e dover legiferare in un ordinamento autonomo ma sottordinato a quello centrale, con il rischio, in mancanza di una disciplina provinciale, di vedere applicata quella statale. E’ impossibile uscire da questa morsa doppiamente contraddittoria senza contraddirsi a nostra volta. Il dissolvimento in ordine sparso di tutto il gruppo dei DS e della sinistra è stata la scelta peggiore: di tutte la più contraddittoria!
Ma anche a Roma non scherzano. Rutelli che propone la sua riforma delle pensioni o addirittura si mostra disposto a trattare con la maggioranza sull’indecente riforma dell’ordinamento giudiziario, o gli impacciati tatticismi sulla missione militare in Irak, o l’opposizione di Boselli ad accettare l’Italia dei Valori nella lista unitaria per le elezioni europee come se il principio di legalità che Di Pietro simboleggia non fosse un principio cardine della sinistra... tutti questi episodi, drammatizzati dall’aggressione a Fassino di un gruppetto di stupidi facinorosi; tutto ciò suscita grande preoccupazione.
La virtù della sinistra è la pluralità delle sue anime. Ma diventa un vizio fatale se non accompagnata dalla maturità di sapersi ricomporre in un corpo unico. Lo capiscono tutti. Che sia un concetto troppo banale per essere apprezzato dai nostri eletti?