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QT n. 9, settembre 2021 Cover story

NOT: un ospedale fasullo

È esploso il bubbone: il progetto approvato è un disastro. Come si è giunti a tanto?

Hieronymus Bosch e bottega, Il gioco delle tre campanelle.

Un ospedale ingestibile e perfino poco sicuro. Anzi, nemmeno utilizzabile, in quanto mancante dei requisiti richiesti dalle normative di accreditamento. E comunque molto più ridotto, meno efficiente, di quanto la Provincia aveva espressamente richiesto nel Disciplinare di gara.

Questo è quanto emerge da uno studio di 200 pagine che demolisce il progetto del Nuovo Ospedale dichiarato dalla Giunta Fugatti vincente della gara d’appalto. “E’ uno studio fatto dai tecnici dell’impresa perdente – la Pizzarotti Spa di Parma– che incongruamente tentano di ribaltare l’esito di un procedimento già troppo lungo e su cui la magistratura ha dato loro torto” si dice.

Calma. Alla magistratura amministrativa la Pizzarotti (seconda o forse terza impresa in Italia) si era rivolta contestando la solidità finanziaria della concorrente – la Guerrato Spa di Rovigo – che effettivamente era uscita da un periodo molto burrascoso, ha dei trascorsi non encomiabili in fatto di costruzione di ospedali, e comunque si trova garantita da una minuscola finanziaria di Malta, paese non proprio famoso per la trasparenza. Forse sicura di far fuori il concorrente su questo piano, la Pizzarotti non aveva obiettato sulle problematicità più squisitamente tecniche, sanitarie, che presentava il progetto Guerrato. Per cui, quando inopinatamente il Consiglio di Stato riammetteva in corsa il concorrente, l’impresa di Parma si è trovata spiazzata (ed ha presentato un ricorso in Cassazione). Di qui il documento dei tecnici? Forse, anzi probabilmente è così. Eppure il documento merita considerazione e rispetto. Risulta infatti sottoscritto, con tanto di timbri e firme, da ben 12 studi tecnici, con i titolari che ci mettono la faccia, anzi si mettono contro la Provincia Autonoma e la sua potente struttura tecnica che fanno una figura barbina.

E poi il punto è un altro: le cose scritte sono vere?

I numeri sono giusti?

Se lo sono, che cosa importa se chi li ha rilevati ha lavorato per Pizzarotti?

Anche perchè il tema investe in pieno la Provincia: la giunta Fugatti, i suoi consulenti, la struttura tecnica.

In proposito è abbastanza penoso notare come a più riprese venga gettato fumo sulla mala gestione dell’iter di assegnazione utilizzando la risibile scusa che la colpa va ricercata nella litigiosità delle imprese e nella lungaggine dei procedimenti giudiziari.

Quello che infatti viene contestato è ben altro. E’ la non rispondenza del progetto dichiarato vincente dalla Provincia alle prescrizioni di legge, e quelle che la stessa Provincia aveva richiesto nel Disciplinare di gara. Come illustreremo, tali prescrizioni sono di assoluto buon senso, in favore della funzionalità e della sicurezza dell’ospedale. Come è possibile che venga approvato un progetto che non le rispetta?

L’ing. Raffaele De Col, responsabile unico del procedimento

A vagliare i progetti è stata chiamata una Commissione Valutatrice, composta da cinque membri all’uopo nominati dalla Giunta Fugatti; e Responsabile Unico, cioè a capo di tutto, è stato messo l’ing. Raffaele De Col, da sempre tra gli uomini forti della struttura provinciale e diventato con Fugatti il più potente dirigente della Provincia. Come ha potuto la Commissione Valutatrice, come ha potuto De Col, non rilevare le marchiane inadempienze del progetto da loro stessi dichiarato vincitore?

Le prescrizioni? Carta straccia

Già nel numero scorso avevamo parlato di tutta una serie di prescrizioni non soddisfatte del Disciplinare: la piazzola per elicotteri inutilizzabile, il Pronto soccorso situato al polo opposto rispetto alla Rianimazione, lo studio mancante della viabilità esterna all’area e la problematicità (anche per le ambulanze!) di quella interna, ed altro ancora. Qui parliamo di tutta la parte relativa alla progettazione sanitaria: reparti, degenze, sale operatorie, emergenze, diagnostica, terapie intensive e tutti i vari servizi accessori. Insomma, il cuore dell’ospedale e la garanzia del suo buon funzionamento a seconda di come il tutto è stato dimensionato, posizionato ed interfacciato.

Anche qui compare la sistematica elusione dei vincoli imposti dal Disciplinare di gara, in alcuni casi un’elusione così grave da poter mettere addirittura in dubbio il futuro accreditamento dell’opera ai sensi della vigente normativa sugli ospedali. Vediamo meglio.

Le superfici mancanti

Il dott. Marco Ioppi, Presidente dell'Ordine dei Medici

Lo hanno riportato anche gli altri media e noi avevamo già approfondito nel numero scorso: l’ospedale offerto da Guerrato ed approvato dalla Provincia è troppo piccolo: mancano migliaia e migliaia di metri quadrati per aree espressamente richieste dal disciplinare e dalle norme per l’accreditamento. A costo di ripeterci: per le degenze in ostetricia sono richieste 50 stanze, Guerrato ne propone 34 (“troveremo le stanze mancanti” ribatte l’ineffabile De Col, cercandole dove, non è molto chiaro); in infettivologia sono richieste 14 stanze singole, Guerrato ne offre 6 singole e 4 doppie; e così anche in psichiatria e day hospital chirurgico le stanze sono inferiori di numero; e poi via via tutta una serie di tagli sulle aree minime richieste, dal Disciplinare come dalle normative, che secondo lo studio tecnico in totale arrivano a oltre 20.000 metri quadri, destinati a lievitare a 28.000 dicono i tecnici, se ad esse aggiungiamo le conseguenti indispensabili aree funzionali (corridoi, servizi ecc). Una superficie come l’ospedale di Cavalese, o 200 appartamenti. Senza queste aree la Provincia si ritrova non solo un ospedale più piccolo di quanto richiesto, ma anche non operativo, in quanto non rispetta i parametri previsti dalle norme per l’accreditamento. Lapidario in proposito il commento del Presidente dell’Ordine dei Medici, Marco Ioppi: “E’ un ospedale che non soddisfa i criteri di funzionalità e sicurezza espressamente previsti dalla commissione che ha varato il bando”.

Emergenza e terapie intensive

Il Covid ci ha familiarizzato con l’importanza delle terapie intensive, tutti noi conosciamo amici e parenti salvati in rianimazione, oppure deceduti. Non solo: il tasso di occupazione delle terapie intensive è stato ed è tuttora uno dei parametri che stabilisce le restrizioni, e quindi il tipo di vita possibile in un territorio. La progettazione del NOT è antecedente a tutto questo, ma anche allora la funzionalità dell’emergenza era e rimarrà uno dei requisiti salienti di una struttura ospedaliera. Per questo il Disciplinare pone una fitta serie di condizioni, classificate come imprenscindibili, ai progettisti. Guerrato se ne impippa.

Il primo vulnus è la collocazione delle Terapie Intensive rispetto al Pronto Soccorso: le due strutture devono essere adiacenti, prescrive il Disciplinare, e Guerrato li pone alle estremità opposte del maxi-edificio, e su piani diversi.

Poi: le degenze specialistiche non sono adiacenti alle terapie intensive specialistiche; non sono separati i percorsi dei vari codici (verde, giallo, rosso); sono di numero inferiore al richiesto le degenze in Unità di Osservazione Breve Intensiva (cui vengono inviati, dai medici del Pronto Soccorso, i casi che non necessitano di ricovero immediato, ma di terapia con osservazione o approfondimenti diagnostici).

C’è poi tutto il discorso del pericolo di contaminazione, ma è più generale, e lo vediamo nell’apposito successivo paragrafo.

L’ospedale contagioso

Un nosocomio è un luogo pericoloso, lo sapevamo anche prima del Covid, i virus vi possono facilmente allignare, si può entrarvi sani e uscirne malati. “Non occorreva la pur durissima lezione del Covid. – ci dice un dirigente sanitario - L’ospedale deve avere attenzione ai percorsi, agli aspetti igienici, ai filtri. Non deve, assolutamente - essere fonte di contagi. Sono cose fondamentali, che non possono venire meno”.

Difatti il Disciplinare è rigido nelle sue prescrizioni. La Guerrato invece non prevede, al Pronto Soccorso, l’area di decontaminazione (50 metri quadri) e così pure l’area di attesa dei pazienti a rischio infezioni. La centrale di sterilizzazione dovrebbe - presupposto definito inderogabile - essere direttamente collegata al blocco operatorio (“E’ un punto fondamentale, un rapporto molto delicato – ci dice il dirigente - il percorso deve essere assolutamente protetto”); invece non lo è, anzi il collegamento prevede il passaggio attraverso un ascensore esterno ai due reparti, e addirittura un corridoio in cui transita anche lo sporco.

Più in generale, a riprova di una progettazione che potremmo definire casuale, non esiste una separazione dei percorsi. Gli utenti esterni (papà, fratellini, parenti, amici festanti) che accedono al Blocco Parto devono necessariamente passare attraverso il reparto di terapia intensiva neonatale.

Ma si può? E peraltro anche le normali degenze pediatriche non hanno un accesso diretto dall’esterno, anch’esso prescritto come inderogabile: i genitori e parenti in visita ai bimbi ammalati vengono fatti girare per l’ospedale.

Queste richieste di separazione tra i percorsi interni e quelli degli esterni devono essere sembrate ai progettisti della Guerrato delle fisime dell’Azienda Sanitaria, da mandare allegramente a quel paese. Così i vari ambulatori dovrebbero avere accessi distinti, uno per gli interni (i degenti) e uno per gli utenti esterni; ma esiste solo l’accesso per gli esterni. Viceversa la Riabilitazione non prevede (altra richiesta inderogabile) un accesso diretto agli utenti esterni, che evidentemente dovranno arrivarci entrando in ospedale.

La natalità osteggiata

Rendering del progetto Guerrato: si tratta del collegamento tra Ginecologia e Ostetricia?

Particolarmente maltrattata è poi la progettazione dell’area ginecologica e materno-infantile. Abbiamo già rilevato l’inadeguatezza dei percorsi cui sono costretti i visitatori, che girellano nell’ospedale prima di arrivare a destinazione.

C’è un altro clamoroso scostamento dalle richieste del disciplinare: il bando prevede che Ginecologia e Ostetricia siano strettamente connessi. “Lapalissiano, è così in tutti gli ospedali – ci dicono i sanitari – Sono gestiti dalla stessa équipe medica. Le degenze dei due reparti possono essere una a destra e l’altra a sinistra della parte centrale con studi medici, servizi ecc. Oppure essere una prima e una dopo, oppure una sotto e una sopra, purché con ottimi collegamenti verticali.”

La Guerrato è più creativa: mette Ginecologia e Ostetricia su due corpi fabbrica distinti, senza nessun collegamento. Medici e infermieri che dovranno passare dall’uno all’altro si troveranno a farlo all’aperto, una simpatica sgambata in qualsiasi stagione.

Più in generale tutti i reparti dell’area mancano delle superfici e connessioni richieste: manca tutta l’area dedicata alla “Casa Parto”; manca l’adiacenza (“inderogabile”) tra l’area materno infantile e il pronto soccorso ostetrico e pediatrico; manca la contiguità tra il lactarium e la Patologia neonatale e – ovviamente, da quanto abbiamo già visto - il collegamento diretto con le degenze di ostetricia. I progettisti della Guerrato non devono avere in simpatia la natalità.

La Morgue e le sciatterie

Riportiamo qui sotto una delle tante prescrizioni previste nel piano di fattibilità: “Il Servizio mortuario dovrà essere collocato in uno spazio autonomo, direttamente raggiungibile dall'esterno dell'ospedale con percorso riservato che comprende anche un parcheggio per 10/15 autoveicoli

Una richiesta logica e degna di rispetto, pretendere che chi ha la triste esigenza di raggiungere la sala mortuaria lo faccia attraverso un percorso riservato ed autonomo. Invece quell’accesso, nel progetto Guerrato, è utilizzato dai camion e furgoni dei servizi logistici.

Il tunnel di accesso all'Area Logistica ed al Servizio Mortuario nel progetto Guerrato. Si noti l'altezza massima di 2,50 metri.

Ma c’è di più. Dai disegni del progetto, e le sezioni in particolare, si può notare un dettaglio che ha dell’incredibile. Nella figura riportata nella pagina a fianco sono riportate in rosso le altezze libere in alcuni tratti della sezione trasversale e si può notare che, scendendo lungo la rampa di accesso, ci si trova davanti ad una limitazione in altezza di 2,50 metri. In conclusione, camion e furgoni non ci passano, devono fermarsi sulla rampa. E non siamo in un condominio, dove per accedere al garage spesso è meglio togliere pacchi e portapacchi, siamo (dovremmo essere) in un ospedale. O forse si prevede che camion e furgoni si fermino sulla rampa ed i loro carichi siano trasferiti su autovetture per portarli all’interno? Un altro dubbio: ma qualcuno li ha guardati i disegni dell’ospedale?

Di fatto il progetto è costellato di sciatterie, alcune semplicemente ridicole, che indicano la frettolosità, la scarsa cura nella sua redazione. Ad esempio, nell’abborracciata progettazione (che abbiamo già duramente criticato nel numero precedente) della viabilità dell’area esterna all’ospedale, manca lo studio del traffico veicolare, ma in compenso viene presentato uno studio fonometrico sull’inquinamento acustico in una “zona di Trento in prossimità della strada SS47” che è la Strada Statale della Valsugana, cioè a Trento Nord, che nulla ha a che fare con l’area del Not. Infine, la perla: nel documento sulla tutela della sicurezza dei lavoratori si scrive: “L’area in esame è inserita nel tessuto urbano di Mezzolombardo con elevata presenza di edifici residenziali...” Sì, Mezzolombardo! Un copia\incolla da qualche altro progetto.

Elettricità e black out

Tra le tante scelte sconcertanti quella che illustriamo qui è una delle più assurde. La quota della falda idrica nella zona in cui verrà costruito l’ospedale comporta particolari attenzioni nel momento in cui si devono realizzare le fondazioni ed i piani interrati. Abbiamo già visto nel precedente numero che la richiesta del capitolato di non scendere con lo scavo sotto ad una certa quota è tranquillamente disattesa nel progetto Guerrato, come se si trattasse di una prescrizione di scarsa importanza. Quando invece il suo mancato rispetto mette a rischio la stabilità della zona confinante, su cui insiste anche l’edificio di Protonterapia, che di abbassamenti purtroppo ne ha avuti sia in fase di realizzazione, sia successivamente. I terreni in quella zona non sono affatto sicuri dal punto di vista delle falde (e forse neppure dal punto di vista di rischi di esondazione) come vuole farci credere l’ingegner De Col in una sua recente intervista sul giornale L’Adige, senza che l’intervistatore, evidentemente poco informato sull’argomento, gli ricordasse quanto successo appunto a Protonterapia. D’altra parte, se così non fosse, perché mai il capitolato per il NOT avrebbe previsto obblighi e cautele dal punto di vista degli scavi?

Ora, se si vuole essere sicuri che i volumi interrati non vengano invasi dalle acque filtrate dalla falda, si devono adottare degli accorgimenti costruttivi particolari. Il capitolato prescrive a tal fine la soluzione costruttiva a “vasca bianca” (in pratica si utilizzano cementi speciali del tutto impermeabili), ma anche in questo caso i progettisti di Guerrato ignorano la richiesta e propongono l’utilizzo delle tradizionali guaine isolanti. In un modo o nell’altro il risultato è comunque che tutta la parte sottoterra dell’ospedale è un enorme vascone all’interno del quale l’acqua non dovrebbe entrare. Peccato che, come l’acqua di falda non riesce ad entrare passando dalle pareti perimetrali, allo stesso modo essa non potrà uscire se per qualche accidente dovesse entrarci.

Anche sforzandoci di allontanare il pensiero di cosa succederebbe in caso di esondazione di Adige o Fersina, diventa difficile comprendere la geniale trovata di prevedere, come avviene nel progetto Guerrato, che tutte le acque bianche dell’intero complesso ospedaliero vengano convogliate in vasche di prima pioggia “collocate al secondo piano interrato”. Vasche a pelo libero che in caso di piogge più abbondanti di quelle previste dal progetto finirebbero con l’allagare il piano, e lo stesso accadrebbe in caso di intasamenti delle condotte o di guasti ai sistemi di pompaggio. Insomma, una soluzione contraria ai principi di buona pratica ed al buon senso.

Non contenti di avere creato questa soluzione ad alto rischio i progettisti compiono il capolavoro finale. Al secondo piano interrato (e quindi anche al di sotto del livello ordinario di falda) collocano tutte e tre le cabine elettriche ed i gruppi elettrogeni per l’alimentazione elettrica di emergenza. La presenza di alcune decine di centimetri di acqua nel piano, possibilità che per quanto spiegato sopra solo un pazzo si sentirebbe di escludere, provocherebbe un disastro: l’intero NOT fuori servizio, niente alimentazione elettrica di alcun genere, servizi vitali come sale operatorie e terapie intensive in black out. “Sarebbe una catastrofe – ci dice un dirigente sanitario – Ad esempio, con le ventilazioni forzate, senza elettricità si può supplire con l’intervento manuale, ma solo per alcune, e per tempi circoscritti. Non parliamo poi di quello che succederebbe nelle sale operatorie...”.

Eppure sul tema dell’alimentazione elettrica lo Studio di fattibilità era semplice e lineare: non prevedeva certo che ci fossero progettisti che situassero le cabine elettriche sotto terra, per di più a fianco di vasconi d’acqua esondabili; però prescriveva tassativamente che le cabine fossero direttamente accessibili dall’esterno. Ancora una volta torniamo al tema del mancato rispetto di quanto prescritto. E immaginiamo che non sia stato facile per chi doveva verificare il progetto Guerrato confermare che sì, il secondo piano interrato è “direttamente” accessibile dall’esterno dell’ospedale.

Conclusioni

Come si vede, i progettisti si sono presi una serie di libertà sfacciata, pericolosa, incredibile. Se solo la metà di quanto rilevato dai documenti dei tecnici è vero, l’ospedale non può essere accreditato. “Non si capisce come sia stato possibile approvare un progetto che presenta tali carenze: sembra un’approvazione data tanto per arrivare a una fine di un’annosa vicenda” afferma il Presidente dell’Ordine Ioppi.

La cosa apre diversi problemi. Adesso che si fa?

Il progetto vincitore sarà smontato e rimontato pezzo per pezzo fino al dettaglio” assicura l’ing. De Col. Che forse non si rende conto di quel che dice. Infatti tali parole chiaramente smontano l’altra difesa (“E’ solo un tentativo della Pizzarotti”). E poi, ingegner De Col, ma lei, a capo della Commissione Valutatrice, non poteva vedere prima che il progetto proprio non funzionava? Anzi, non era il suo compito? E ancora: come si fa a smontare e rimontare un progetto con tutte quelle carenze? Non si sarebbe invece costretti a farne uno nuovo? Per non parlare degli aspetti giudiziari che si possono aprire: se le cose stanno come dice De Col, la Commissione Valutatrice e la Provincia hanno fatto vincere un progetto improponibile, che avrebbe dovuto essere cassato non appena aperti i faldoni, hanno cioè grandemente favorito un’azienda immeritevole e palesemente danneggiato l’altra. Si possono fare queste cose? C’è chi spera di poter tirare su tutto una riga. Oggi le esigenze sono altre – si dice - c’è stato il Covid, ci sarà la Scuola di Medicina... D’accordo, ma le contaminazioni, i percorsi protetti, esistevano anche quando è stato redatto il bando di gara; che difatti prevedeva tutta una minuta serie di prescrizioni. Di cui i progettisti e i valutatori si sono infischiati.

Quindi il tema rimane: come si è giunti a questo? Ma la Provincia di Trento è in grado di gestire i suoi appalti?

Mentre andiamo in stampa si apre in Consiglio Provinciale un dibattito sul NOT. Abbiamo sommessamente suggerito alle opposizioni di chiedere una Commissione d’inchiesta sulla reale portata e sulle responsabilità di questo autentico scandalo. Vedremo come si comporterà il Consiglio, se le opposizioni saranno in grado di sostenere il proprio ruolo, e se la Giunta saprà assumersi le proprie responsabilità.