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Il Sudtirolo e il nuovo governo

Preoccupazioni per le prime dichiarazioni di Giorgia Meloni.

Premetto che il primo discorso della presidente incaricata Meloni in parlamento mi ha fatto preoccupare. Non perché non abbia apprezzato lo sforzo di moderazione, il passare sopra o smentire posizioni ideologiche sostenute per decenni con almeno altrettanta coerenza di quella che viene promessa oggi per altre. Mi hanno fatto paura le parole, perché ciò che dicono i politici è da prendere sul serio: quando avranno il potere cercheranno di attuare anche ciò che appare più incredibile. E anche perché le parole influenzano il sentire, il pensare e il parlare di un popolo. Vista da un luogo in cui c’è voluto un secolo per insegnare alle persone a vivere insieme pacificamente e anche felicemente, rispettando reciprocamente le differenti lingue e culture, colpisce la sostituzione della parola Repubblica, - in cui sono i cittadini e le cittadine ad avere i diritti (e i doveri), al di là delle differenze elencate nella Costituzione, - con la parola Nazione, dove i diritti di cittadinanza vengono fatti dipendere da legami di sangue e cultura, escludendo così gli appartenenti a minoranze linguistiche ed etniche storiche e recenti.

E suscita timori anche la penosa pretesa di ripristinare nomi maschili per le cariche e i ruoli istituzionali, in un paese già molto arretrato nel campo della parificazione dei generi nella lingua pubblica, che peraltro corrisponde all’arretratezza nella condizione femminile. Il confronto quotidiano con la lingua tedesca in Austria e in Germania, fa emergere clamorosamente quanto la lingua italiana non sia stata adeguata al principio di uguaglianza. Vedere riproporre questa arretratezza dalla prima Presidente del Consiglio ha riportato ipso facto il dibattito culturale indietro di decenni, con banalità e rozzezza che si pensavano scomparse e indegne di un paese civile.

E la scuola legata al merito? Lo si trova nella Costituzione, che però prevede misure che rendano le condizioni di partenza davvero uguali per tutti e tutte: contrasto tremendo con i tagli selvaggi praticati da anni alla scuola pubblica (come anche alla pubblica sanità) da tutti i governi, che hanno distrutto quelle condizioni che negli anni '70 e '80 hanno permesso a molti giovani di ceto basso di studiare e a tutti di curarsi.

Bolzano, 15 ottobre: la manifestazione “Donne in marcia/Frauenmarsch”

Ma in Sudtirolo queste questioni sono rimaste al margine, nonostante si senta forte la sofferenza per la privatizzazione e i tagli a scuola e sanità. Tutto il dibattito si è concentrato sulla “difesa dell’Autonomia”, lasciando sempre da parte la sua gestione e la necessaria democratizzazione.

Dopo il varo del governo Meloni, se la Südtiroler Freiheit ha rilanciato la secessione, con lo slogan: “Nein zur faschistischen Regierung Meloni” (No al governo fascista di Meloni) e invece i Freiheitlichen (anche loro di destra-destra) sperano invece in una buona collaborazione, come ha reagito la Svp?

Prima delle elezioni e in campagna elettorale, il partito etnico tuonava la propria assoluta contrarietà a FdI, accusati di nazionalismo, avendo da sempre osteggiato l’autonomia sudtirolese. Anche nell’area dei simpatizzanti di destra all’interno della Volkspartei, si escludeva la collaborazione con FdI, pur coltivando solide relazioni con Lega e FI. Come tutto è cambiato in fretta!

Dopo la vittoria elettorale di FdI, nel partito etnico c’erano due posizioni: chi escludeva il voto favorevole al nuovo governo e chi voleva un avvicinamento o un’astensione. La Volkspartei in passato ha quasi sempre preferito trattare con ogni governo italiano e sostenerlo in cambio di qualche concessione al partito (vedi legge elettorale). E anche stavolta è andata così: il risultato si è concretizzato in un breve riferimento all’autonomia nel primo discorso in parlamento della nuova presidente. Per il governo Meloni significa avere una maggioranza più ampia al Senato, dove i numeri non sono troppo favorevoli. Per il Sudtirolo non è male che una forza politica a lungo ostile all’autonomia dia un segnale di attenzione e rispetto. Si è arrivati dunque all’astensione come compromesso fra le posizioni.

Ciò che sorprende è l’ondata di sollievo e quasi entusiasmo che di colpo sembra avere cancellato i timori verso una maggioranza contraddittoria ma certamente nazionalista. Sull’astensione è rientrata nei ranghi anche la senatrice Unterberger, che all’inizio aveva escluso un voto favorevole, e che nel suo discorso come presidente del Gruppo Autonomie aveva espresso le sue molto ben argomentate critiche all’impostazione ideologica del nuovo governo e di molti suoi componenti, soprattutto sui diritti delle donne e i diritti civili: “Con Meloni i diritti delle donne non avrebbero nulla da temere. Ma non è abbastanza. Da una Presidente del consiglio ci si aspetterebbe un ben maggiore impegno verso le altre donne”, ha detto. Fra il resto ha puntualizzato che la ripetizione (15 volte) della parola “libertà” da parte di Meloni era giusta, però “decisioni libere richiedono una politica che rispetta le decisioni individuali, sia che si tratti di interruzione di una gravidanza o la fine della propria vita. Una politica che crede a tutte le famiglie e non solo a quella che viene fondata da un uomo e una donna”.

La frase che si sente in giro, perfino da parte di elettori ed elettrici del Pd delusi, è: “Lasciamola lavorare”. Una presa d’atto che dall’opposizione non ci si aspetta niente.

Come ha acutamente detto il politologo Günther Pallaver, sudtirolese docente a Innsbruck, richiesto di un’opinione sul comportamento della Svp, qui spesso si pensa solo fino a Salorno. E si dimenticano i temi che decidono la qualità di vita, economici e civili.

Ma la frasetta di Meloni ha suscitato anche reazioni perplesse e negative. Eccola: “Per la Provincia di Bolzano tratteremo del ripristino degli standard di autonomia che nel '92 hanno portato al rilascio della quietanza liberatoria Onu”. Il fatto che la presidente non abbia citato Trento e Aosta ha ottenuto – dopo le proteste - una rapida correzione nella replica: "Il riferimento a Bolzano non era un tentativo di creare gerarchie tra queste e altre forme di autonomia. Io sono assolutamente dell'idea che tutte le Regioni e Province a statuto autonomo vadano difese e mi spiace se la formulazione della frase può avere tradito un'altra lettura". E credo che le sue intenzioni per ora siano state proprio quelle che ha detto (compresa quella di ignorare la richiesta di autonomie speciali da parte delle regioni del Nord).

Ma il problema c’è e riguarda la formulazione dell’impegno. Che cosa significa infatti “ripristinare gli standard del 1992”, quando nei trent’anni successivi l’autonomia è cresciuta moltissimo con acquisizioni di competenze importantissime come l’energia, o come la relazione fra leggi provinciali e stato, o la parificazione dei diritti dei ladini e molto molto altro? Le obiezioni sono venute in particolare da due ex senatori.

Oskar Peterlini non comprende il giubilo per le promesse di Meloni: “C’è da sperare che Meloni non attui alla lettera quanto ha detto” è il suo richiamo alla realtà. Perché altrimenti si cancellerebbero tutti i progressi che sono stati fatti dal 1992. E ne fa un lungo elenco. Ma Peterlini spiega anche come è nata questa richiesta di tornare agli standard del 1992. “Uno studio dell’Università di Innsbruck sul percorso dell’Autonomia ha mostrato solamente i tagli effetto di sentenze della Corte Costituzionale, senza citare i progressi”.

Anche il costituzionalista Francesco Palermo consiglia cautela, definendo “slogan” la “riduzione di competenze”, che – dice - è “basato su uno studio commissionato anni fa dalla Giunta provinciale all’Università di Innsbruck, che ha fatto tutta una mappatura della giurisprudenza tendenzialmente centralistica degli ultimi vent’anni, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione. Una giurisprudenza che ha interpretato le clausole trasversali della Costituzione (l’ordinamento civile i livelli di protezione dei diritti fondamentali, ecc) in modo non particolarmente favorevole alle competenze delle Regioni e della Provincia di Bolzano”. (v. salto.bz, 22 ottobre). Palermo mette in guardia dal richiedere che si torni al 1992, e di chiedere su questo aspetto anche il coinvolgimento dell’Austria, perché si potrebbe pensare che le materie decise successivamente non hanno copertura internazionale e perché allora le competenze erano inferiori a quelle di oggi.

Interessante anche l’obiezione sul sovrapporsi dei piani giurisprudenziale e politico: “È vero che la giurisprudenza costituzionale è abbastanza centralista, ma è vero che non abbiamo fatto alcune norme e poi è arrivata la disciplina dello stato ad anticiparle… Oppure abbiamo fatto delle leggi scadenti che la Corte ha bocciato e ridotto...”. Le obiezioni dei due ex politici e studiosi sono state liquidate in fretta dal segretario del partito.

Continuo a credere che l’Autonomia sia forte, e ciò dipende soprattutto dal fatto che i cittadini e le cittadine che la vivono ne sono convinti, e continuerà a essere solida se in futuro tutti e tutte parteciperanno attivamente alla vita pubblica e se la politica gli permetterà di farlo e porrà tra i propri primi obiettivi l'inclusione di tutti i residenti. La società civile considera l’autonomia una cosa scontata e dà segni di volersi attivare su altre questioni.

Qualche esempio: la manifestazione “Donne in marcia/Frauenmarsch” il 15 ottobre, ha visto centinaia di donne tedesche, italiane, ladine, e iraniane e altre, soprattutto giovani ma di tutte le età, e anche diversi uomini, attraversare il capoluogo, con un grande successo nei numeri e nella creatività. E pochi giorni dopo, a Bolzano, le associazioni cattoliche e civili hanno marciato per chiedere pace e diplomazia per la soluzione del conflitto in Europa. Sempre attivi sono i giovani di Fridays for Future, che fanno proposte e intervengono nel dibattito pubblico. A Merano, infine, per il secondo anno di seguito, 49 uomini noti e meno noti hanno prestato la loro faccia su manifesti che condannano la violenza maschile sulle donne: un contributo all’educazione di una società civile e rispettosa delle differenze fra coloro che la compongono. Altro che “nazione”!

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