Siate più obiettivi! 2
Avrei preferito che Ettore Paris, nell’editoriale su QT del 6 aprile scorso (Medio Oriente: fermate quei due), non avesse parlato – per dire che gli ebrei di tutto il mondo aiutano (lo spero bene) Israele – di un "possente movimento sovranazionale, l’ebraismo", ma avesse scelto un termine meno suggestivo, meno compromesso storicamente. Invece (certo senza male intenzioni) ha impiegato uno stereotipo dell’antisemitismo classico, presente talis et qualis nei famigerati "Protocolli dei savi di Sion" (il falso redatto dai servizi segreti dello Zar ed apparso nel 1903), che "svelavano" la minaccia di una cospirazione israelita mondiale, dedita a rovinare il mondo. Quest’accusa infame divenne poi il cavallo di battaglia dell’antisemitismo di Hitler e c’è tuttora più gente di quanto si pensi che crede alla storia della congiura mondiale ebraica: al "possente movimento sovranazionale" di cui sopra. A me pare che, se discutiamo della tragedia del Medio Oriente ed impieghiamo queste formule, ci allontaniamo già in partenza dall’obbiettività. Ce ne allontaniamo anche, ma sempre e solo a mio avviso, se nell’analisi della spirale di violenza aui assistiamo, parliamo – riferendoci alle azioni dei palestinesi e del mondo arabo – solo della "disperata risposta dei deboli".
Sia chiaro che ho sempre considerato un diritto fondamentale dei palestinesi quello di avere un loro Stato sovrano. E purtroppo – mi pare – Arafat è stato per la loro causa più una calamità che una benedizione (se ci fosse stato un tipo come Arafat al posto del saggio e tenace Magnago, chissà come sarebbero ridotti oggi i sudtirolesi!).
Parimenti non ho un grammo di simpatia per il disastroso Sharon. Gli attribuisco molta responsabilità della piega che il conflitto ha assunto ultimamente. Ma non posso negare che, da quando Israele esiste, furono sempre gli arabi ad attaccarlo. Gli arabi accolsero questo "Stato zattera" – conseguenza dello sterminio di un terzo del popolo ebraico avvenuto nell’Europa nazificata – con una prima aggressione di rigetto (1948), seguita da tre succe4ssive guerre, dal terrorismo ininterrotto e dai costanti proclami di voler cancellare Israele dalla faccia della Terra. Pertanto non mi pare, caro Paris, che tutto questo odio si possa definire solo come "la disperata risposta dei deboli".
Già che ci sono, vorrei aggiungere che quando trovo, sempre su QT del 4 aprile, il servizio dal fronte, per così dire, (Un pacifista a Ramallah) "del gruppo di pacifisti drammaticamente in azione, a Ramallah, durante l’infuriare della battaglia" (così squillano le parole introduttive della redazione, baldanzose, d’altri tempi) e leggo che "quasi sprovvisti di cibo e cullati dal rombo dei carri armati, dai boati e dalle raffiche" ecc. ecc., e che "abbiamo messo la nostra vita, i nostri corpi a repentaglio della guerra… abbiamo disobbedito con cocciutaggine ai divieti della guerra a fianco della popolazione civile…" insomma, che "abbiamo fatto della disobbedienza sociale alla guerra la soggettività politica" ecc. ecc., mah, sarà – mi dico – ma con un senso di disagio. Mi sembrano più le parole di un eccitato che di un pacifista. A differenza di QT, non provo anmirazione per questo protagonismo. Trovo legittimo, anzi, giusto che le autorità israeliane, sopraffatte come sono da veri problemi di vita o di morte, in mezzo a vere battaglie, abbiano rispedito a casa questi nostri pacifisti, senza tanti complimenti.
Probabilmente, con queste considerazioni, mi attirerò gli improperi o almeno la disapprovazione della maggior parte dei lettori di QT. E, se avessi passato la mia vita a Trento, dove della cultura ebraica e del dramma del popolo ebreo si conosce ben poco, e quel poco per sentito dire, ragionerei forse diversamente. Ma durante decenni vissuti nell’Europa transalpina mi sono potuto rendere conto di come sia nato e cosa sia stato l’antisemitismo dei secoli XIX e XX. Ho visto quanto profonde e capillari siano le sue radici, dopo secoli di maledizioni e persecuzioni per mano della Chiesa. Ho capito quanto varie, ed apparentemente innocue, siano le sue forme, le sue esternazioni, e quale irreparabile tragedia sia per l’Europa la distruzione del mondo e della cultura ebraica.
Per esigenze di brevità non posso che accennare a queste cose ed alle questioni che suscitano. Ma ammetto che sono esse che mi inducono, e mi indurranno sempre, a distanziarmi da chi le dimentica, o le ignora per partito preso.
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Evidentemente dev’essere possibile criticare, anche duramente, la politica del governo israeliano senza essere accusati di antisemitismo. Magari avendo presente l’equazione israeliani uguale ebrei, la vicinanza temporale della Shoah, e il rischio ancora incombente di un antisemitismo reale. E dunque facendo particolare attenzione alle parole impiegate.
La discussione su questo tema è approdata anche su Questotrentino in questa lettera di Giorgio Jellici e in quella di Fabio Valcanover (Pacifismo a senso unico), e di esso ci occupiamo, rispondendo quindi anche ai lettori, nell’editoriale Antisemiti proprio no!, come pure, all’interno di discorsi più ampi: nell’intervista all’on. Kessler (Palestina: noi, cosa possiamo fare?) e negli interventi del prof. Carlo Saccone (Il colonialismo è finito? Non per tutti Arabi, ebrei, Occidente).