Il presidente e la pubblica opinione
Val Jumela: crollo verticale dell'immagine di Dellai. Che però, insiste. Perchè?
C'è stata una vistosa, importante novità, che in queste ultime settimane ha caratterizzato e fortemente influenzato la vicenda della Val Jumela, fino a renderla emblematica: il progressivo definirsi di un’opinione pubblica, discreta ma decisa, fermamente contraria a un tipo di sviluppo obsoleto e clientelare, che ha poco presente e nessun futuro.
Il dispiegarsi delle argomentazioni, opportunamente messe in rilievo dagli organi di stampa, ha via via chiarito alcuni punti: che la società impiantistica del Buffaure è in cronico deficit perchè sfrutta una zona non vocata allo sci; che i nuovi impianti servirebbero piste altrettanto inadeguate, fornirebbero un collegamento macchinoso a una zona tutto sommato ancora secondaria (il Ciampac) e quindi sarebbero irrilevanti per alleviare il deficit, anzi probabilmente lo aggraverebbero; che tutta l’industria del turismo bianco sta subendo una - forte e non contingente - contrazione della domanda; che è tutto il turismo trentino a doversi ridefinire, probabilmente in un’ottica meno industriale e più ecologica.
Queste considerazioni - non contrastate se non debolmente da qualche azionista della società Buffaure - sono state sostenute non solo dalle associazioni ambientaliste, ma dalla Sat, dalla Cgil, e da una serie di documentati interventi dell’ex dirigente del servizio Impianti a fune della Pat ing. Umberto Groff, del prof. Geremia Gios della Facoltà di Economia, e da approfonditi servizi di Franco de Battaglia sull’Alto Adige.
A questo dispiegarsi di motivazioni e prese di posizione, il presidente della giunta provinciale Lorenzo Dellai, principale sponsor degli impianti, non ha fornito alcuna risposta: se non un improponibile "si deve decidere" dove decidere vuol dire solo dire di sì.
E allora è incominciata a manifestarsi un’ulteriore realtà (l’Epifania della Margherita, scrive Walter Micheli su questo numero): una politica ancora intesa, secondo gli antichi costumi dorotei, come il prevalere degli interessi immediati dei clienti rispetto sia a un’oculata distribuzione del denaro pubblico, sia rispetto a una visione complessiva dei problemi; con in più un nuovo disprezzo per gli alleati, per la struttura provinciale (gli organismi tecnici che esprimono pareri non conformi ai desideri della parte politica) e in definitiva per la pubblica opinione.
Di qui il crollo verticale dell’immagine di Dellai. A vari livelli. A livello di stampa, con i quotidiani che fino a alcuni mesi fa lo osannavano come il grande leader, per poi assumere via via atteggiamenti sempre più critici, e che ora gareggiano nell’impallinarlo (ultimo suo supporter era, sull’Alto Adige, Roberto Colletti, esibitosi in tre successivi acrobatici fondi nel tentativo di giustificare l’ingiustificabile - su area Michelin, sulla legge sul commercio, su Infostrutture - ma poi arresosi di fronte alla Val Jumela). Crollo anche a livello di partner politici: a parte l’Unione Commercio Turismo e il ladino on. Detomas, non una voce si è levata a favore del Presidente, non dai Popolari, non dalla Margherita. Come pure a livello di opinione della gente comune: basta leggere le lettere ai giornali, sentire le discussioni nei bar.
Perchè tutto questo? Come mai un politico esperto e intelligente come Dellai, che in altre occasioni ha saputo dimostrare una capacità eccezionale nel venire a capo di situazioni difficilissime (pensiamo ai primi anni ’90, quando ha saputo pilotare una truppa fuori dal crollo della Dc, riconquistare la poltrona di sindaco, per poi fondare la Margherita, e a fronte della inconsistenza nazionale dei popolari, divenire forza e personaggio egemone nella Provincia) come mai ha ora gestito così malamente e il potere e il rapporto con la pubblica opinione?
Non sappiamo dare una risposta precisa. Ne vengono presentate diverse.
Ipotesi 1. "E’ il braccio che comanda la mente" ci dice un osservatore: è Grisenti, l’assessore legato al mondo degli affari, che ora guida Dellai, il politico. In altre parole la polarità politica-affari che attraverso un delicato equilibrio interno (e una notevole faccia tosta esterna) ha sempre caratterizzato la carriera di Dellai, si è risolta con un’infausta preminenza del secondo polo: forse per il peso di debiti contratti nella costosa campagna elettorale, forse per le pressioni di un mondo che chiede di onorare scadenze, chiede "di decidere" (dove nel verbo decidere non è contemplata l’opzione negativa) su tutta una serie di discutibili partite affaristiche.
Il mercoledì in cui la giunta ha deciso il fatidico pasticcio sulla Jumela, ad affiancare il presidente nella sfiancante giornata c’era il fido Duiella: che è parimenti presidente della Trentino Servizi, la società che assorbe le municipalizzate Sit e Asm, e che dovrebbe divenire maggioritaria in Infostrutture e quindi nel business della cablatura del Trentino. Un groviglio di politica/affari, pubblico/privato in cui la visione delle istituzioni non può che naufragare di fronte alla logica del clan.
Ipotesi 2. La sindrome del leader, motivazione soprattutto psicologica. Dellai, si sa, non ama collaboratori che gli facciano ombra, come assessori non ha voluto personalità forti come Chiodi, Passerini, Leveghi, nella Margherita non ha voluto in lista l’on. Azzolini, anche a costo di perdere voti. Ama comandare, gli assessori li dirige a bacchetta: "Fate presto a dire voi, ma dovreste sapere quanto è difficile trattare con Dellai quando si arrabbia!" ha confidato un assessore (che per questo si meriterebbe la sostituzione, ma è un altro discorso). Il boss è entrato in crisi quando si è trovato di fronte, come nuovo segretario dei Ds, Mauro Bondi. Che non si spaventa, ribatte colpo su colpo, gli rinfaccia impegni presi, documenti sottoscritti: "questa è la tua firma" gli ha mostrato in calce al documento programmatico in cui la maggioranza stabiliva di non dare il via a nuovi impianti a fune se non in seguito a una verifica complessiva sul turismo invernale. Dellai ha preso le sue carte e se ne è andato, sbattendo la porta. E il giorno dopo ha imposto il sì agli impianti.
Ipotesi 3. La convinzione che la politica "vera" corra su altri binari. Che poi sono i soliti binari del contributo, dei favori ai potentati alleati. "Io cerco di impostare una politica complessiva, ma poi lui mi scavalca, per favorire questo o quello" si lamenta un altro assessore.
La Margherita aveva vinto le elezioni attraverso un geniale mix di vecchio e di nuovo: "Per voltare pagina" era lo slogan; e poi gli uomini erano scelti in massima parte nel personale politico più tradizionale. Nella pratica del potere il vecchio ha prevalso sul nuovo, l’antica cultura dorotea ha spazzato le velleità di rinnovamento. Ma in questo processo, Dellai si è allontanato dalla vincente ispirazione iniziale: e non si accorge di star perdendo quella parte del Trentino del duemila, che aveva confidato in lui per un rinnovamento non traumatico, ma reale.
Ipotesi 4. La pochezza degli antagonisti. Una destra debole, e che in una sua parte (Forza Italia in testa) agogna ad essere nuovo partner di governo dopo apposito ribaltone. Una sinistra frammentata, litigiosa (abbiamo assistito anche a baruffe su chi è più coerente nell’opporsi ai famigerati impianti!) subalterna. In questo panorama politico Dellai si sentiva tranquillo. Con i suoi assessori di sinistra riteneva di avere un (tacito?) accordo che sulla Jumela loro avrebbero votato contro, e tutto sarebbe finito lì. Un altro via libera era venuto da improvvide dichiarazioni di Iva Berasi dei Verdi e Roberto Pinter di Solidarietà ("Dimettersi vorrebbe dire aprire le porte al peggio" "Questo è l’ultimo errore sull’ambiente, altri non ce ne potranno essere"; che a noi ricordano i tentativi di sgattaiolare di un nostro ex-preside, persona tre volte buona, che di fronte a uno studente fedigrafo o un insegnante fannullone diventava conciliante: "Questa volta la lasciamo passare - poi ingrossava la voce - La prossima invece..." e agitava la mano in un improbabile gesto di minaccia).
Dellai quindi su questo fronte si riteneva tranquillo. Ma invece lo Sdi con Leveghi e i Ds con Bondi non ci sono stati. E così la sinistra ha scoperto che, proprio rimanendo fedele ai propri contenuti, può entrare in sintonia con la società. O almeno con la parte, probabilmente maggioritaria, che chiede un rinnovamento del Trentino.
Guarda un po’ che scoperta.