Italia\Europa: il pensiero latita
In tempi di crisi, afferma la generalità degli economisti, non solo keynesiani, lo Stato deve spendere
Sono francamente preoccupanti le oscillazioni italiane sui temi – primari – di politica economica ed estera, e scusate se è poco. Ci riferiamo non solo ai dilettanti del governo giallo-verde, ma ai paludati professionisti dell’economia, per non parlare dell’opposizione, disperatamente scomparsa dai radar.
Ci scuserà il lettore se partiamo dai principi base, la contrapposizione tra politica dell’austerity e politica della spesa. La prima difesa ad oltranza dalla Germania e dalla Merkel, la seconda praticata con successo da Obama. In tempi di crisi, afferma la generalità degli economisti, non solo keynesiani, lo stato deve spendere, per contrastare la naturale tendenza alla recessione del mercato; questo fece Obama, con i mezzi peraltro grandiosi degli Usa, e uscì brillantemente dalla crisi del 2007, per di più guadagnandoci. L’Europa, fedele a una politica micragnosa, dalla stessa crisi – pur meno acuta di quella americana – è uscita più tardi e un po’ malconcia.
In questo quadro quindi ripensare la politica economica europea, non è certo un delitto. Ma ripensare vuol dire farlo tutti insieme, proporre temi, su di essi cercare alleanze, e poi, se del caso, andare anche a scontri duri. Il nostro governo non ha fatto nulla di questo. Si è fatto gli affari suoi, varando una politica economica che avrebbe dovuta essere giudicata positivamente solo per il fatto di essere rispettosa delle promesse elettorali. E poi pretendendone l’avvallo dai partner economici dell’Unione Europea. Come si vede una serie di stupidaggini anche dal punto di vista logico, possibili solo per l’inconsistenza cerebrale degli avventurieri al governo e l’ubriacatura che dà il potere, soprattutto quando corroborato dal (volatile) consenso dei sondaggi. L’impatto con la realtà sta risultando molto duro. Al punto da aver già ammorbidito le intransigenze degli intellettuali oltranzisti (due nomi per tutti, il ministro Paolo Savona e il sottosegretario Alberto Bagnai) prontamente saliti sul carro vincente e ora molto più titubanti.
Questo percorso ha due demeriti di fondo. Il primo: aver introdotto la necessità di un cambiamento nella politica europea unicamente come alibi furbesco per coprire una politica interna sconsiderata. Il secondo: aver trasformato il doveroso riequilibrio delle crescenti disparità sociali, in provvedimenti meramente e dissennatamente assistenziali, tese non a incrementare il lavoro, ma a sovvenzionare il non-lavoro.
Le conseguenze sono pesantemente negative. All’interno si indebolisce la spinta al riequilibrio sociale (pur sempre necessaria per motivi di equità e pace sociale), confondendola con la spesa improduttiva e clientelare. All’estero, a forza di fare i furbi e gli arroganti, di mettere in discussione un giorno l’Unione, l’altro l’euro e poi ritirare la mano, si è riusciti a coalizzare tutti, contro di noi e in favore delle politiche rigoriste. Per non parlare dei mercati, che per gli insulti ai finanzieri come Soros non si scompongono, ma la cieca indifferenza per l’insostenibilità economica la registrano, e si comportano di conseguenza. Insomma una debacle totale, che illumina appieno la vacuità delle pretese di essere superiori alle attuali leggi dell’economia, come pure l’inconsistenza delle supposte alleanze con i partiti sovranisti come spacciate dal sopravvalutato Salvini. Il quale Salvini, per alcuni mesi potrà ancora intortare la parte più sprovveduta dell’italica popolazione, ma all’estero si è già dimostrato un rovinoso dilettante allo sbaraglio.
Quello che fa comunque specie, è la latitanza di un compiuto differente pensiero. Anche tra i media critici del governo. Che per converso sono diventati rigoristi alla Wolfgang Schäuble (il falco ex ministro tedesco delle Finanze). Oltre che, naturalmente, ostili a qualunque politica di equità sociale (si arriva a rimproverare il governo di non aver attuato quell’autentico abominio che sarebbe la flat tax, ossia l’ulteriore arricchimento dei ricchi e impoverimento dei poveri).
Non fa specie - ormai ci si è abituati – l’inesistenza della sinistra. Che avrebbe praterie davanti, ma è invece indaffarata in penosi litigi sulle poltrone di casa sua. Insomma manca una politica. In Italia, e dell’Italia in Europa.
C’è, molto grande, un vuoto. Prima o poi verrà riempito, sarà da vedersi come. Per questo sarebbe indispensabile che finisse l’attuale latitanza dell’intellettualità.