Degasperi-Gruber: un patto che resiste
Dopo 60 anni, quell’accordo (come pure lo statuto di autonomia) è ancora vitale. Anche se - anzi, soprattutto perchè - inserito in una storia disseminata di errori gravi e drammatici.
Siamo stati investiti in queste ultime settimane da una vera e propria alluvione di articoli sui giornali, di servizi televisivi, di convegni e dibattiti, cerimonie e proposte, tutti generati dal conferimento del premio Degasperi, costruttore d’Europa, e dalla ricorrenza del 60° anniversario dell’accordo Degasperi-Gruber, atto di nascita della nostra autonomia. Io credo che questa immersione nella storia sia un utile momento di riflessione, purché però non si limiti alla mera celebrazione di eventi positivi, ciò che fatalmente finisce per diventare uno sterile esercizio di più o meno elegante retorica. Quando una comunità si ripiega su se stessa per riscoprire le proprie radici, saggiamente deve puntare a mettere a fuoco soprattutto gli errori che hanno macchiato il suo divenire, per prenderne piena coscienza collettiva, ciò che costituisce un presupposto indispensabile, anche se forse non sufficiente, per potere sperare di non ripeterli.
Ciò vale in modo particolare per la nostra storia regionale che è disseminata di errori plateali, ed assai gravi per le conseguenze che hanno provocato.
Il primo errore risale al 1918, quando dopo la fine della prima guerra mondiale le grandi potenze portarono il confine del Regno d’Italia al Brennero anziché a Salorno. Erano tempi in cui non si teneva conto dei diritti dei popoli, ma solo delle esigenze degli stati. L’Alto Adige era quasi esclusivamente popolato da sudtirolesi di madre lingua tedesca, ma tale circostanza fu totalmente negletta, per seguire invece il criterio della efficienza difensiva di una frontiera rispetto al rischio di nuove aggressioni, ed il Brennero fu scelto per dichiarate esigenze di strategia militare.
Erano ancora i tempi dell’Europa dominata dai nazionalismi, una appendice ferrigna dell’Ottocento, fortunatamente retrocessa ormai alle nostre spalle.
Questo primo errore fu aggravato, portato alle sue conseguenze estreme, dall’avvento del fascismo.
Espressione di un nazionalismo esasperato, impersonato da un ceto politico e burocratico del tutto ignaro di esperienze di convivenza in uno Stato di gruppi etnici diversi (anche se il regno savoiardo si era trovato a governare piemontesi e siciliani, veneti e calabresi che, pur genericamente italiani, venivano però da storie molto diverse, con lessico e costumi assai differenziati), il regime concepì l’integrazione della popolazione di lingua tedesca come pura e semplice assimilazione. Vietato l’uso della madre lingua, furono soppresse tutte le istituzioni culturali sud tirolesi e persino si tese ad italianizzare i cognomi. Il massiccio investimento nel settore industriale, con la conseguente affluenza di popolazioni dalle regioni italiane, relegò i sudtirolesi in campagna e nel turismo.
Una simile politica di forzata snazionalizzazione della provincia inculcò nella popolazione alloglotta, ferita nei suoi diritti naturali, un sentimento di tenace ostilità verso l’Italia, tanto che sul finire della seconda guerra mondiale vediamo molti sudtirolesi nelle vesti di fedeli seguaci di Hitler. Dopo l’8 settembre 1943 in Alto Adige succedono cose terribili contro i soldati italiani in transito verso i lager della Germania nazista. Il 28 giugno 1944, giorno della strage dei partigiani di Riva, Arco e Rovereto, i reparti di SS che eseguirono l’operazione erano tutti formati da sudtirolesi.
Dagli errori del ’18 e della politica fascista non potevano che derivare odio e sangue.
Poi finisce la seconda guerra mondiale. Degasperi e Gruber firmano l’accordo del 5 settembre 1946, la Costituente italiana approva il primo statuto di autonomia della Regione, bon gré mal gré accettato dalla SVP moderata di Ammon. Purtroppo però segue un’altra serie di gravi errori, da parte delle giunte regionali presiedute dal trentino Odorizzi e dei governi nazionali. Lo statuto del 1948 avrebbe potuto essere una soddisfacente esecuzione dell’accordo Degasperi-Gruber, se però fosse stato lealmente attuato. Ma così non fu.
"Parlino i fatti. Basti pensare che bisogna attendere il 1959-1960 perché siano emanate le norme di attuazione in materia di uso della lingua tedesca nelle comunicazione al pubblico, nei pubblici uffici, nei procedimenti giudiziari, nei pubblici concorsi. L’organo di giustizia amministrativa previsto, oltre che dalla Costituzione, anche dallo Statuto, ancora oggi (8 ottobre 1970, n. d. r.) non è attuato. Alcune norme di attuazione in materia di grande portata, come per esempio quelle del 1959 sull’edilizia popolare, erano tali da contraddire e svuotare completamente il testo costituzionale che doveva essere attuato. Per parte sua la maggioranza regionale che avrebbe dovuto, in attuazione dell’articolo 14 dello Statuto, trasferire alle Province l’amministrazione delle leggi regionali, si guardò bene dal seguire questo saggio e doveroso indirizzo: ancora nel 1960 nessuna legge regionale aveva previsto la delega amministrativa alle province." (dalla relazione del disegno di legge sul secondo statuto, 8 ottobre 1970).
Fu questo un altro imperdonabile errore, che portò alla crisi degli anni Sessanta con l’esplosione, per la prima volta in Europa, di episodi di terrorismo politico con gravi danni alle cose ed alle persone. Ennesima conferma di una verità troppo spesso negletta: che le soluzioni dei problemi politici ispirate ai valori civili sono non soltanto giuste ma anche convenienti.
Ci sono voluti ben dieci anni per ricostruire un rapporto di rinnovata e reciproca fiducia fra il popolo sudtirolese e la Repubblica Italiana. Il paziente illuminato lavoro della sinistra italiana regionale (Arbanasich, Nicolodi, lo scrivente, Scotoni), seguito dalla parte più sensibile della Democrazia Cristiana (Berloffa, Menapace, Kessler), trovò riscontro a Roma, nell’incipiente centro-sinistra guidato da Amintore Fanfani e Pietro Nenni, e con la commissione dei 19 ed il fermo polso di uno straordinario Silvius Magnago, si arrivò alla emanazione del secondo Statuto. Con questo provvedimento costituzionale e la sua leale attuazione può dirsi che lo spirito dell’accordo Degasperi - Gruber abbia trovato il suo felice coronamento.
Infatti l’accordo Degasperi- Gruber, nelle tenebre di una storia così piena di tragici errori, risalta come un bagliore di lungimiranza politica. Non so se tale merito debba essere attribuito ai due protagonisti che lo hanno firmato. Degasepri è sospettato da un parte dei sudtirolesi di avere agito con astuzia per danneggiare il loro gruppo e favorire il suo Trentino. Non so se Degasperi sia un santo, non ho competenza in questa materia; ma mi pare di poter dire che il suo comportamento fu assolutamente lineare, poiché nel trattato era esplicita la riserva di individuare il "quadro" territoriale in cui l’autonomia sarebbe stata concessa, ed era ben noto che egli intendeva concedere l’autonomia anche al Trentino, che l’aveva perseguita fin dai tempi dell’Impero Asburgico.
Quanto a Gruber, non doveva avere una grande stima dei suoi fratelli sudtirolesi. Leggete quello che in proposito egli disse, nel gennaio 1946 al nostro ambasciatore a Vienna Coppini: "Conosco i miei conterranei, essi sono l’elemento più duro e più tenace della terra. Quanto maggiore sarà la libertà che loro concederete, tanto più essi ne useranno a ne abuseranno, se volete, per chiedere ed insistere di ritornare a far parte dell’Austria.
Tutte le autonomie che voi italiani accorderete loro, con tutta la buona volontà di creare una collaborazione con loro, saranno altrettante armi che essi rivolgeranno contro voi stessi".
A cose fatte anche questa fosca previsione risulta sbagliata, poiché, nonostante qualche marginale mugugno, la situazione di convivenza in Alto Adige sembra pacifica ed esemplare. Forse Gruber, consapevole che la questione del confine era già decisa dalle grandi potenze nel senso di confermare il confine del Brennero (una diversa soluzione del resto avrebbe spostato in Austria lo stesso problema, anche in termini più complessi, posto che nel 1945 la popolazione residente di lingua italiana era di molto aumentata ed erano ingenti i capitali che vi erano stati investiti), usò l’ultimo argomento per scoraggiare il Governo italiano, ammonendolo che con l’Alto Adige si sarebbe coltivata una indomabile serpe in seno.
Ma così non è stato, perché nell’accordo Degasperi-Gruber era custodito un seme fecondo che ancora oggi conserva la sua magica potenza.
Con esso infatti si rovescia il concetto fascista di integrazione di gruppi etnici diversi. In luogo della assimilazione forzata vi si afferma il criterio del riconoscimento e del rispetto delle reciproche differenze.
Un tale criterio ha permeato il nostro secondo Statuto e soprattutto ha ispirato la sua leale attuazione. La più affidabile garanzia della sua osservanza non risiede tanto in diplomatiche tutele del governo austriaco, quanto nella matura consapevolezza della sua validità condivisa dalla più vasta cittadinanza locale e di tutta la Repubblica. E’ sempre più raro oggi sentir proferire da turisti provenienti da altre regioni italiane, la frase un tempo abusata: "Qui siamo in Italia e dunque si deve parlare italiano!". Le parziali diversità che distinguono fra di loro gli esseri umani, individui o gruppi che siano, sono i caratteri delle loro specifiche identità che, se bilateralmente accettate, non impediscono ma anzi favoriscono la convivenza su un medesimo territorio, vale a dire una armoniosa e compartecipata integrazione.
Ora mi sembrano niente altro che astratti funambolismi le ipotesi circolate di nuove entità tipo "grande Tirolo" et similia. Vi è una evoluzione parallela, sia pure accidentata, verso una comune cittadinanza europea. Se un giorno, com’è auspicabile, sorgerà una Federazione europea, nel suo ambito è perfettamente ragionevole immaginare una regione alpina, estesa al Tirolo e magari anche al Vorarlberg ed a Belluno, con un proprio ordinamento unitario ed autonomistico. Ma è tema di domani. Oggi sarei persino cauto a metter mano ad un terzo Statuto.
E’ vero che la Regione oggi appare un fantasma privo di vitalità. Ma solo per insipienza della politica. Cose da fare assieme, fra Trento e Bolzano, ve ne sarebbero. La viabilità, compreso il temuto progetto della Valdastico, è di interesse comune di tutto il territorio regionale. L’ambiente naturale, che in Trentino assomiglia sempre più alla devastazione veneta e sempre meno al Sudtirolo, è altra materia comune alle due province. Ma non se ne fa nulla. Ed invece Dellai si impiccia in questioni che gli sono estranee, come la toponomastica bilingue, e, in una delle poche materie residuate alla competenza regionale, l’ordinamento dei Comuni, Dellai e Durni hanno combinato quell’indecoroso pasticcio della diverse indennità dei sindaci.
Come vedete, ciò che manca è la politica. L’accordo Degasepri- Gruber e lo Statuto di autonomia sono ancora oggi vitali. Ciò che difetta è la capacità di interpretarli. Ma questo è problema politico, non istituzionale.