Edilizia: il pozzo senza fondo
Altre centinaia di milioni all’edilizia, frantumata ed assistita. Occorrerebbero aggregazione ed innovazione, invece... avanti così.
Sono drammatici gli appelli degli imprenditori: “Il problema ormai è salvare le imprese”. E infatti alcune, storiche e ben strutturate, non si salvano, hanno chiuso aziende simbolo: la Garbari nell’edilizia, la Odorizzi nel porfido. Sono incontrovertibili i dati: dal 2007 al 20012 in Trentino hanno chiuso 3263 imprese del settore, un dato percentualmente peggiore di quello italiano, e proprio il 2012 è stata l’annata più negativa, a indicare un processo in ulteriore aggravamento. La giunta Pacher, a questi dati e a queste grida di dolore, ha risposto. Riversando sul settore centinaia di milioni, a incrementare il già preoccupante debito provinciale. Tanta generosità non è stata accolta benissimo dagli interessati: perplessi gli imprenditori, scettici i sindacati. Il problema è che tutta la politica industriale nel settore fa acqua, e la Pat persevera tamponando le falle a suon di milioni, senza risultati. Anche Enrico Zaninotto, già preside di Economia, che fu tra i padri dei massicci interventi anticongiunturali del 2008, esprime un giudizio decisamente negativo: “Si fanno operazioni di pura assistenza, senza affrontare i problemi di fondo”.
Linea Obama?
Questo in effetti è il punto. Quando, all’apparire della crisi, la giunta Dellai, d’accordo con sindacati, industriali e docenti di economia, decise di non seguire la linea Merkel (rigore, lacrime e sangue) ma quella Obama – massicci interventi pubblici per stimolare la ripresa – tutti applaudirono. Con qualche distinguo. Ci furono (vedi “La crisi in Trentino” su QT del gennaio 2009) quelli che già allora vedevano la crisi addirittura come opportunità, come momento di selezione naturale, che pota i rami secchi, le aziende obsolete, e rinnova il sistema. Proprio Zaninotto affermava che “è meglio sostenere i lavoratori invece delle imprese”; una volta che ne salvaguardiamo i dipendenti, le aziende decotte vanno lasciate al loro destino e gli appalti redatti in maniera che vincano i più capaci, quelli che sanno innovare e consorziarsi.
Quella che fu praticata invece fu la linea dell’assessore all’industria Olivi: “È nostro dovere salvare più imprese possibile”. E i risultati furono conseguenti. Il Trentino assorbì molto meglio dell’Italia i colpi della recessione, registrando costantemente in questi anni risultati migliori del 2% rispetto a quelli nazionali. Ma non nel settore costruzioni. Che evidentemente era strutturalmente fragile. Negli anni dal 2000 fino al 2007, infatti, le imprese edili trentine avevano registrato un autentico boom, in fatturato, numero di imprese e di dipendenti. Grazie anche alla politica di Dellai, per svariati motivi contiguo all’imprenditoria edile e sempre pronto ad investire i tanti soldi dell’allora ricca autonomia in gallerie ed edifici pubblici, o addirittura a comperare l’invenduto degli immobiliaristi, il settore (vedi anche “I grandi sprechi” su QT del gennaio 2011) si era sviluppato in maniera abnorme: “Il Pil prodotto dalle costruzioni è stato quasi costantemente superiore al 7% contro medie tra il 5 e il 6% registrate in Italia e nel Nordest” registrano con lucida amarezza gli stessi sindacati confederali. Tanti soldi, tante aziende, ma piccole e deboli: le ben 7000 imprese edili trentine, in media hanno 3,3 addetti – ci dice il Servizio staticopia di AlbertoGianera 10 aprile 2013 stica - e il 90% ha un giro d’affari inferiore al milione di euro. Questo sistema, debole, frantumato e assistito, anzi debole perché assistito, non ha retto alla crisi, più lunga e profonda del previsto. I dati sono molto chiari: nel 2007, prima della crisi, in Italia le costruzioni rappresentavano il 6,1% del Pil, nel ricco Trentino il 7,4%; nel 2011 in Italia sono scese al 5,4%, nel Trentino sono scese di più, al 6,3%; per il 2012 non ci sono dati definitivi, ma sarà un ulteriore tracollo.
E così nel 2013: in Trentino si prevede un PIL che non cala più per l’insieme dell’industria, ma che cala ancora, e vistosamente, per l’edilizia. Il sistema non lo si è voluto riformare e i risultati sono conseguenti. E ora la giunta Pacher insiste: ancora soldi, senza porre condizioni, senza spingere verso i consorzi o l’innovazione. Ai cosiddetti Stati generali dell’edilizia (in realtà una maxi conferenza stampa della Pat) emblematico è stato l’intervento del neo presidente dell’Ance (associazione dei costruttori edili) Giulio Miconel: “Le nostre imprese sono molto piccole, la Pat dia i giusti input ai funzionari perché, beninteso nel limite della legalità, le gare siano aggiudicate a loro e non a chi non viene dal nostro territorio”. Vale a dire: non abbiamo imprese competitive, aiutateci a sopravvivere ancora un po’ in queste condizioni. “Noi siamo contrari a questa mentalità - replica Maurizio Zabbeni della Cgil - Non si va da nessuna parte chiedendo di spezzettare gli appalti o di sospendere il libro di cantiere. Il mondo sta cambiando, è cambiato, non ci potranno essere tante aziende come adesso, così poco produttive, e nemmeno tanti lavoratori. Bisognerà stabilire quanto possa essere grande il settore. E poi selezionare le imprese, perché rimangano le più strutturate. E accompagnare i lavoratori in altri settori”. Ma la giunta Pacher non capisce, e va avanti sulle disastrose linee della giunta Dellai.
L’innovazione inutilizzata
Uno dei punti fermi e forti del quindicennio di Dellai è stata l’enfasi su ricerca e innovazione, applicata anche al settore edile. Molto si è detto (anche su QT) sui notevoli risultati ottenuti dalle case in legno progettate grazie alle ricerche dell’Ivalsa: è ancora del 2007 la casa in legno trentino di sette piani che nei laboratori giapponesi resistette, prima al mondo, a un terremoto di magnitudo 7,2 Richter. Un risultato, negli ambienti tecnici, di risonanza mondiale, e da allora Ivalsa ha implementato altre caratteristiche (prima tra tutte la resistenza al fuoco); insomma il Trentino è in grado di produrre abitazioni in legno di eccezionale qualità. Ma non a livello industriale. Nel novembre 2012 un esperto in commercializzazione sul mercato giapponese propose la creazione di un consorzio per la penetrazione delle nostre case in legno nel mercato nipponico come negli altri mercati asiatici, molto recettivi anche per motivi culturali: da loro l’abitazione in legno è la norma, da noi uno sfizio. Ma niente si è mosso. Esistono piccole industrie nelle nostre valli che producono, e bene, queste case. Ma sono numeri limitati, è una produzione di nicchia. E dal momento che non soffrono la crisi, questi piccoli imprenditori non hanno intenzione di cambiare registro, e men che mai di consorziarsi. La Pat potrebbe lei intervenire, per esempio vincolando i propri appalti alla realizzazione in legno. Ma non lo fa: significherebbe rivoluzionare l’intero settore. I sindacati - gli va dato atto - si sono mossi in questa direzione, presentando una serie di proposte che, scontando il ridimensionamento del settore, puntano su una sua qualificazione, richiedendo più controlli mirati, e appalti rivolti al risparmio energetico e alla nuova edilizia. “Su questo stiamo stanando le imprese, che si dicono d’accordo” commenta Zabbeni. La Provincia invece va avanti sulla solita strada: interventi assistenziali a pioggia. E con l’innovazione che rimane il fiore all’occhiello su un vestito ormai consunto.