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QT n. 10, ottobre 2012 L’editoriale

Dalmonego, Dellai, i debiti

È stato duramente bastonato il gruppo consigliare del Pd. Dellai aveva voluto prorogare, oltre l’età della pensione, l’incarico al megadirigente provinciale nonché segretario generale della Pat, e soprattutto custode dei conti e dei forzieri, Ivano Dalmonego. Il Pd si era messo di traverso, invocando il rispetto della legge sugli incarichi ai dirigenti, Dellai aveva alzato le barricate (“Dalmonego è essenziale in un momento come questo, di confronto sui soldi con il governo”) e vinto il braccio di ferro, grazie anche all’appoggio degli assessori del Pd, sempre dalla sua parte. Il giorno dopo la stampa infierisce: “Si continua a non capire perché il gruppo provinciale del Pd si incaponisce su battaglie perse in partenza” bacchetta Luisa Patruno sull’Adige. “Uno dei più incredibili autogol... il Pd sta perdendo di vista gli obiettivi più importanti” rincara sul Corriere Luca Malossini, cui subito si aggiun gli anatemi del mondo politico, da Ugo Rossi del Patt a Giorgio Lunelli dell’Upt. Sostenuto solo da Alberto Faustini sul Trentino, il Pd, come peraltro suo costume, ha ripiegato, in pratica sconfessando la propria battaglia.

Invece la questione Dalmonego è grave e seria, e non ci sembra che i commentatori l’abbiano minimimamente centrata.

Per inquadrare il personaggio, ricordiamo una valutazione espressa nella nostra redazione, diversi anni fa, da Walter Micheli, autorevole vicepresidente della Giunta provinciale a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90: “Il ruolo di Dalmonego era vagamente inquietante: sulle delibere di spesa extra-bilancio, se la proposta non gli piaceva, sosteneva che soldi proprio non ce n’erano, se invece era di suo gradimento, diceva che non c’era problema, bastava spostare questo o quel capitolo di spesa”. Insomma un custode delle chiavi della cassaforte dagli amplissimi poteri, che, se appena poteva, tendeva ad ampliare.

Con Dellai, la sua politica di spesa, la nuova politica del debito, e la crisi, il ruolo di Dalmonego è diventato ancor più centrale. Per cui oggi non si tratta tanto di discutere se un dirigente deve farsi da parte al sessantacinquesimo anno d’età, ma se non sia il caso di ridiscutere la politica finanziaria della Pat, di cui appunto Dalmonego è l’espressione e il geloso custode.

Di Dellai (e di Dalmonego) abbiamo apprezzato la pronta, incisiva reazione al palesarsi della crisi: nell’autunno 2008, un’iniezione nell’economia trentina di diverse centinaia di milioni, che ne attutì notevolmente l’impatto. Il seguito però è stato decisamente discutibile: con la scusa della crisi, il riversarsi sui settori più deboli, parassitari e ammanicati (in primis costruzioni e impianti a fune) di alluvoni di soldi, vuoi “per sostenere l’economia”, più spesso per sostenere la clientela, vedi le ormai mitiche caserme dei Vigili del Fuoco, o gli spostamenti di istituti scolastici per favorire amici e speculatori. Per non parlare di casi come la Cantina LaVis, o progetti faraonici e sballati come Metroland, ormai nei fatti rientrati, ma indicativi di una bulimia fuori controllo: I grandi sprechi abbiamo titolato nel gennaio 2011.

Tutto questo veniva fatto in tempi di crisi attraverso una modalità inusuale per il Trentino: il debito. Questo è il punto centrale da discutere della politica di Dellai-Dalmonego: quanto è saggio indebitarsi, di questi tempi, e non per fare investimenti, ma regalie a questo o a quel settore amico? E a quanto ammonta, spesa dopo spesa, il debito dell’insieme della Pat e delle società di sistema? Su questo, il gruppo consiliare del Pd - e soprattutto il capogruppo Luca Zeni - hanno ripetutamente incalzato il presidente, ricevendone solo risposte tanto stizzite quanto evasive: “La situazione è sotto controllo”, i conti li redige Dalmonego, voi state tranquilli.

Noi pensiamo che non sia proprio il caso di rimanere tranquilli. Con il governo che continua a battere cassa, con la crisi che continua e si sente soltanto adesso per davvero in Trentino. E con la Provincia che incomincia a risparmiare in settori decisivi: nei trasporti o nella cultura, tagliando di brutto (il 50%) sull’operatività del Mart o del Buonconsiglio e domani del Muse, vanificando credibilità acquisite, consolidati afflussi di turisti, onerosi investimenti.

Secondo noi la politica della spesa di Dellai sta perdendo di senso. Per questo la proroga dell’incarico a Dalmonego è solo la prima, ma doverosa evidenza di una corposa lista di cose da rimettere in discussione.

wwwPer non lasciare al successore di Dellai, che se ne starà tranquillo a Roma, l’ingrato compito di rimediare a sconquassi e ripianare debiti.