I soldi dell’Autonomia
Fra Stato e Provincia: una situazione (quasi) in equilibrio, fra meriti storici e qualche furbata
L’Autonomia Trentina è una cosa delicata e ambigua. C’è chi la attacca come il più ingiusto dei privilegi, e chi la difende come un valore sacro. Un inviperito Giancarlo Galan, presidente della regione Veneto, ancora scosso dall’orda di comuni secessionisti che nel 2008 chiedevano, tramite referendum, di essere annessi al Trentino, affermava che le specialità del Trentino e dell’Alto Adige sono qualche cosa di scandaloso, ingiusto e inaccettabile. Arrivò addirittura a proporre un’annessione di massa dell’intero Veneto al Trentino. Ora, vaneggi a parte, è comprensibile che gli suonasse strano che dei comuni appartenenti ad una delle regioni più ricche d’Italia chiedessero di essere annessi ad una regione nota per molte cose, ma non certo per essere il cuore pulsante dell’industria italiana. Forse a Galan avrebbe giovato farsi un serio esame di coscienza: su come lui e la sua ricca Regione trattano la aree montane, ritenute insignificanti economicamente ed elettoralmente. A contenere le minacciose farneticazioni di Galan, c’è stato Dellai, ma senza esagerare, un po’ di coda di paglia c’è, si è ben guardato dal sostenere le aspirazioni dei comuni veneti. Lasciando perdere per un momento i due presidenti, il problema è piuttosto serio. In Trentino si sta così bene che i comuni limitrofi vogliono farne parte. Sono cose che si sanno, la Provincia autonoma di Trento e quella di Bolzano stanno bene, di soldi ne hanno e anche se li gestiscono meglio di altri, questo non toglie che siano viste come privilegiate, sia da Roma che dalle altre Regioni.
Però, a fermarsi qui, si pecca di superficialità. La domanda cui bisogna rispondere è: quanti soldi ricevono dallo stato? Sono o non sono dei privilegiati?
Cosa significa Autonomia
Autonomia significa, in primo luogo, ottenere dallo Stato la gestione di competenze che esso tradizionalmente gestisce. Naturalmente questo è praticabile solo se assieme alle competenze si ottengono anche i soldi. Questi soldi non sono altro che una percentuale delle tasse che i cittadini della regione versano. Per quanto riguarda il Trentino (ma anche l’Alto Adige), lo Statuto di Autonomia fissa la percentuale al 90%. Con questi soldi, la PAT svolge tutte le competenze assegnatele, tantissime. Si va da quelle svolte anche dalle regioni ordinarie (come la sanità), ma si va molto oltre, con le strade, la scuola, gli insegnanti, la tutela dell’ambiente e così via. Non tutte le regioni a statuto speciale sono così autonome, alcune hanno meno competenze, e di conseguenza ricevono meno soldi. Al Friuli Venezia Giulia, ad esempio, ritornano solo il 60% delle tasse versate dai suoi cittadini, alla Sardegna il 75%. Il caso più eclatante riguarda - ohibò - la Sicilia, a cui torna ogni centesimo versato. Quella del Trentino è dunque una delle autonomie italiane più forti, le parole di Galan (“Autonomia scandalosa, inaccettabile”) sembrano poco altro che una chiacchiera. Ma questo rapporto 90-10 tra le tasse che ritornano a Trento e quelle che restano a Roma, è tutto da discutere: come sia storicamente evoluto, e quanto sia oggi equilibrato.
I motivi dell’Autonomia
L’Autonomia del Trentino è indissolubilmente legata a quella dell’Alto Adige. Furono infatti le istanze autonomiste degli altoatesini, assieme alla volontà da parte dello Stato italiano di mantenere nei propri confini la provincia di Bolzano, a far sì che nel 1948 venisse firmato l’accordo De Gasperi-Gruber, in cui si concedeva l’Autonomia all’intera regione. Assieme all’autonomia, venivano delegate al Trentino Alto-Adige alcune competenze, e, di conseguenza, assegnato il 90% delle tasse versate dai propri cittadini. Come ci conferma Gianfranco Postal, fino a pochi mesi fa il massimo dirigente provinciale, “le percentuali sono nate dopo la guerra, in relazione alla situazione di allora. Furono stabilite tenendo conto della situazione economica delle regioni. In quegli anni, il Trentino, era una regione molto depressa”. Come si sa, l’autonomia regionale sancita nel 1948, come interpretata dalla DC trentina, non bastò a soddisfare la minoranza tedesca, che sostituì la secessione da Roma con quella da Trento, ottenuta dopo gli anni di terrorismo attraverso un nuovo statuto e un’autonomia non più regionale, bensì provinciale. Il che con qualche ragione ha fatto dire a Luis Durnwalder, presidente della Provincia Autonoma di Bolzano, a Report che, in fondo, il Trentino l’autonomia l’ha avuta un po’ gratis.
Rivendicazioni di merito a parte, torniamo al nodo centrale: i soldi e le competenze. Perché le competenze passavano al Trentino (e all’Alto Adige) soltanto sulla carta, mentre i soldi, quelli arrivavano puntuali. L’effettiva consegna delle competenze, infatti, venne rinviata a leggi successive. Per una quarantina di anni, prosegue Postal, il Trentino veniva pagato due volte. Lo Stato dava i soldi al Trentino per costruire, ad esempio, le scuole, e poi gliele costruiva di tasca sua. Un paradosso? Certo. Dovuto all’organizzazione stessa dello Stato. Da un lato, i burocrati romani, per difendere il proprio personale potere, non cedevano le competenze alle regioni, dall’altro le regioni a statuto speciale galleggiavano volentieri sul mare di soldi che ne ricavavano. Come abbiamo detto, però, l’autonomia trentina si lega alle rivendicazioni degli altoatesini, ai quali interessavano certamente i soldi, ma soprattutto la potestà decisionale. Così, nell’intero panorama delle regioni a statuto speciale, gli unici a spingere per un’autonomia che si traducesse in un effettivo passaggio di competenze, erano proprio Trentino e Alto Adige. Alle altre regioni speciali, invece, andava bene così, e, com’è immaginabile, la loro posizione contribuì a rallentare la generale evoluzione verso un’autonomia effettiva, non solo sulla carta.
Il passaggio delle competenze
Questa paradossale situazione venne risolta quando non fu più sostenibile, nei primi anni novanta, quando lo Stato, sommerso dal debito pubblico, decise che era ora di tagliare i finanziamenti alle regioni. Trentino e Alto Adige riuscirono ad evitare i tagli, accollandosi, come domandavano da tempo, gli oneri delle competenze previste da statuto. È quindi con il processo iniziato dagli anni ‘90 e concluso nel 2009 con il Patto di Milano (competenze su università e ammortizzatori sociali) che il Trentino utilizza il 90% delle proprie tasse per fronteggiare le competenze. Prima, servivano soprattutto per far sì che un’area estremamente depressa (come lo era negli anni ‘60) trovasse una sua dimensione economica e un buon livello di vivibilità.
E oggi? Rimane una questione aperta, riguardante, ancora una volta, quella percentuale prevista dallo statuto. Se al Trentino spettano il 90% delle tasse, di conseguenza allo Stato ne rimangono il 10% con cui deve sbrigare le competenze ancora rimaste: magistratura, forze dell’ordine, difesa, corpo diplomatico ecc. È una cifra adeguata, o lo Stato ancora ci rimette? In breve, il Trentino, riceve ancora più di ciò che versa? La Cgia di Mestre, in un discusso studio risalente al 2008, affermava che sì, il Trentino Alto Adige riceve ancora di più di quanto versato dai suoi cittadini. E non poco. Circa 2000 euro procapite annui. Una bella cifretta. Le perplessità attorno a questo studio, però, sono tante. Per Postal infatti “i calcoli di quello studio non sono giusti, ma d’altro canto nemmeno quelli della ragioneria dello Stato sono giusti. Capire se il Trentino riceve più soldi di quelli che dà è impossibile: i bilanci tra regioni non sono confrontabili.”
Sull’aleatorietà di questi confronti, tutti concordano. Anche perchè oggi, il Trentino è andato anche oltre le competenze previste da statuto, gestendo anche le strade statali, e come abbiamo visto, l’università e gli ammortizzatori sociali. Le competenze, insomma, ci sono.
Giorgio Tonini, senatore del Partito Democratico, quando gli chiediamo se il 90% delle tasse sia una cifra equa rispetto alle competenze svolte, ci dice che grosso modo ci stiamo, ora con lo Stato siamo sostanzialmente in pari. “In pari, ma ad una condizione, e cioè al netto del debito pubblico, in quanto il Trentino non partecipa al suo rifinanziamento. Se l’Italia fosse un paese senza debito i conti tornerebbero anche nei rapporti tra Roma e Trento. Considerato il debito, però, i conti non tornano”. Lo Stato effettivamente sembra spendere in Trentino più di quel che riceve. La prova di ciò è che la nostra non è una situazione generalizzabile. Se si estendesse l’autonomia fiscale del Trentino a tutte le regioni, lo Stato non ce la farebbe. Insomma, con quel 10% rimanente, lo Stato italiano non riesce a coprire, oltre ai costi di magistratura e forze dell’ordine, anche quelli derivanti dal rifinanziamento del debito pubblico, che costituisce una voce piuttosto onerosa nel bilancio (tra gli 80 e i 100 miliardi annui, a seconda dei tassi d’interesse).
Prosegue Tonini: “Le ragioni storiche dello sforzo finanziario del resto del paese per l’autonomia erano di due tipi: una era quella altoatesina e a rimorchio di questa la natura montana del territorio. La questione altoatesina, la più importante, è stata risolta: abbiamo fatto tutto quello che dovevamo. Ci chiedono spesso da Roma, a volte con garbo a volte con mala grazia di fare le stesse cose che facciamo con meno soldi. Non si ravvisa più la ragione storica. Insomma, il resto d’Italia, oggi, fatica a comprendere le motivazioni della nostra Autonomia”.
In aggiunta a tutto questo, ulteriore elemento problematico sembra essere il tentativo (velleitario?) di Dellai di rafforzare l’autonomia cercando di stabilire una volta per tutte l’ammontare di quanto dovuto allo Stato, e quanto alla Provincia. Raggiungendo risultati illusori. Sono infatti almeno due-tre se non di più le volte in cui da Roma o da Milano Dellai proclama la fatidica frase: “Con questo accordo abbiamo chiuso il problema”. Illusione, dicevamo. Innanzitutto perché rimane sempre sospesa la questione del finanziamento del debito. “Se è giusto chiedere certezze di bilancio - commenta Tonini - non possiamo però dare l’impressione di chiamarci fuori rispetto a cose che deve fare tutto il paese. La questione della riserva all’erario, è un esempio”. In poche parole, quando ci sono tasse straordinarie per finanziare spese impreviste (sostegno a zone alluvionate o terremotate, per esempio), il Trentino tenterebbe di tirarsi indietro per non veder intaccata la sua autonomia, e pretende di incassare il 90% delle tasse istituite all’uopo. “Dal punto di vista del principio la riserva all’erario deve essere un’eccezione, e quindi delimitata temporalmente. Finita l’emergenza, finita la tassa. Tirarsi indietro però, non è corretto. Altrimenti va a finire che lo Stato, per non intaccare l’Autonomia, ogni volta che ha un problema fa un regalo al Trentino Alto Adige”.
Questa è la storia dei soldi dell’Autonomia. Meriti storici, qualche furbata, una situazione ora (quasi) in equilibrio. Su cui però non sarebbe saggio fare ulteriormente i furbi.