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A Bolsonaro non riesce la “spallata di piazza”

Lula col fiato sospeso sino al cambio della guardia del primo gennaio: l’esercito non si manifesta e rimane il deus ex machina di una democrazia sotto tutela

Un messaggio audio di Augusto Nardes, “ministro del T.C.U. (Tribunal de Contas da União)”, la Corte dei Conti brasiliana, fatto avere il 21 novembre con un vocale alla stampa affermava che “c’è un movimento molto grande nelle caserme” e che “a breve ci saranno degli sviluppi”. L’annuncio di un colpo di stato quindi, dopo la vittoria di Lula alle elezioni del 30 ottobre.

Il drammatico fatto si è tinto di note ridicole quando, interrogato sulla sua dichiarazione, lo stesso Nardes affermava di essere stato mal interpretato e che personalmente ripudia manifestazioni antidemocratiche e golpiste. E di lì a poche ore il pover’uomo si è dato per malato.

Il giorno successivo, ma a più di 20 giorni dalle votazioni, il Partito Liberale di Bolsonaro ha chiesto al Tribunale Superiore Elettorale (T.S.E.) una verifica straordinaria del risultato del secondo turno delle elezioni. Il 23 il presidente del T.S.E. Alexandre de Moraes ha negato questa possibilità per mancanza di qualsiasi prova o indizio di frode e condannato gli estensori della richiesta a pagare una multa di 23 milioni di real (più di 4 milioni di euro) con la sospensione degli aiuti di Stato ai “liberali”, aggiungendo a ciò l’apertura di una inchiesta per appurare come si fosse giunti alla ingiustificata richiesta.

La stampa brasiliana ha giudicato questi fatti come l’ultimo, disperato tentativo dell’ex presidente, unico dai tempi della restaurazione della democrazia a non essere rieletto al secondo mandato, di rinviare il passaggio delle consegne tra lui e Lula che dovrebbe avvenire il 1° gennaio. Ma potrebbe trattarsi anche di una prova che all’interno dell’esercito brasiliano l’ala anti Lula e filo Bolsonaro sta perdendo la partita.

Fino a prova contraria, il sistema democratico dell’immenso, ricco e popolato paese sudamericano sta dimostrando di aver retto: l’esercito non ha corrisposto alle richieste della destra politica e popolare di annullare il risultato delle elezioni presidenziali di fine ottobre uscendo dalle caserme. Gli alti comandi non si sono manifestati ufficialmente, ma hanno fatto sapere che il sistema di votazione elettronico non ha presentato nessun problema evidente e pare (lo ha scritto la stampa, ma non si è avuta nessuna nota ufficiale) che abbia chiesto allo sconfitto di far defluire la gente fatta ammassare davanti alle caserme in varie città brasiliane. La qual cosa farebbe intendere a Bolsonaro che sulla strada del putch ora sono rimasti lui ed i poteri che lo hanno portato al mandato presidenziale: il settore dell’agroindustria e allevamento, gli agrari quindi, che sotto la sua presidenza hanno potuto accelerare il processo di devastazione della foresta amazzonica, le lobby evangeliche pentecostali e l’apparato di polizia, pubblico e privato che agisce in un paese in cui la violenza nelle strade ha raggiunto livelli insopportabili. Tanto quanto quelli raggiunti dall’ingiustizia sociale. Oltre a questi, i camionisti, che gestiscono un grande potere di ricatto politico in un paese scarso di ferrovie, che si sviluppa su 8,5 milioni di chilometri quadrati. Non è poco, certo. Ma di contro si staglia il 52% della popolazione che ha votato Lula, l’isolamento internazionale di Bolsonaro e la mancanza di una leadership minimamente credibile a destra. Che per ora non ha saputo aprire le porte delle caserme.

Subito dopo le votazioni e la vittoria di Lula, i camionisti avevano bloccato le principali arterie stradali e gruppi anche imponenti di manifestanti si erano recati, qui e là, davanti alle caserme per chiedere ai militari di bloccare il passaggio dei poteri del 1° gennaio. Cassando sul nascere il terzo mandato del “comunista” Inacio Lula da Silva. Come da cliché pinochettista. In attesa di un segnale dell’ex presidente che più di una volta in campagna elettorale aveva sentenziato che non avrebbe accettato risultati risicati (in realtà ha ricevuto 2.129.000 voti in meno di Lula, il 49,1% contro il 50,9%).

Ma la cupola militare non ha fatto passi in questo senso e Bolsonaro ha pensato bene di programmare per tempo due cose prima di altre: compattare la sua maggioranza al Congresso (una novantina i parlamentari del suo partito, più quelli dei partiti alleati, o Centrão, che dal ritorno del paese alla democrazia, nel 1989, costringe il presidente che esce vincitore dalle urne a contrattare, e pagare, per il proprio appoggio) e prepararsi alle battaglie giudiziarie che attendono lui e i suoi figli, accusati di corruzione, riciclaggio di denaro e altri reati ancora.

Dopo decise determinazioni delle autorità giudiziarie i camionisti hanno mollato l’osso e le manifestazioni popolari davanti alle caserme sono scemate, anche se non terminate del tutto. Ma i democratici in Brasile devono ancora trattenere il fiato, ed attendere gli esiti di una prova di forza che si sta chiaramente combattendo dietro le quinte.

Jair Bolsonaro non ha imboccato la normale strada per la transizione dei poteri. Ma si è trovato spiazzato nella sua resistenza ad oltranza. Suoi alleati politici anche di calibro hanno informato quasi subito l’opinione pubblica che il presidente riconoscerà la sconfitta ma che pretende di verificare quelle che ritiene possibili irregolarità nella verifica dei voti. Poi il suo vice, il generale Hamilton Mourão, ha inviato un messaggio all’ex governatore di S. Paolo, e vice di Lula, Geraldo Alckmin del Partito Socialista Brasiliano, uomo di centro, in cui c’erano i complimenti per l’elezione e la sua messa a disposizione per aiutare il processo di transizione. Anche se lo stesso si diceva in attesa di manifestarsi ufficialmente solo dopo un pronunciamento di Bolsonaro: “Io non ero candidato alla presidenza e quindi attendo che sia il presidente a dire la sua”. Mourão ha giustificato come l’effetto di una malattia debilitante il fatto che il presidente si sia autorecluso tra Planalto e Alvorada (sede ufficiale e residenza presidenziale a Brasilia). Ma col passare dei giorni persone dell’entourage presidenziale hanno fatto sapere che Bolsonaro appariva “apatico e depresso”, dimostrandosi dubbioso sul fatto di poter concludere regolarmente il suo mandato.

Non mancheranno le sorprese da qui al 1° gennaio e ciò è garantito dall’attitudine estremista e antidemocratica, trumpista, di Bolsonaro. Come avverrà il passaggio delle consegne del potere che l’attuale presidente pare aver delegato al suo vice? Nessuno sa dirlo ancora. Intanto il vincitore delle elezioni sta azzeccando mossa dopo mossa. Ha evitato in tutti i modi la polemica fine a se stessa. Ha partecipato attivamente alla conferenza sul clima dell’Onu a Sharm el Sheik con un discorso di 30 minuti in cui ha promesso di difendere l’Amazzonia dagli attacchi scellerati portati avanti negli ultimi 4 anni dal suo avversario che, chiuso nel suo sconforto e mancando di qualsiasi credibilità su questi temi, non si è recato in Egitto inviandoci un ministro. Lula ha ricevuto un secondo avallo, stavolta dalla stampa internazionale, dopo gli auguri seguiti alla sua elezione da parte di tutti i grandi della politica mondiale. Il suo intervento in Egitto è stato positivamente salutato da New York Times, Guardian, Le Monde, al Jazeera, Corriere della Sera e dai principali giornali sudamericani.

L’esercito brasiliano di cui Bolsonaro aveva fatto parte fino al 1988, per ora sta con la Costituzione. Dopo 37 anni di libere elezioni in Brasile e dopo 58 anni dal golpe militare del 1964.

Ufficiale di carriera, Bolsonaro aveva lasciato la divisa col grado di capitano nel 1998, anno in cui fu posto nella riserva e si diede alla politica. Vanta ancora appoggi nell’esercito, che del resto ha lusingato durante tutto il suo mandato attraverso la nomina di colonnelli e generali (in pensione) a ministri, viceministri e altro ancora, ma non ai livelli che lui sperava. Tant’è che, anche recentemente, durante il picco della pandemia, gli erano giunte dagli alti gradi stroncature manifestate a volte con scarso riguardo al suo ruolo. Si dice, e lo hanno scritto riviste e giornali senza averne smentita, che Bolsonaro sia stato espulso dall’esercito in quanto sorpreso ad organizzare attentati nelle caserme e, quindi, forzato a pensionarsi. Un documento militare, pure ricordato dalla stampa, lo aveva definito “bugiardo e contrabbandiere”.

La preoccupazione di Bolsonaro e del suo entourage familiare ora inizia ad essere un’altra. Senza l’appoggio, forte e palese dei militari, con la stampa nazionale più influente ampiamente e da tempo schierata contro di lui e le sue malefatte, isolato dal contesto internazionale, deve ora pensare a come difendersi dal potere giudiziario. Le indagini di vari magistrati, messe in sonno dalla sua presidenza, direbbero che il presidente, tre suoi figli, due ex mogli, cinque fratelli e la madre avrebbero partecipato sin dal 1990 all’acquisizione di 107 immobili, 51 dei quali acquistati in contanti, pratica degna di organizzazioni criminali e di trafficanti. “Una grande lavanderia di denaro sporco” l’ha definita così U.O.L. Noticias del gruppo Folha de S. Paulo, la Repubblica brasiliana.

E gettando lo sguardo oltre il 1° gennaio? Lula non ha la maggioranza al Congresso ed è ritornato al potere con una maggioranza non ampia dei votanti. Ma il Centrão è sempre… disponibile. Se non si può brutalmente comprarlo lo si può lusingare con incarichi di governo e sottogoverno. Limitando la profondità delle riforme di cui il gigante d’America avrebbe un disperato bisogno.

Cosa farà l’ex rivoluzionario Lula? Dato il risultato elettorale, il presidente e il suo governo, per mantenere al minimo il rischio di sommovimenti politici e di piazza, dovrà posizionare la nuova compagine ministeriale in un ambito più centrista. Ma cosa ciò potrà voler dire, solo il futuro ce lo potrà mostrare. La sconfitta in elezioni democratiche di Bolsonaro non è poco in un orizzonte internazionale che sempre più pende a destra e propende per politiche muscolari, antipopolari e talvolta anche antidemocratiche. E del comportamento dell’esercito brasiliano forse dobbiamo considerare il lato migliore: il fatto che non si sia schierato prontamente e con forza al fianco di Bolsonaro e della non democrazia. Dentro la sua pancia, quindi, si stanno muovendo anche forze liberali e democratiche che al momento sanno opporsi a quelle più tradizionali, di destra e golpiste.