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Bolsonaro perde. Il Brasile vince e il mondo respira

Alla fine Lula ce la fa. Sconfitto il peggior presidente che l’Occidente abbia mai conosciuto ma sarà dura per il PT in un paese spaccato in 2 e col parlamento in mano al centrodestra

Con il 49,12% dei voti espressi contro il 50,88% di Lula, Jair Bolsonaro, forse il peggiore rappresentante della destra internazionale occidentale, liberista assoluto, militarista, antidemocratico, machista, razzista indifferente alle abnormi differenze sociali del suo paese, che non ha mosso un dito per evitare centinaia di migliaia di morti da Covid consigliando pasticchette e fornendo margini di allucinazioni ai milioni di complottisti cresciuti sul Pianeta, che ha aperto le strade ad un assalto rapido all’Amazzonia (e ai suoi popoli), ha fallito, primo caso del dopo-democrazia in Brasile, il suo tentativo di essere rieletto alla presidenza. Il mondo respira meglio, la democrazia brasiliana, pur in affanno, dimostra di avere un cuore grande, e la sinistra internazionale frena un poco la caduta in quell’incubo di destra ottusa che sta ingabbiando la sua sfera politica, birillo dopo birillo. Stop, punto e a capo.

Lula da Silva ha vinto e avrà un terzo mandato, prima volta nella storia della nuova democrazia brasiliana. Hanno votato 120 milioni di persone e 20 milioni, “solo” si direbbe guardando ad Europa e Usa, si sono astenute.

Immediatamente si apre la pratica della successione, che si compirà il 1° gennaio, che sarà difficilissima e molto probabilmente vedrà Bolsonaro, emulo di Donald Trump, tentare vie, anche le più scorrette per cercare di far invalidare il risultato. Si era preparato per anni a questo, continuando ad affermare il suo assoluto scetticismo verso il voto elettronico, in uso nel paese da decenni. Persino il giorno delle elezioni, unico giorno di votazione in un paese che conta 156 milioni e mezzo di aventi diritto al voto, il presidente ha fatto il gioco sporco. Nelle zone del Nord e Nordest, in cui Lula al primo turno ha ottenuto percentuali alte di consenso, un alto funzionario di polizia ha fatto fermare per le strade centinaia e centinaia di pullman carichi di persone che si recavano ai seggi elettorali col risultato voluto di paralizzare quelle strade sino alla chiusura dei seggi. E c’è da temere seriamente che per avere successo non avrà tentennamenti e si rivolgerà alla folla, a quel 49%, mezzo Paese, che ha dietro per cercare una spallata antidemocratica.

Lula ha rivinto ma è stata dura. Perché ce l’ha fatta? Da due anni i più illuminati tra gli analisti politici brasiliani affermavano che Lula avrebbe vinto al primo turno e perduto al secondo, perché aveva in Brasile un tasso di rejeição (rifiuto) enorme, distribuito anche nei territori di sinistra. A causa del suo secondo mandato di governo in cui il Partido dos Trabalhadores aveva accettato le pratiche di compra-vendita dei voti nel parlamento di Brasilia ed era stato messo alla berlina da quel giudice Moro, “politicizzato” tanto da diventare poi ministro nella compagine governativa di Bolsonaro, che aveva cercato di dimostrare con l’operazione Lava Jato (un giro di pagamenti di 1,7 miliardi di euro confluiti verso quel “centro in vendita”, o Centrão, che in Brasile determina la vita e la morte dei governi) che il Brasile era in mano ai corrotti. Inacio Lula da Silva si era fatto allora milioni di avversari anche tra i simpatizzanti del centro-sinistra, che nei mesi scorsi si sono coalizzati con le destre turandosi il naso ed anche la bocca. Ed hanno portato il corrottissimo Jair Bolsonaro ad un lieve soffio dalla seconda vittoria.

Lula in quella occasione si era fatto 580 giorni di prigione e ne era uscito perché il Tribunale Supremo Federale aveva annullato la sentenza. Ma per vizi tecnici, e poi la prescrizione. Però fu in quel momento che Il PT e Lula dimostrarono di essere una forza che poteva riscattarsi, all’interno del sistema democratico. All’ex presidente varie ambasciate sudamericane avevano proposto l’asilo politico, ma lui e i massimi vertici del partito decisero che sarebbe uscito dalla sede del sindacato dei metallurgici di cui per anni era stato leader e si sarebbe consegnato in carcere. Era l’intera sinistra che accettava definitivamente le regole della democrazia, cosa ancora non avvenuta per la destra brasiliana.

Le ragioni della vittoria

Lula e il PT hanno vinto questo terzo mandato perché, al di là dello scandalo Lava Jato, i governi di sinistra, soprattutto col primo mandato presidenziale, avevano combattuto la fame di 40 milioni di persone in Brasile, fatto passi avanti nella marcia di liberazione delle masse di colore riservando loro anche quote di frequenza universitaria, avevano lavorato per un migliore sistema sanitario e cercato di rallentare l’attacco all’Amazzonia e azzerare il genocidio dei popoli nativi.

Ma Lula e il PT non hanno vinto da soli. Al ballottaggio hanno ottenuto anche una parte dei voti che al primo turno erano andati al pluriparlamentare e governatore del Nordest Ciro Gomes (3%). E soprattutto Lula lo ha votato una parte di quel 4% che al primo turno aveva preferito la senatrice di centro-destra Simone Tebet, che così aveva giustificato il consiglio ai suoi seguaci di votare Lula al secondo: "Sono per un Brasile inclusivo, generoso, senza fame e miseria. E che rispetta la libera impresa, l’agrobusiness e l’ambiente". In una intervista al Corriere della Sera aveva aggiunto: "Oggi abbiamo un presidente che minaccia la democrazia, non rispetta la Costituzione e non promuove l’armonia tra i poteri". La stessa aveva accusato Bolsonaro di codardia, soprattutto per le minacce a giornalisti, parlamentari e alle donne, trattate quasi sempre con spirito da bassifondi dell’esercito.

Ora siamo in attesa di altre pazzie antidemocratiche di Bolsonaro. Fiato sospeso sino al primo gennaio. E quando Lula siederà sulla poltrona di presidente per la terza volta (ci pare difficile pensare ad un vero e proprio passaggio delle consegne) troverà un paese incattivito ed esattamente diviso in due, “polarizzato” come ama affermare la stampa brasiliana.

Ci sono stati morti ammazzati da ambo le parti durante la campagna elettorale e le bandiere di Lula e dell’oriundo veneto Jair Bolsonaro sono state deposte a tappeto sull’asfalto, dall’una e dall’altra parte, per costringere gli automobilisti a calpestarle. Sarà difficile uscire da questa catena di odio che ha fatto circolare a milioni di copie sui social un annuncio listato a lutto un minuto dopo la dichiarazione di vittoria di Lula: "Il Gigante è stato ucciso dal suo proprio popolo! Il popolo brasiliano ha dimostrato al mondo che appoggia la corruzione e la criminalità". E dovrà proprio essere quel Centrão corrotto e “fisiologista” (sempre coi vincitori) a dover fornire una massa di manovra al governo Lula.

Sarà dura per Lula

Lo farà senza pagamenti e magari solo per poltrone? Perché il centrosinistra non ha la maggioranza in parlamento: al primo turno del 3 ottobre, i voti al partito di Bolsonaro e al Centrão - allora suo alleato - avevano garantito alla destra la maggioranza sia alla Camera che al Senato.

Sarà dura per Lula, perché la destra, più di lui, sa e può, usare i social. Bolsonaro ha potuto portare avanti sui media una battaglia di disinformazione e calunnie, serrata. I temi? Lula sarebbe deciso a chiudere le chiese in caso di vittoria e aprirà nelle scuole bagni misti, aperti a ragazze e ragazzi. Anche la sinistra ha usato sul digitale argomenti “divertenti” come l’accusa di cannibalismo e pedofilia verso il presidente uscente, e Lula gli ha ricordato durante l’ultimo dibattito in tivù, la distribuzione all’amico esercito di 35.000 pastiglie di Viagra in periodo elettorale. Curative secondo Bolsonaro, che lo ha ammesso. Ma per gli analisti negli otto giorni precedenti il primo turno delle presidenziali su YouTube l’estrema destra aveva avuto 100 milioni di visualizzazioni mentre la sinistra solo 28.

La terza presidenza Lula troverà un terreno minato anche dal lato economico. L’economia brasiliana era tornata al livello pre-Covid prima di ogni previsione, ancora nel primo trimestre del 2021. Più recentemente, tra aprile e giugno di quest’anno, il PIL è aumentato del 3,2% ed i consumi privati addirittura del 5%. Ma come per l’Italia (e l’Europa e il mondo) la guerra di Putin ha portato lo scompiglio. E l’aumento assurdo dei prezzi dell’energia e dei beni alimentari hanno riportato in auge la bestia dell’inflazione, che era stata domata in Brasile non da troppo tempo. Bolsonaro anche a questo risultato (oltre che al buon andamento del PIL) ha dato il suo contributo con un aumento vertiginoso della spesa pubblica prima delle elezioni, elettorale cioè. E l’inflazione è saltata dal 2% del giugno 2020 al 12% dell’aprile del 2022 ed i tassi di interesse bancari dal 2% a quasi il 14% nello scorso agosto. Una breve ridiscesa nei due mesi successivi, poi l’accenno deciso ad una risalita, di inflazione e tassi sui mutui.

Gli economisti di San Paolo e Brasilia hanno previsto che la minor domanda esterna, in questo grande paese esportatore, e l’incerta politica del dopo-elezioni freneranno l’economia almeno per alcuni mesi e porteranno a una contrazione del PIL dello 0,5%.

Incertezza era e rimane la parola d’ordine con cui Lula, il PT e i loro alleati dovranno fare i conti per mettere mano all’economia e alla società di questo gigante mondiale, che tra l’altro controlla il più grande polmone che garantisce o fa peggiorare la salute dell’ambiente mondiale e che oggi sta sull’orlo del baratro.

Che fare? si chiederebbe Lenin. Inizialmente la soluzione andrà trovata sulle piazze e nel parlamento. Si quieteranno gli animi? Saprà il vecchio sindacalista di San Paolo, originario del Nordest (77 anni, una nuova giovane moglie e lui che rivendica una voglia di cambiare il suo Paese che gli ricorda la gioventù) convincere nella legalità parlamentare il Centrão a collaborare con la sinistra?

Ora quasi tutta l’America Latina, dal Messico alla Colombia, dal Cile al Perù hanno nuovi governi di centrosinistra. Mentre Europa e Stati Uniti temono l’avvento di un centrodestra estremo, totalmente liberista in economia e, per usare un eufemismo, poco democratico in termini politici. Di qui le speranze dei democratici in Occidente che Lula abbia successo. Sem medo de ser feliz. E anche se piace tanto a Bertinotti e D’Alema.