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QT n. 21, 4 dicembre 1999 Cover story

I professionisti della solidarietà

Il meccanismo è semplice: agenzie specializzate raccolgono offerte in denaro a favore di benemerite associazioni, in accordo con queste ultime; ma quasi niente del raccolto finisce davvero in beneficenza, e quasi tutto a queste ingegnose agenzie. Alcune delle quali sono finite nei guai, ma probabilmente il gioco continua. Un protagonista ci spiega il meccanismo, per cui...

Lo scorso mese ha avuto una prima conclusione presso il Tribunale di Trento una strana vicenda che ha visto coinvolte alcune agenzie specializzate nella raccolta di beneficenza. Una vicenda triste eppur istruttiva, che la stampa ha sbrigativamente seguito dal solo punto di vista processuale senza soffermarsi più di tanto sul meccanismo della truffa. Invece un incontro casuale con "Mario", un ingranaggio basilare della macchina ma estraneo alla truffa, e la sua disponibilità a parlarci della sua esperienza di "corriere" della beneficenza, ci hanno illuminato sulla vicenda e ci permettono di illustrarla più compiutamente.

Molto semplice il meccanismo, perfino troppo: un’agenzia, di solito con base in Emilia Romagna, apriva a Trento una succursale che faceva ispezionare, ogni due - tre giorni, da un coordinatore. Un responsabile locale curava l’ufficio, verificava il lavoro e, soprattutto, agganciava le associazioni di beneficenza o volontariato, tipo lotta ai tumori, alle distrofie, all’Aids, di sostegno all’handicap, ecc. Si presentava ai loro dirigenti come specializzato nella raccolta di denaro tramite l’allestimento di spettacoli benefici e si offriva di organizzarne uno per loro, del quale si impegnava a curare, con suo personale, la prevendita dei biglietti. Infine dava per scontata una sostanziosa entrata.

Mostrava, a garanzia della serietà dell’agenzia, un curriculum sull’attività svolta in passato per altre associazioni ed i risultati ottenuti esibendo, per ulteriore rassicurazione, la registrazione degli estremi dell’agenzia presso il tribunale.

Se si raggiungeva l’accordo, tra l’associazione in questione e l’agenzia si stipulava un vero e proprio contratto: alla prima veniva garantito un fisso oppure una percentuale, comunque legata al numero di presenti in teatro muniti di biglietto, meno le spese; alla seconda veniva concessa una delega ufficiale ad effettuare la raccolta.

Le associazioni, immemori dell’antico "Timeo Danaos et dona ferentes", non si ponevano domande né si facevano venire dubbi su come funzionasse la raccolta pur di avere quattro spiccioli: se li trovavano direttamente in tasca senza fatica e poi… nessuno spara a Babbo Natale!!!

L’agenzia avviava la sua attività facendo stampare buste, lettere, dépliant, deleghe singole, ecc. con il logo dell’associazione, i biglietti per lo spettacolo e le ricevute per il denaro raccolto; quindi assumeva delle ragazze, magari presentandole come appena assunte in caso di visite dell’ispettorato del lavoro per contattare telefonicamente i potenziali donatori.

A questo punto si concretizzava la procedura che in seguito avrebbe comportato per i responsabili l’imputazione di truffa.

Le telefoniste, dopo aver ricevuto dal responsabile un tabulato con nome e indirizzo di chi in passato aveva acquistato biglietti oppure versato denaro, si mettevano in contatto con questi "benefattori" dicendo di far parte della tal associazione o lasciandolo credere. Sollecitavano la loro disponibilità a comprare uno o più biglietti avvisando, in caso di risposta affermativa, che presto sarebbe passato di lì un incaricato dell’associazione stessa (non dell’agenzia!) a consegnare i biglietti e ritirare i soldi.

Qui entra in campo la nostra "gola profonda", Mario: "A questo punto il responsabile dell’ufficio assumeva altri ragazzi per consegnare i biglietti e ritirare il denaro. Io l’ho fatto per 7-8 anni ma non avevo alcuna responsabilità. Andavamo avanti 2-3 mesi, si batteva tutta la provincia, 20 giorni su Trento, poi Malè, Riva, Canazei, Storo, i quattro punti cardinali della provincia insomma. In genere si tiravano su 100 milioni, ma dipendeva dal nome dell’associazione per cui si lavorava. Mettevo il denaro raccolto e le ricevute dei clienti nelle buste con l’intestazione delle associazioni.

I 100 milioni vanno riferiti a tutto l’introito: con la vendita dei biglietti si raccoglievano 70-80 milioni ma poi l’agenzia, non so se d’accordo con l’associazione, raccoglieva anche offerte libere: l’incaricata al telefono non era una sprovveduta, se non riusciva a vendere il biglietto non mollava subito l’osso e ripiegava sulla richiesta di un’offertina di 10 o anche 5.000 lire. Posso stimare queste offerte libere tra il 10 e il 30 % del totale… Anche qui dipendeva dal nome dell’associazione per cui si lavorava."

Ecco la truffa: essa non era tanto a carico dell’associazione (c’era di mezzo un contratto e non si discuteva), quanto del soggetto che acquistava un biglietto o elargiva un’offerta cui si lasciava o faceva intendere che l’associazione stessa stava telefonando per raccogliere soldi. Non gli si specificava che il denaro sarebbe stato raccolto da un’agenzia privata "per conto" di un’associazione e ancor meno gli si quantificava il costo della raccolta: sarebbe stata ben dura spiegare ad un donatore che, delle 30.000 lire da lui pagate per un biglietto, 25, 27 e perfino 29.000 sarebbero sparite sotto la voce "spese per vendita dei biglietti e raccolta dei fondi".

L'addebito, mosso dall’accusa a uno degli imputati, tal Santifilippo, era proprio quello di aver ingiunto alle telefoniste: "Dovete presentarvi direttamente a nome dell’Unicef!". Infatti se la ditta avesse presentato le cose come stavano realmente, non ci sarebbe stato reato, perché alla base c’era un accordo tra le parti. La legge non vieta ad alcuno di chieder soldi: la truffa sorge quando fai credere una cosa per un’altra, poiché c’è una bella differenza tra dire "Io sono dell’associazione contro il cancro…" invece di "Appartengo ad un’agenzia che raccoglie fondi per conto di...".

Purtroppo i responsabili delle associazioni si fidavano e fornivano la carta intestata o ne consentivano la riproduzione all’agenzia per permetterle di ufficializzare la posizione dei suoi inviati ed autorizzarli ad incassare i soldi.

Mario continua: "Alle ragazze, per spingerle ad impegnarsi di più, veniva riconosciuta una percentuale sulle somme raccolte. Così, magari di loro iniziativa, si spacciavano per la tal ‘dottoressa’ dell’associazione, anche se non lo erano e ancor meno erano dell’associazione… Una faceva ancora l’università e si spacciava per dottoressa per far più colpo".

Ancora Mario con una riflessione sul presente: "E’ difficile impedire che il giochetto continui! Dopo i processi di aprile e ottobre, a Trento si sono fatte largo altre due agenzie, una in via Zara, l’altra in viale Rovereto; ma può darsi che queste operino in modo corretto. Proprio l’altro ieri ho fatto un colloquio di lavoro con una di queste..."

Ma dove finivano e chi beneficiavano concretamente i soldi raccolti casa per casa?

"Tutte le agenzie lavorano allo stesso modo, cambiano solo le percentuali della spartizione. Faccio un esempio con due conti: su 100 milioni che io stesso tiravo su, 10 erano per me, 10 per le telefoniste, 10-20 milioni in costi dell’artista, teatro, stampa di biglietti ecc., altri 10 in affitto, uffici, allacciamenti telefonici ecc.., 10 al direttore, 30 all’agenzia... Per l’agenzia erano tutti costi della consegna dei biglietti, non riguardavano il contratto con l’associazione. Io trattenevo la mia parte ogni sera e portavo il resto in ufficio. Loro conteggiavano l’importo complessivo di queste buste e le due parti - il mio 10% e il loro 90% - dovevano coincidere. So bene quanto tiravo su perché la raccolta la facevo da solo o con un collega; a volte arrivavo ad un milione e più al giorno. Ero in nero, mi davano una percentuale del 10%: tanto incassavo, tanto guadagnavo. Chi organizza queste raccolte non deve rendere conto a nessuno se non ad un contratto iniziale, ma all’altro contraente fa sapere ben poco su quanto ha effettivamente incassato".

La signora Francesca Mezzanotte, segretaria dell’Anfcc (Associazione Nazionale Famiglie contro il Cancro), racconta come una sua amica benestante avesse consegnato "ad un inviato dell’associazione" mezzo milione per 10 biglietti da 35.000 lire, lasciando il resto in contanti come offerta. Venuto a galla l’imbroglio e saputo dall’amica della donazione, la signora si recò immediatamente dall’agenzia a reclamare i soldi: le fu rimesso il corrispettivo dell’offerta ma non il ricavo dei biglietti: quello era sparito per contratto. L’inganno iniziava a monte, allorché il rappresentante dell’agenzia, nell’accettare l’incarico, faceva presente che comunque il teatro non conteneva più di un certo numero di persone e che pertanto più di tanti biglietti non si sarebbero venduti: "l’incasso sarà quel che sarà, accontentiamoci…."

Ancora Mario: "Qui da noi gli spettacoli erano organizzati al Roma, 600 posti. Per fare un esempio, si prospettava un incasso sui 6 milioni ipotizzando 200 presenti a 30.000 l’uno ma, diceva l’agenzia, ‘abbiamo chiaramente delle spese - 2/3 milioni - per organizzare spettacolo, prevendita, noleggio della sala, l’artista; il resto è per voi’. Questa è un’ipotesi da 200 biglietti; ma magari in teatro venivano 3/400 persone e anche più e loro partivano da un incasso di 10-15 milioni di cui 5- 7 se ne andavano sempre in spese. Alcune agenzie, quando operavano per associazioni come l’Unicef, arrivavano a raccogliere fino a 180, 200 milioni: fate un po’ di conti…. Io non credo che la magistratura abbia capito questo risvolto".

Nel mettere in giro 3.000 o più biglietti, dunque, l’agenzia contava sul fatto che ben pochi acquirenti sarebbero venuti realmente allo spettacolo ed esclusivamente su questi faceva i conti sui diritti SIAE da versare: degli assenti non c’erano tracce. Mario: "La gente se ne dimenticava e lo spettacolo contava di solito su artisti da quattro soldi, non certo di grido. In un’occasione era stato contattato anche Castelli, il quale però, per niente convinto della bontà dell’iniziativa, si era negato. Allora avevano ripiegato su due Carneadi qualunque, certi Sbardella e Faoro. Tutto regolare… meno che la spartizione dei soldi s’intende! Alla gente non interessava andare in teatro, si sentiva a posto perché aveva fatto già abbastanza e poi lo spettacolo si teneva solitamente di lunedì".

In effetti quanti andrebbero ad uno spettacolo di cabaret un lunedì 28 giugno alle 16, 30? La direzione del cinema Nuovo Roma conferma di non aver mai registrato il pienone per questi spettacoli, ma sottolinea l’ineccepibile correttezza delle agenzie nell’onorare i conti. In ogni caso, mediamente, questi "galoppini della beneficenza" raccoglievano porta a porta sui 100 milioni. Certo, se si presentavano a nome di associazioni tipo quella dei "5 corpi di polizia in congedo" raggranellavano meno rispetto ad altre che esercitavano un richiamo molto forte sulla gente, quali il Filo d’Oro, l’Unicef o quelle impegnate nella lotta ai tumori o all’Aids.

Ancora Mario: "Avrebbero continuato all’infinito se non fossero finiti contro un’associazione, la già citata Anfcc, l’unica in città a sostenere il metodo Di Bella, decisamente in auge a quel tempo. La gente era molto sensibilizzata, sosteneva il medico, era facile raccogliere soldi, sicché una di queste agenzie, quella dei Maglia, si fece avanti offrendo la sua competenza per farlo. Il presidente dell’associazione, poco dopo aver accettato, si dimise e il nuovo si ritrovò con il contratto stipulato in mano e la raccolta non ancora partita ma, invece di chiudere occhi ed orecchi, volle vederci chiaro e, scoperto il trucco, fece di tutto per far partire l’inchiesta. Poi s’è messa di mezzo anche la farmacista Ferri di Martignano, l’unica in città a vendere il protocollo Di Bella: alcuni dei suoi clienti erano venuti in farmacia a chiederle come mai mandasse in giro persone a domandare soldi a suo nome. Trasecolata, ma ben decisa a vederci chiaro, la signora non esitò ad interessare la magistratura. Da lì è partita l’inchiesta portata avanti dai Nas fino all’imboscata finale, al teatro Nuovo Roma, con agenti in borghese ad assistere al passaggio di mano di strani assegni."

Il modus operandi al limite della legalità ed anche oltre di queste agenzie è ben diffuso e perfino specializzato per settori. Mario: "Un caso è la raccolta di indumenti usati e stracci organizzata ogni anno, in tutta la provincia, a nome di fantomatiche leghe dei tumori. Tutto si mette in modo allorché un’agenzia ‘specializzata’ va da una di queste associazioni (in questo caso dei tumori), spiega la sua attività, fa balenare l’opportunità di realizzare un buon introito e propone la firma di un contratto apparentemente vantaggioso.

Da questo momento parte, di casa in casa, la raccolta. Nei fatti però, l’agenzia venderà ai filatoi solo vestiti usati e stracci di lana vera consegnandone, detratte le ‘spese’, l’incasso corrispondente all’associazione. Prima viene effettuata una cernita dei vestiti ancora in buone condizioni, ma pagati all’associazione al prezzo di stracci, che saranno avviati ai mercatini dell’usato con ben altro ricavo. Una terza parte di stracci senza valore viene buttata via: avete visto che ne hanno trovata nelle discariche di mezza Italia?" Pecunia non olet…

Avolte queste associazioni agiscono con l’avallo di autorità pubbliche come comune e questura: "C’è un’associazione, ad esempio, che ciclicamente raccoglie soldi davanti agli ospedali, ai supermercati o per strada, servendosi di ragazzi che si rivolgono ai passanti chiedendo di firmare una carta e poi di fare un’offerta per la lotta all’Aids o alla droga. E’ una messa in scena: la carta firmata non conta niente, la stracciano appena finito e si tengono i soldi. Ma tutto è in regola: i ragazzi si fanno rilasciare dal questore un’autorizzazione per poter sensibilizzare la gente e con questa vanno dal sindaco a chiedere la sua. Lui non può far altro che concederla e alla fine risulta che è il sindaco ad autorizzarli, quando per legge le comunità terapeutiche sono convenzionate ed hanno già il contributo che basta per la loro sussistenza". La fabbrica della beneficenza.

Domanda finale: come è potuto accadere che per tanto tempo tante benemerite associazioni non si siano accorte di nulla, non abbiano sospettato di essere strumentalizzate da questi professionisti della beneficenza?

Abbiamo tentato di chiarire questo aspetto della vicenda, ma con esiti sconfortanti. I pochi interlocutori che abbiamo rintracciato non hanno saputo darci spiegazioni esaurienti, e per il resto abbiamo trovato telefoni che squillavano a vuoto o segreterie telefoniche sulle quali abbiamo lasciato messaggi rimasti senza seguito...