La maionese impazzita
I Ds allo sbando, tra perdita di identità, voglia di rivincite, ipotesi di politica propositiva. La Margherita senza capacità egemoniche: né sugli alleati, né sulla pubblica opinione. Il varo della nuova Giunta dimostra che Dellai, se vorrà solo essere l’ennesimo doroteo, non avrà vita facile.
Sembra inspiegabile a prima vista l’avvitamento registrato in questi giorni nel centro-sinistra fresco di vittoria. Invece, secondo noi, stanno bruscamente emergendo dinamiche già in atto; con violenza imprevista, e con sbocchi incerti.
Il primo avvitamento, evidente a tutti, è quello dei Democratici di Sinistra, in pieno marasma. Cerchiamo di ricostruire criticamente i fatti.
Dopo la vittoria – della Margherita più che della sinistra – quest’ultima, nei giorni della formazione del governo, aveva di fronte due strade maestre. La prima, la più lungimirante, consisteva nel concordare con il Presidente le grandi linee dell’operato della Giunta, e quindi gli uomini più adatti per portarle avanti (perché se è vero che la legge affida al presidente il compito di nominare gli assessori, nulla vieta che questo sia frutto di un ampio discorso sulle finalità da perseguire). La seconda strada, meno ambiziosa eppur dignitosa, era quella di presentare al Presidente le proprie finalità, gli ambiti in cui si intende operare al governo, con relativi obiettivi (per esempio, riforme istituzionali, oppure politiche economiche, oppure formazione) e i conseguenti nomi, del proprio schieramento o esterni, cui affidare sedie e competenze.
I Ds non hanno percorso né l’una né l’altra strada. Il segretario Bondi infatti, che ha un pessimo rapporto personale con Dellai (per aver ripetutamente cercato nella scorsa legislatura di contrastarlo su temi peraltro sacrosanti, ma per poi essere costretto a battere in ritirata con gravi perdite), con lui non ha cercato contatti, trincerandosi dietro l’autonomia del presidente e limitandosi ad aspettarne le decisioni. Per converso gli aspiranti assessori con Dellai trattavano singolarmente, ciascuno pro domo sua. E a questo si sovrapponeva l’azione dei parlamentari diessini, che cercavano di dare al tutto un senso complessivo: con opinabili risultati.
Alla fine Dellai decideva: giunta con 10 assessori, il grosso delle competenze (ci torneremo) alla Margherita, i diessini Cogo vicepresidente alla cultura e riforme, Andreolli alla sanità. I Ds protestavano: e Roberto Pinter, dei Ds-Solidarietà, già vice-presidente e assessore all’urbanistica, deve rimanere fuori? Dellai correggeva: giunta a 12, recuperato Pinter, cui venivano assegnate competenze su energia e riforme, e già che ci siamo Benedetti (Leali) all’industria.
Tutto bene? No, i Ds, o meglio l’assessore Andreolli, insorgevano.
Nella conferenza stampa in cui un solitario Remo Andreolli proclamava di non voler entrare in siffatta giunta, è difficile trovare (a parte le parole ingenerose sugli assessori esterni, che non porterebbero "alcun valore aggiunto") valutazioni fuori posto. La denuncia dello strapotere della Margherita; della contradditorietà di una giunta larghissima ma con le competenze vere concentrate in pochissime mani; del trattamento poco dignitoso riservato ad alleati come i Verdi (ridotti a gestire il solo sport, dopo che gli è stato sottratto l’ambiente) o gli Autonomisti (confinati all’Artigianato, settore testè sistemato con una legge nuova di zecca); se vogliamo anche il non-senso (se non quello dello sgarbo), del sottrarre il Commercio ad Andreolli, cui aveva con entusiasmo ben lavorato la scorsa legislatura, per paracadutarlo a capo del per lui misterioso pianeta Sanità.
Tutte cose vere. Ma non aveva senso denunciarle quando oramai erano scritte in una delibera, non avendo fatto nulla per intervenire nel momento dell’elaborazione delle decisioni. E più in generale: appariva incongruo denunciare il debordare della Margherita, quando per tutta una campagna elettorale, e ancor prima, per tutta una legislatura, alla Margherita ci si era accodati, e Dellai lo si era osannato come leader maximo. E ora che il leader aveva vinto, distribuito i compiti secondo il suo (noto) stile, e si doveva iniziare a lavorare, ora gli si mettevano i bastoni tra le ruote?
La denuncia di Andreolli trovava ampia eco nei Ds. Partito terremotato da cinque anni di signorsì a Dellai, dalla continua ingestione di rospi in nome "del bene della coalizione" e spesso, più prosaicamente, in nome della salvaguardia delle seggiole (Una sinistra che non rappresenta più nessuno).
Da mesi abbiamo scritto su questa dinamica, da molti sottovalutata (La crisi della sinistra). Quando un partito ripetutamente rinuncia ai propri obiettivi, sempre piegandosi a un alleato troppo ingombrante, rischia di perdere la bussola: di non avere più identità, di non sapere più in cosa credere, di fungere solo da ufficio di collocamento per poltrone più o meno prestigiose. I Ds allo sbando, tessevano riunioni su riunioni, avvitandosi su se stessi.
Contemporaneamente veniva avanti una nuova linea. Sostenuta dai parlamentari Giorgio Tonini e Giovanni Kessler (l’altro parlamentare, l’on. Luigi Olivieri, è per un appiattimento/concorrenza sugli aspetti clientelari del dellaismo, ritenuti l’essenza vera della politica). Anche in vista degli imminenti sviluppi della politica nazionale e della lista unica del centro-sinistra, per Tonini e Kessler, ulivisti doc, la contrapposizione con Dellai non deve esserci, o meglio, deve essere trasposta dal piano dei veti a quello delle proposte. Quindi, più che gli stop alla proliferazione degli impianti sciistici, va varata una politica di sostegno al turismo sostenibile; sui trasporti più che i No alla PiRuBi vanno impegnate le disponibilità per il trasporto su ferro, ecc. Conseguenza di questa impostazione è che in Giunta bisogna entrarci, presentare progetti, e su quelli chiamare a raccolta l’opinione pubblica e, se del caso, sfidare Dellai.
A questa posizione aderiva senz’altro Margherita Cogo, che vedeva aprirsi nuove prospettive per il suo ruolo di vicepresidente.
La telenovela diessina terminava come prevedibile. La fronda rientrava, Andreolli, sia pur con dichiarato mal di pancia verso la Margherita, si apprestava al nuovo ruolo di assessore alla Sanità. Roberto Pinter invece, che nelle urne già aveva pesantemente pagato i tanti compromessi della passata legislatura, non si adattava ad un’ulteriore retrocessione, da vicepresidente ad assessore, e soprattutto alla sottrazione dell’Urbanistica (finita, assieme all’Ambiente, nelle abili mani del margheritino Gilmozzi): e decideva di rinunciare. Gli subentrava, nonostante le ripetute assicurazioni contrarie di pochi giorni prima ("mi rifiuterò di sostituire i nostri assessori, se questi non accetteranno") Ottorino Bressanini, leader del cosiddetto "correntone", la sinistra dei Ds, che a dire il vero in Trentino non ha mai brillato per propositività (se non per parlare di "unità delle sinistre" quando il tema vero era il rapporto con Dellai).
Insomma, questo lo stato della sinistra: una grossa parte confusa; una parte medita vendette anti-dellaiane; una parte ritiene possibile sfruttare le posizioni di governo per praticare una politica propositiva.
Secondo noi c’è un altro punto importante, che questi confusi giorni hanno evidenziato. E riguarda proprio Dellai, e l’impronta che intende dare a questa legislatura.
Nel numero scorso scrivevamo che il Presidente ha di fronte due strade, dopo la clamorosa vittoria elettorale: usufruire del grande consenso e dei notevoli poteri per avviare un rinnovamento del Trentino; oppure per gestire il potere secondo i frusti canoni dorotei.
Questi primi giorni ci sembrano dire che Dellai stia imboccando la seconda strada. Infatti l’accentuata concentrazione di poteri nelle mani proprie e di altri tre plenipotenziari della Margherita – gli assessori Grisenti, Gilmozzi, Mellarini – sembra indicare una robusta volontà di gestione accentrata della cosa pubblica, in accordo (stante la biografia dei plenipotenziari) con gli affarismi di valle. Di qui la "pulizia" degli assessorati di controllo, sottratti ai fastidiosi Verdi e diessini; e anche la riduzione degli alleati (non tanto i Ds, quanto soprattutto Patt e Verdi) a ruoli periferici.
Questa impostazione però non è indolore: come abbiamo già scritto, il Trentino si aspetta molto dal Dellai del 60%, difficilmente si accontenterà, nel 2003, della solita gestione delle clientele. Non solo: la Margherita (non parliamo poi della Casa dei Trentini, già diroccata dopo gli schiaffoni rifilati da Dellai al Patt in sede di distribuzione delle seggiole) non sembra oggi tenuta assieme da altro collante se non la gestione del potere. Ma su questo fronte, come osserva giustamente Franco de Battaglia sul Trentino, Dellai rischia di trovarsi un nuovo concorrente, quel Mario Malossini che cerca di riorganizzare Forza Italia come partito della clientela. Per cui i disinvolti plenipotenziari, i boss di valle, possono alzare il prezzo, potendo applicare la politica dei due forni e minacciare di passare armi e bagagli alla concorrenza.
Insomma il doroteismo - ormai fuori stagione nella realtà economica e sociale italiana ed europea, e di moda solo nel sorpassato bagaglio culturale del personale democristiano ancora in auge in Trentino – non è poi così semplice da praticarsi.
La cosa la si è vista proprio nei sommovimenti di questi giorni. La Margherita non ha forza egemonica presso gli alleati: i Ds sono in rivolta, le Genziane (l’ex assessore Pallaoro) idem, gli infidi personaggi del Patt stanno buoni solo per le seggiole, ma sono sul chi vive. E il Dellai doroteo, la Margherita arraffona non convincono neanche l’opinione pubblica: nel commentare gli ultimi fatti, la stampa con quello che negli scorsi anni era "il leader", "il principe", e più recentemente "il governatore", non è certo stata gentile.
Secondo noi, nonostante la grande vittoria, o forse proprio per questo, Dellai deve stare attento.