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QT n. 12, dicembre 2018 L’intervento

Sinistra: come ricominciare

Alcune riflessioni su cosa non ha funzionato e su cosa occorrerebbe fare

Maurizio Agostini

Non credo sia una buona idea quella di continuare a gridare che il governo Lega-5Stelle ci sta portando a sbattere, che condurrà al fallimento del Paese, che le famigerate promesse elettorali (su fisco, pensioni, reddito di cittadinanza) sono solo follie demagogiche. Così come, sul piano locale, non continuerei a lanciare allarmi sulla perdita dell’autonomia e sulla prossima subalternità al Lombardo-Veneto.

Non perché queste preoccupazioni non siano legittime e fondate. Tutt’altro, e spero che quote crescenti di italiani, e di trentini, le percepiscano e ne traggano le dovute conseguenze. Ma perché non è con questo atteggiamento che il centrosinistra può recuperare la credibilità e il consenso perduti. Questo atteggiamento anzi rischia di chiuderci in una trappola.

Da un lato ci fa apparire come dei menagrami, o i tifosi del peggio, quasi avessimo bisogno dell’avverarsi delle previsioni più fosche per poter dimostrare di avere ragione. Dall’altro, se il peggio non arrivasse per dei cambiamenti che subentrano nel contesto europeo o per correzioni di rotta sempre possibili e auspicabili o per la dimostrazione di qualche reale capacità amministrativa, potremmo dover dare l’addio chissà per quanto tempo alla prospettiva di riguadagnare terreno e riproporci alla guida del governo, a livello nazionale e provinciale.

Che fare dunque? In primo luogo è necessario ritrovare la voglia e la forza di dire chi siamo, in cosa crediamo, quali sono i valori di fondo su cui costruiamo la nostra visione di società e le nostre proposte. Deve essere chiaro che la nostra preoccupazione, ancor prima che per i decimali di deficit o i punti di spread, è per l’impianto culturale e i messaggi che oggi passano quotidianamente, fatti di rabbia, ricerca di nemici, chiusura ai più elementari principi di solidarietà e di accoglienza, riduzione della partecipazione democratica a pura adesione a slogan beceri e semplificatori, quando non esplicitamente xenofobi, fascistoidi e razzisti. Sollecitare gli istinti peggiori non può che produrre danni e violenze, anche al di là della volontà di chi con questi mezzi vorrebbe solo guadagnare facile consenso. Su questi temi non ci possono essere timidezze o posizioni ambigue e opportunistiche. E sono convinto che troveremo ascolto, ma solo se sapremo cambiare marcia.

L’associazionismo

Una delle “diversità” che abbiamo sempre considerato importanti nella nostra terra è data dalla ricchezza di realtà associative e cooperative nelle quali i trentini si riuniscono, spinti certo da interessi specifici, ma disponibili a fare rete di solidarietà nelle comunità e contribuendo a creare una narrazione unitaria e un senso di appartenenza (tendenzialmente non chiuso, mi vengono in mente i figli di genitori non trentini che partecipano ai corsi per diventare vigile del fuoco o ai ragazzini di colore sempre più presenti nelle squadre sportive dei nostri paesi…).

Queste associazioni ci sono ancora, numerose, ma a me sembra che siano frammentate, che tendano a chiudere la loro esperienza nella coltivazione del proprio interesse o del proprio oggetto sociale e si sentano sempre meno parte di un progetto più largo, di una visione di comunità più grande che dà senso anche al mio particolare campo (cantare, recitare, fare sport, assistere gli ammalati, combattere la povertà…)

A me pare che la politica, la nostra politica, abbia smesso di cucire la tela, di essere vicina, dentro queste realtà, di farsi rigenerare da esse (anche a livello del ricambio delle persone) per diventare addirittura un fattore della frammentazione, coltivando, quando va bene, solo un rapporto amministrativo o di “do ut des” e contribuendo così a far sommare all’egoismo e all’individualismo crescente delle persone, una sorta di egoismo anche delle realtà associative, come se una comunità potesse vivere trasformata in pura sommatoria di egoismi.

Progetti

C’è poi il merito delle questioni concrete che sono via via sul tappeto. È necessario produrre proposte credibili, nelle quali si intravveda un disegno complessivo e non solo la risposta a necessità contingenti, maturandole in un ritrovato confronto con la gente e con i corpi intermedi, senza limitarci a contestare quello che fanno gli altri e senza calarle dall’alto, come probabilmente abbiamo fatto negli ultimi anni.

Solo qualche esempio: il reddito di cittadinanza rischia di essere ingestibile e di tradursi in puro assistenzialismo? Vero, ma la questione di una prospettiva di sviluppo in cui il lavoro, come inteso finora, potrà diventare sempre meno, di un mondo malato di iper-produzione e di eccessivo consumo di risorse, la conseguente necessità di ridistribuire reddito alle persone secondo logiche, almeno in parte, sganciate dal lavoro, è un problema epocale di cui la sinistra deve farsi carico in modo strategico.

È sbagliato continuare ad affrontarlo solo con la retorica del lavorare di più e dei fannulloni da non premiare. Così per l’Europa: non è possibile continuare nei fatti a lasciarci leggere come i difensori di questa Europa che non va bene e che non piace a nessuno, senza riuscire a descrivere una prospettiva di integrazione europea più sociale e politica, magari lontana nel tempo, ma che torni ad appassionare e per cui battersi.

I diritti civili

Infine, i diritti civili e di cittadinanza: non ne parla più nessuno e si lascia il terreno al ritorno di visioni oscurantiste o alle miopi ed asfittiche parole d’ordine del prima gli italiani, già riciclate alle recenti provinciali in prima i trentini e in attesa che alla prossima tornata elettorale locale possano produrre ridicoli prima i nonesi o prima i perginesi.

La mia impressione è che le forze della sinistra, in Trentino, in Italia e in buona parte d’Europa si siano logorate nel tempo perché, prese dalla necessità di dimostrare la loro piena affidabilità nel governare l’economia e nel rispettare le regole del mercato fuori da ogni suggestione rivoluzionaria e antagonista, hanno finito con l’accettare troppo supinamente tutte le compatibilità imposte dalle logiche mercantili e finanziarie.

Hanno sguarnito progressivamente i terreni del sociale, dei diritti, della cultura, e non sono più riuscite a parlare alla mente e al cuore delle persone, facendo intravvedere una visione del futuro e un orizzonte di libertà giusta e di uguaglianza di diritti e opportunità verso cui muoversi. E dire che un tempo come il nostro, con le emergenze che presenta (pensiamo solo alle questioni migratorie e demografiche e ai cambiamenti climatici), richiederebbe di esercitarci nella ricerca di soluzioni anche inedite e radicali. È da qui che penso occorra ripartire.