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QT n. 1, gennaio 2024 Servizi

Non disturbare il manovratore

Lona-Lases: i “pupi” condannati e i “pupari” lasciati tranquilli

Ancora una volta voglio scandagliare scrupolosamente le possibilità che forse ancora restano alla giustizia”, queste le parole dell’esergo – il motto posto dall’autore a introduzione di un libro - dell’ultimo romanzo/racconto che ci ha lasciato Leonardo Sciascia, tratte da “Giustizia” di Dürrenmatt. Alla lettura di “Una storia semplice” è stato dedicato il seminario di Paolo Squillacioti (curatore per Adelphi delle opere del grande intellettuale siciliano) tenuto al Liceo “Da Vinci” nell’ambito del percorso di formazione/aggiornamento iniziato lo scorso anno scolastico intitolato“Mafia: ma davvero?”.

La sera del 18 dicembre lo stesso Squillacioti è stato ospite del Coordinamento Lavoro Porfido in una serata pubblica presso il teatro di Lona, nell’ambito del percorso di stimolo alla comunità, anche attraverso la letteratura (a marzo e a maggio era stata proposto “Il giorno della civetta”), vòlto alla presa di coscienza di un fenomeno troppo a lungo negato: la presenza di soggetti legati alla criminalità organizzata calabrese e il disinvolto interfacciarsi con gli stessi dei maggiorenti locali in funzione della tutela di interessi particolari (in spregio e a danno degli interessi della comunità).

E ancora una volta la comunità è stata il grande assente (già lo avevamo visto alla serata con il Prefetto del 28 novembre scorso), rappresentata solo da due operai del porfido (uno in pensione e l’altro oggetto di indebite pressioni in azienda) e da un ragazzo dai tratti orientali, figlio di immigrati extracomunitari venuti a lavorare nelle cave. Quelli che hanno subito il peggiore sfruttamento nelle cave, tanto da rasentare la riduzione in schiavitù, anche se la Corte d’Assise ha derubricato il reato in quello di “caporalato” grazie agli accordi di conciliazione che i sindacati confederali avevano stipulato con le aziende su richiesta degli stessi titolari.

Tra la dozzina di presenti anche un inossidabile ex sindaco (animatore del Clp) il cui sbandamento, nel primo decennio del nuovo millennio, ha senz’altro contribuito a dissipare quel patrimonio di consenso e sostegno all’interno della comunità che era stato costruito attorno alle giuste battaglie del ventennio precedente.

Anche questo rappresenta senz’altro un fattore importante nell’ambito del disimpegno di molti; il momento più alto di tale sbandamento è consistito, infatti, nel sostegno alla lista capeggiata da Marco Casagranda nel 2005 (con il quale candidava Pietro Battaglia, condannato in primo grado nel processo “Perfido”), sindaco al quale si deve la nomina quale assessore alle cave di Giuseppe Battaglia, anch’egli condannato e riconosciuto come elemento con ruolo apicale nella gestione delle attività economiche della “locale” di ‘ndrangheta. Si badi bene, il problema non nasce dalla eventuale mafiosità di tali soggetti - allora difficilmente percepibile all’esterno, nonostante avessero già portato a termine nel 1999 l’acquisto miliardario della cava di Camparta, definito dalla PM dott.ssa Maria Colpani “probabile operazione di riciclaggio”, in società con uno dei maggiori imprenditori del porfido, ex sindaco di Albiano e consigliere provinciale dal 2002 - quanto piuttosto dal fatto che Casagranda rappresentasse, in continuità con il padre (tre volte sindaco, consigliere e assessore regionale dal 1982 al 2001), proprio la potente lobby del porfido, i “pupari”, con i quali l’amministrazione Valentini si era scontrata pesantemente.

Tuttavia, pur essendo tali fatti importanti per capire, mi sento di evidenziare come Valentini abbia coraggiosamente fatto pubblica autocritica (oltre ad aver dato prova, in questi anni, di grande impegno concreto e coerente) e quindi forse sarebbe utile mettere da parte diffidenza e sfiducia e non usare queste vicende come facile alibi per starsene alla finestra.

Una verità di comodo?

Così come nel racconto di Sciascia le massime autorità preposte, il magistrato, il questore e il colonnello, si accordano per una versione finale dei fatti che nulla ha a che vedere con i fatti stessi, si ha l’impressione che anche in tutta la vicenda relativa a “Perfido” sia in atto uno sforzo per minimizzare, circoscrivere, scrivere un finale tranquillizzante che, come tale, non comporti troppi sconvolgimenti. Come a dire: non possiamo fare a meno di perseguire e magari condannare alcuni “pupi”, ma occorre fare il possibile per non imbarazzare i “pupari” e soprattutto per non intralciare i loro affari. Su tali affari una luce sinistra si era accesa la sera del 22 aprile 1986, quando andava a fuoco l’automobile dell’assessore alle cave, parcheggiata davanti al Municipio, durante una riunione della giunta guidata dal sindaco Vigilio Valentini, che aveva provveduto ad adeguare gli irrisori canoni delle concessioni di cava. Metodo e finalità lasciano pochi dubbi sul fatto che fin d’allora si erano creati interessi comuni, volti a contrastare con ogni mezzo coloro che si proponevano, o si fossero proposti, di contrastare la predazione di quella risorsa pubblica costituita dai giacimenti di porfido. Una predazione avallata da un’Autonomia provinciale che ha sempre assecondato la lobby del porfido e che ha imposto (nel 1993), ai cinque comuni interessati, un sistema di calcolo dei canoni di concessione tale da mantenerli inferiori ad un terzo di quelli mediamente adottati nel resto d’Europa: ciò ha significato sottrarre alla collettività mediamente 10 milioni di euro all’anno, finiti indebitamente nelle tasche dei concessionari.

Giulio Carini

Sotto questa luce, la decisione del Commissario straordinario del comune (ed ex questore) Alberto Francini, di indire un quinto tentativo elettorale per il 25 febbraio, assume senz’altro il carattere di una scelta fatta per chiudere frettolosamente una vicenda lunga un quarto di secolo. Scelta assecondata dal rifiuto del Prefetto Filippo Santarelli di richiedere l’invio di una Commissione d’accesso a Lona-Lases, nonostante le maggioranze che hanno amministrato il comune dal 1995 al 2020 abbiano visto la presenza dei suddetti fratelli Battaglia condannati in primo grado per “associazione mafiosa”; nonostante un sindaco, Roberto Dalmonego, in carica dal 2018 al 2020 (ma che già aveva ricoperto tale carica dal 1995 al 2001) sia indagato per “voto di scambio politico-mafioso” e nonostante il Comune sia sull’orlo del default. Maliziosamente si potrebbe aggiungere che forse proprio per non disturbare tale operazione nulla si sa, ad oggi, di un “Avviso conclusione indagini” datato 29 marzo 2023, nel quale compaiono quali indagati i nomi del comandante la Stazione CC di Albiano (Roberto Dandrea), di un ex senatore (Mauro Ottobre), di due ex sindaci, di Frassilongo in valle dei Mocheni (Bruno Groff) e Lona-Lases (Roberto Dalmonego) e di un imprenditore, o meglio “faccendiere” (Giulio Carini). Capace, quest’ultimo, di relazionarsi con disinvoltura e nello stesso tempo con alcuni dei soggetti condannati in primo grado per “associazione mafiosa” da una parte, e con giudici (tra i quali il presidente del Tribunale), prefetti, vice questori, ufficiali delle Forze dell’ordine e politici, dall’altra. Un soggetto, cavaliere della Repubblica, che pur indicato nell’Ordinanza di custodia cautelare emessa nel luglio ed eseguita il 15 ottobre 2020, è stato fino ad ora tenuto lontano dalle aule di giustizia e forse proprio per la sua centralità nelle vicende relative al presunto insediamento ‘ndranghetista in provincia di Trento e soprattutto nello spiegare una “disattenzione” al fenomeno prolungatasi per quarant’anni. Situazione evidenziata dal PM dott. Davide Ognibene con le parole: “Siamo intervenuti fin troppo tardi, li abbiamo lasciati scorrere questa regione dove e quando hanno voluto” (definite da Ettore Paris, direttore di questo giornale, “parole autocritiche, pesanti, oneste ed amare”). Di fronte a tutto ciò, così come appare giustificata la decisione del testimone (“l’uomo della Volvo”) che nel racconto di Sciascia, dopo aver riconosciuto nel prete uno dei probabili complici del commissario corrotto, decide di non tornare indietro per fornire la sua testimonianza, può apparire oggi senz’altro giustificata anche la sfiducia di una larga parte dei cittadini di Lona-Lases.

Evidentemente anche quei cittadini estranei alla mafiosità di comportamenti che ha dominato fin qui (e sono molti), se ne stanno in disparte, non riconoscendo nelle istituzioni preposte la reale e concreta volontà di mettere in discussione quell’alleanza occulta tra soggetti legati ad interessi criminali e potente lobby locale (comitato d’affari), che nel corso di questi anni ha trasformato i diritti in favori (facendo prevalere non i meriti ma i legami di “comparaggio” politico-economico) e condizionato i risultati elettorali.

Per “un futuro libero e democratico” non bastano le parole, ci vogliono fatti; illuminare le zone d’ombra, sottrarre terreno all’opacità mediante una Commissione d’accesso e ridare alla comunità qualche speranza di giustizia che non si fermi ai piani bassi della società.