Anime evaporate
Le bussole ideali non mancano alla sinistra. Eppure, dall’aeroporto di Mattarello agli incontri con i sindaci, sembra emergere una sudditanza verso i poteri forti, le corporazioni, i vecchi modelli di sviluppo.
Sullo sfondo c’è la rapida conclusione dell’ultimo feeling tra i popoli d’Europa e le nuove e vecchie socialdemocrazie del continente. A sanzionarla la guerra e la disoccupazione, fatali in ogni fase del secolo all’azione delle sinistre di governo.
Più, in presa diretta, la crisi dell’anima della sinistra riformista in Italia. Capace di battersi per obiettivi immediati e non velleitari, ma in difficoltà quanto a rappresentazione d’ interessi profondi e speranze future. Quasi un’ evaporazione dell’anima come è stato ricordato in questi giorni.
Risposte di un provincialismo sconcertante inducono a sostenere che la crisi del pensiero debole del riformismo europeo (quello dei Blair e degli Schroeder) possa essere superato con uno ancora più debole, quello degli asinelli nostrani.
Il successo della lista radicale di Emma Bonino, espressione di cicliche insofferenze ai riti di palazzo, è ricondotto a logiche di miserabili scambi nel pianeta degli incarichi internazionali.
E la sinistra trentina, ridotta ad esigue percentuali ed ancor più esigui voti assoluti, mai toccati nemmeno negli aridi anni della guerra fredda?
Anch’essa ha evaporato l’anima, ormai esausta dopo stagioni intere di bizantine dispute sui percorsi necessari per portare ad unità le antiche e più recenti sigle che hanno rappresentato la sua dignitosa, in qualche fase feconda e originale storia?
Le sorgenti che dovrebbero alimentare le ragioni dell’azione riformista, sembrano dimenticate. Non sono più ricordate nemmeno per formale omaggio a valori indispensabili a creare una piattaforma comune.
Siamo reduci dal confronto elettorale europeo. Pochissimi hanno rivendicato come patrimonio e progetto della sinistra il manifesto di Spinelli, Rossi e Colorni per gli Stati Uniti d’Europa che costituisce un ambizioso programma politico, di cui l’unificazione economica e monetaria è solo un primo passo. La sinistra trentina ha tratto in passato da quel documento le ragioni ideali per fare dell’autonomia altoatesina, trentina, regionale un’esperienza positiva in Europa. Si è scelto di parlare d’altro.
Nelle settimane appena trascorse la Camera dei De- putati ha finalmente approvato la Convenzione delle Alpi, un trattato internazionale che fissa direttive ed indirizzi per la tutela e la qualità dello sviluppo nelle regioni alpine.
In contemporanea è stato presentato anche a Trento il primo rapporto sullo stato delle Alpi. Emerge dallo stesso in modo eloquente che l’equilibrio perduto nelle regioni alpine, non solo nei suoi aspetti ambientali, ma anche economici e culturali, è provocato prevalentemente da una politica turistica e dei trasporti acriticamente riproposta dagli anni Sessanta ad oggi. Fatto di parossistica rincorsa tra nuovi impianti, seconde case, infrastrutture viarie per raggiungere i nuovi insediamenti in quota, slavati e dilatati fino a far perdere la connotazione dei secolari paesi alpini.
Se in queste settimane di messaggi elettorali, di qualcosa si è parlato da parte di candidati della sinistra riformista, a proposito di politiche per le regioni alpine, è stato solo per insistere sui modi più veloci per attraversarle.
Riverbero di questo modo vecchio, vecchissimo di intendere il nostro futuro, lo si avverte seguendo le cronache degli incontri della giunta provinciale con gli amministratori delle nostre valli. Cosa si chiede? A cosa si risponde? Ma alle obsolete rivendicazioni di nuovi impianti e caroselli e poi strade e tunnel dalla Valle di Sole alla Valle di Fassa. A ciascuno la sua parte, alle corporazioni dei poteri forti e alle singole valli. E l’aeroporto di Mattarello per tutti.
In nome di un’insana concorrenza con Bolzano e di una presunta modernità che non dovremmo lasciarci sfuggire a nessun costo. Se poi i conti tornano, si vedrà dopo.
La sinistra è al governo del Trentino con un impegno di legislatura. Ha insistito nel suo programma sulla necessità di ricostruire un senso solidale di comunità con la consensuale elaborazione di patti territoriali, protagoniste le comunità locali e la giunta provinciale.
Ad oggi quello che si può dire è che se patti si sono intravisti, essi riguardano la tendenza a realizzare gli ultimi scampoli di ferrivecchi o infrastrutture che l’ultima fase di un doroteismo al tramonto non era riuscito a realizzare.
Non è un caso che l’unica esperienza che sembra marciare positivamente (vedi l’articolo pag. 18) è il patto della Val di Cembra, zona in cui sembrano tacere i poteri forti (del porfido) e svolgere invece una funzione attiva l’insieme del mondo agricolo, in sintonia con le amministrazioni comunali.
Quindi le bussole ideali e programmatiche, nel dibattito storico e nelle esperienze attuali, non mancano alla sinistra trentina. Il problema è se a queste si vuol fare riferimento.
O se invece si persevera nel mettere al centro dell’attenzione le astratte dispute sui contenitori (federazione della sinistra, partito unico democratico o socialdemocratico, Ulivo 2, Cosa 3...); e ridurre nella pratica i contenuti all’accettazione, con qualche emendamento, alla riproposizione dei modelli passati.
Mentre invece, rimettendo al centro i nodi del Trentino (quale sviluppo, quale modello sociale post-doroteo) anche i dibattiti politici riacquisteranno dignità e concretezza: sia quello (peraltro attualmente in ombra) del rapporto con gli interlocutori politici, in primis la Margherita, sia quello sulla forma con cui approdare a più efficaci forme di unità del variegato mondo riformista.