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QT n. 12, dicembre 2023 Servizi

La mafia è qui... e i trentini non se ne accorgono n°2

La sentenza “Perfido” sui rapporti ‘ndrangheta-colletti bianchi. E una serata con il prefetto a Lona-Lases.

Nell’illustrare le motivazioni con cui la Corte d’Assise ha condannato i (presunti fino a sentenza definitiva) ‘ndranghetisti trentini a un totale di 77 anni di carcere (che vengono a superare il secolo con le sentenze degli altri due processi) nel numero scorso c’eravamo concentrati sulla dinamica dell’infiltrazione, sui danni all’economia, sulle prevaricazioni verso gli operai. E di come, di tutto questo, la società trentina non si sia molto curata; la politica poi se ne è allegramente disinteressata, arrivando al punto da mai pronunciare in campagna elettorale (tranne i 5 Stelle) la parola “mafia”, ritenuta troppo vergognosa per l’immacolato Trentino (di questa profonda inadeguatezza parliamo a pag. 20 attraverso interviste a personaggi della base del centrosinistra).

In questo nostro secondo articolo sulla sentenza andiamo a vedere come la stessa descriva proprio i rapporti tra gli imputati e gli ambienti politici e istituzionali, che oggi appunto fanno finta di niente.

La Corte non approfondisce le contiguità con gli alti livelli istituzionali (magistrati, un prefetto, vice-questore, generale dell’esercito...) che avevano fatto dire al PM Ognibene, in un empito di autocritica, “Li abbiamo lasciati scorrere dove e quando hanno voluto... c’è stato un assalto al Tribunale”. In sostanza lasciano perdere le relazioni che con queste autorità aveva instaurato il faccendiere Giulio Carini, “figura cerniera con i rappresentanti delle più elevate cariche istituzionali locali” tema demandato a un altro processo. Si occupano invece dei condizionamenti sulla politica locale, soprattutto quella comunale.

Anche qui, i politici coinvolti verranno processati separatamente, però il voto di scambio politico-mafioso, l’influenza della “locale” sulle decisioni comunali, le coperture che essa riceve dai sindaci, sono oggetto anche di questo processo.

La caserma dei carabinieri di Albiano.

Una cosa salta agli occhi: l’infiltrazione è riuscita alla grande negli ambienti istituzionali e politici della zona del porfido. Mentre a livello provinciale ci sono stati pesanti coinvolgimenti delle istituzioni, dal Presidente del Tribunale all’ex prefetto (i quali in seguito alle rivelazioni sono stati rimossi o hanno chiesto trasferimento), meno coinvolta è la politica provinciale, non c’è di mezzo un Dellai, ma un Mario Tonina e un Tiziano Mellarini, peraltro vicepresidente e assessore in Giunta provinciale, ma che stanno ben attenti a non dare troppa corda al soprannominato Giulio Carini, anche quando offre per l’estate una villa in Calabria sul mare (“Quando noi diciamo sul mare, non vuol dire vicino al mare ma che quando esci di casa tocchi l'acqua”).

Se ne può dedurre che la presenza della locale ‘ndranghetista di Lona-Lases era dominante in Cembra, e stava allargandosi al resto della Provincia.

Vediamo meglio.

Il primo aspetto che salta agli occhi è l’importanza che per i giudici ha il coinvolgimento dei Carabinieri di Albiano. Le capacità intimidatorie dei sodali sono rafforzate “dalla percezione, evidentemente diffusa nell’ambiente” che essi "godano di un particolare trattamento di favore da parte dei Carabinieri della stazione locale di Albiano; invero, gli stessi - in questa (si riferiscono al pestaggio dell’operaio cinese ndr) come anche in altre occasioni - si mostrano particolarmente solidali con tali soggetti”.

I giudici poi analizzano le altre occasioni in cui l’intervento dei Carabinieri viene a supporto non degli aggrediti, ma degli aggressori, e così concludono: “Da tali elementi risulta che la zona ove tali soggetti (i presunti ‘ndranghetisti ndr) esercitano le loro attività imprenditoriali è oramai sottoposta al loro controllo ed alla loro ‘giurisdizione’, da attuare anche con metodi violenti. Ed è particolarmente significativo il fatto che tale condotta intimidatoria venga esercitata anche in presenza dei Carabinieri della stazione locale, i quali o sono intimiditi ovvero paiono contigui a tale logica prevaricatrice.

E qui vogliamo sottolineare come i suddetti carabinieri siano stati indagati, e sia ora imminente il rinvio a giudizio, per vari reati tra cui: omissione di soccorso, omessa denuncia di reato con l’aggravante di aver agito per agevolare l’attività di un’associazione mafiosa, favoreggiamento per eludere investigazioni con l’aggravante dell’abuso di potere; e in particolare il comandante della stazione, Roberto Dandrea, per aver agito “come componente esterno dell’associazione criminale”.

La politica locale

Il secondo aspetto riguarda i condizionamenti che i nostri sodali hanno effettuato sulla politica locale, soprattutto comunale nella zona “sottoposta al loro controllo” come dicono i giudici.

il Commissario del Governo Filippo Santarelli

I casi più eclatanti sono le elezioni dei sindaci di Lona-Lases Roberto Dalmonego e di Frassilongo Bruno Groff. Nella compagine ‘ndranghetista, incaricato dei rapporti con la politica comunale era Pietro Battaglia, che – parafrasiamo lo scritto dei giudici - attraverso continui contatti con Dalmonego ha curato la formazione della lista elettorale, vi si è candidato, ed ha addirittura inserito come rappresentante di lista Mustafà Arafat, condannato per il pestaggio dell’operaio Hu XuPai.

Gli intendimenti, riportati in una intercettazione sono “vedere i propri interessi … e anche l’interesse della altre cave”. Sorge il problema che Battaglia, se diventa assessore, dovrà uscire dalla propria società estrattiva; concludono i giudici: “Significativamente, Dalmonego, eletto Sindaco, si attribuirà la delega relativa alla gestione delle cave di porfido, consentendo in tal modo di garantire il mantenimento dello status quo”.

Insomma per la Corte, sindaco e (presunti) ‘ndranghetisti sono pappa e ciccia.

E difatti Dalmonego è stato indagato per scambio elettorale politico-mafioso e ne è imminente la richiesta di rinvio a giudizio.

Forse ancora più serrata è la ricostruzione dell’assoggettamento del sindaco Bruno Groff al sodale Domenico Morello, già condannato con sentenza dello scorso dicembre.

Così i giudici sintetizzano i rapporti tra i due: “Il sindaco già lo aveva "coperto", evitandogli una denuncia in occasione dell'episodio in cui il Morello aveva utilizzato un'arma durante una lite con i vicini per un parcheggio; ne aveva celebrato il matrimonio nel 2012 e partecipato alla festa di nozze, e in vista delle elezioni provinciali del 2018 ha chiesto aiuto al Morello, il quale lo ha avvisato che il sostegno da parte della compagine calabrese comporterà l'obbligo di mettersi a disposizione e di sostenere gli interessi del gruppo di calabresi: “Una· mano ve la diamo; però vedi che noi, siamo tutti persone che hanno delle aziende, che possono avere delle necessità. Vedi che se poi, quando noi bussiamo, voi ci voltate le spalle, vedi che non va bene".

Alex Marini

Poi una cosa è il Comune di Frassilongo, un’altra la ribalta nazionale. I giudici infatti sottolineano come Morello si aspetti da Groff il passo più lungo della gamba: metterlo in contatto con Matteo Salvini in visita in Trentino, e lì Groff non soddisfa le attese.

Comunque per i giudici la filosofia di Morello e la sua gestione del rapporto con Groff sono emblematiche delle modalità attraverso cui il gruppo calabrese procedeva nell’infiltrazione nella società e nella politica. Morello, scrivono “si preoccupa di sottolineare l'importanza strategica, per il sodalizio, di inserire giovani fiduciari nel mondo politico” e poi riportano le parole dello stesso Morello “è il caso di entrare nella politica...quando fanno feste nella zona di Frassilongo di non mancare, ora glielo diranno che loro hanno due giovanotti, se vorrà inserirli piano piano. Perché si entra in un mondo, che veramente apre....di conoscenza, e veramente aprono tante porte”.

A quando il processo?

Poi la corte scrive sui rapporti con il senatore Mauro Ottobre e con il generale Mauro Buffa. E riporta le durezze vagamente ricattatorie del faccendiere Giulio Carini, interfaccia (pulita) con i potenti del Trentino, ma all’occorrenza molto chiaro nei suoi intendimenti.

Di tutto questo però scriveremo in maniera più dettagliata quando si apriranno i processi ai colletti bianchi implicati.

E qui c’è qualcosa da dire. Le indagini su carabinieri, politici, autorità, faccendieri, cioè su quella parte – importantissima - di società che si è lasciata infiltrare, sono ufficialmente terminate il 29 marzo di quest’anno. Nel frattempo è giunto a sentenza il processo principale, prima ancora altri tre processi collaterali, tutti risoltisi con il riconoscimento dell’associazione mafiosa. Ora vogliamo sentitamente sperare che si arrivi quanto prima – e siamo già ad otto mesi dal termine delle indagini – alle richieste di rinvio a giudizio, e poi ai processi ai cosiddetti “colletti bianchi”.

Infatti sarebbe nefasto se si pensasse di circoscrivere l’infiltrazione mafiosa alle responsabilità di un gruppo di pregiudicati calabresi. Vorrebbe dire non capirne la portata, e lasciare la porta aperta ad ulteriori intrusioni.

Filippo Degasperi

L’incontro

col Commissario del Governo

In questo quadro, emblematica è stato l’incontro tenutosi al teatro di Lona-Lases il 28 novembre. Sollecitato dal Coordinamento Lavoro Porfido (che poi non è stato invitato), consisteva in una esposizione alla popolazione da parte del prefetto Filippo Santarelli delle risultanze della sentenza su ”Perfido”.

Una esposizione corretta, finalmente a Lona qualcuno che non fosse del Clp, addirittura una preminente autorità statale, affermava che c’era stata mafia e c’erano state delle condanne (in paese vige un’incredibile vulgata negazionista). Addirittura affermava: “Quello che è accaduto è doloroso, pesante, incide. Una comunità invasa, sottomessa a un fenomeno di mafia. Perché ci siamo presi questa malattia?

Detto questo, il prefetto incitava a guardare avanti. “Possiamo far tesoro dei nostri errori, Il passato lo dobbiamo conoscere, capire, ma in maniera serena.” E ancora “Il Trentino ha gli anticorpi, la cultura del rispetto delle regole” Cosa rispetto alla quale peraltro tutta la vicenda non solo di Perfido, ma dell’intero comparto del porfido, dice l’esatto contrario.

A difendere la correttezza dei trentini, anzi, della Provincia Autonoma, era schierata sul palco la dirigente della Provincia Laura Pedron, che arrivava a dichiarare “Dal 2017 nel porfido, dopo l’introduzione del marchio qualità non c’è altro settore meglio controllato”. Stiamo freschi. Tutte le intercettazioni ci dicono quanto i nostri sodali se ne impippassero dei controlli della Pat.

A ribaltare questa narrazione ci pensava Walter Ferrari del Clp, che ricordava le inadempienze della PAT, e financo le leggi provinciali fatte apposta per sanare le perduranti inadempienze dei porfidari. Insomma, un Trentino (o una sua significativa porzione) aduso a stravolgere, impunito, le regole. E allora vale la pena di ricordare come gli ‘ndranghetisti, a fianco alla frase “Trento è una città bianca… sono innocenti” dicessero ”Qui sono più ladri di noi”: che vuol dire: qui c’è l’illegalità, ma non conoscono la nostra, possiamo “fare affari della madonna”.

Gli interventi del pubblico – oltre a Ferrari l’ex sindaco Valentini, lo storico Vincenzo Calì, i consiglieri Degasperi e Marini, e anche chi scrive, pur riconoscendo la formale correttezza dell’esposizione del prefetto, ne contestavano il significato sostanziale, l’invito a guardare avanti, a voltare pagina.

In un teatro con 100 persone di cui però solo 18 erano di Lona-Lases, in un Comune in cui fare una lista è compito improbo e nei bar viene propalata la bufala che “Perfido” è finito in una bolla di sapone, in questa situafzione forse occorrerebbe fare chiarezza su un passato che ancora incombe.

Di qui la richiesta di una commissione d’accesso, che in un Comune con il sindaco indagato per scambio elettorale politico-mafioso, verifichi gli atti per accertare gli eventuali condizionamenti. Su questo il dott. Santarelli, cui spetta la potestà di provvedere alla nomina, opponeva il suo parere negativo: “La commissione d’accesso è un atto eccezionale, preso per impedire che prosegua un’attività delittuosa. È una misura rivolta all’attualità, non al passato. Occorre che il Comune sia funzionante, o non funzionante da poco. Per il passato, i condizionamenti sono stati accertati dalla magistratura ed ulteriori lo saranno nei prossimi processi.”

Su questo si discuteva, con significative obiezioni da parte dei consiglieri Degasperi e Marini.

Il paese ha tanto, tanto bisogno di chiarezza” concludeva l’ex sindaco Vigilio Valentini.