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QT n. 5, maggio 2012 L’editoriale

La politica è cosa nostra

L’esito del referendum per l’abrogazione delle Comunità di valle non fa che confermare le previsioni della vigilia: il quorum non si riesce a raggiungere, la percentuale dei votanti non arriva al 30%, mentre quella dei sì supera il 95%. Ancora una volta l’invito all’astensione ha premiato quanti desideravano annullare il referendum per una via non proprio democratica, quella del boicottaggio delle urne. Era una consultazione voluta esclusivamente dalla Lega che aveva raccolto le firme e che si era trovata da sola a fare la campagna elettorale in un momento in cui la sua credibilità politica è ai minimi termini a causa degli scandali che l’hanno travolta. Se pensiamo al contesto possiamo affermare che il dato dell’affluenza può incoraggiare invece che deprimere quanti vedevano in questo voto la possibilità di esprimere la propria insofferenza verso un sistema chiuso e irraggiungibile.

Qualcuno ha detto che l’esito referendario rafforza le Comunità, poiché la maggioranza silenziosa dei trentini ha disertato i seggi. È vero esattamente il contrario: più di 100.000 cittadini hanno detto di voler abrogare questa istituzione varata già nel 2006, la cui concretizzazione è stata più volte rimandata, e che, alla prova dei fatti, risulta farraginosa e già vecchia, comunque non sentita come propria dalla cittadinanza. Considerando poi la scarsa affluenza di Trento, città dove è prevalsa l’indifferenza anche perché non interessata dalla riforma che ha creato le Comunità, dalle valli è venuto un segnale di stanca e di rigetto che deve far riflettere.

La casta però vuole davvero la partecipazione dei cittadini? Oppure preferisce offrirgli finti strumenti democratici che poi si rivelano inutilizzabili o facilmente sterilizzabili? Le norme che regolano il referendum provinciale, come del resto quelli nazionali, sembrano fatte apposta per essere uno specchietto per le allodole: poche firme per indire una consultazione, quorum troppo alto per essere raggiunto. Così tutto viene vanificato dando poi il destro a quanti non perdono occasione per dire che anche questa volta i politici hanno sprecato i soldi pubblici. A livello locale, dove esiste soltanto marginalmente un voto di opinione (che, come si è visto per i referendum sul nucleare e sull’acqua, può mobilitare le persone fino al raggiungimento del 50% dei votanti) e il controllo politico è molto più capillare, il quorum per garantire la validità della consultazione deve essere assolutamente abbassato o sparire completamente, pena l’insignificanza di questo strumento democratico.

L’invito all’astensione che ha unito centro e sinistra è un sintomo pericoloso di autoreferenzialità. Dellai che parla di legittima difesa non dimostra forza ma debolezza. Sembra quasi che la pubblica opinione valga soltanto se corrisponde alla visione della classe politica dominante.

Si fa di tutto per privare i cittadini di una vera libertà di scelta, proclamando maliziosamente che anche l’astensione è una scelta politica. Non andare a votare significa consegnare al ceto dirigente, alla casta ora al potere, la propria volontà. Perché, come si vede dai commenti successivi, il non voto può essere interpretato in mille maniere, ma intanto il manovratore non è disturbato.

Quasi un terzo della percentuale di chi abitualmente va a votare ha voluto segnare con il sì (e per certi versi anche con il no) il rifiuto delle indicazioni di quasi tutto l’arco costituzionale trentino. Non si tratta semplicemente dell’elettorato leghista, ma di una buona fetta di trentini stufi dell’andazzo generale.

Ha ragione il presidente delle Acli Dalfovo, che pure si era detto contrario all’abrogazione, quando sottolinea l’inadeguatezza di una classe dirigente incartata su se stessa, in grado soltanto di atteggiarsi in maniera paternalistica a salvatrice della piccola patria trentina, inamovibili reggitori delle nostre mirabili sorti. In realtà dietro questa immagine si celano il vuoto e il corto respiro di chi non riesce a farsi da parte, perpetuando se stesso e il proprio potere.

Questa chiusura dei politici si coglie anche nel problema della successione al presidente Dellai. La popolazione sarà coinvolta? Abbiamo più volte indicato una strada ragionevole e percorribile, l’unica in grado di dare veramente la parola ai trentini: quella delle primarie.

Le faremo se saranno necessarie”, cioè se non riusciremo a metterci d’accordo, è stato risposto da alcuni. Vera risposta da ceto separato: la politica è cosa nostra.

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Commenti (2)

Francesco

Credo che oltre non si potessa andare:
la data del 29 aprile era una trappola micidiale, un sacco di persone si sono concesse la "gita", non lussuosi weekend, ma il ponte con i genitori in valle, in pullman in qualche località a sud... poi non è sfuggita ai più la capillare serie di mini-iniziative promosse su due piedi per scoraggiare il voto (da me la locale sezione sat, guidata da tesserato upt, ha ritardato di 7 giorni una giornata in montagna, partenza alle 6 del mattino, rientro con pizza... ma guarda te...), le false notizie sulla città non interessata dal voto..., se poi conteggiamo il momentaccio della famiglia bossi e la lotto referendaria in solitudine della lega capiamo il resto

però la lettura è interessante e credo che il referendum abbia segnato una svolta nella storia politica del trentino:
1)la lega ne esce rafforzata, la bufera giudiziaria passerà e i vari casi giudiziari in politica insegnano che la gente se ne frega (vedere quanti, sottovoce, sperano in un ritorno di grisenti), il pdl e partituncoli di destra vari si sono limitati a due cartelli, oltre non possono andare, tolti i residui fan di silvio da arcore non resta molto e quell'elettorato si spartirà tra astensione e voto alla lega
2)ne esce rafforzato dellai, che ha affrontato da solo il referendum, usando mezzi e mezzucci, arrivando a far scrivere su "ladige" che la lotta era lega-dellai (notare che si fa sempre citare come persona, nessun ruolo al partito), i vari mellarini, gilmozzi, lunelli relegati a comparse, il patt come servitore riconoscente e fedele, qua sopra si parla di primarie, mi pare chiaro che oggi come mai prima dellai potrà imporre il suo quarto mandato
3)il pd ne esce male, anche se nessuno lo dice. L'occasione era ghiotta, poteva schierarsi per il si, smarcarsi da dellai e cominciare a scrivere un suo programma di governo del trentino, invece no, a parte la voce di nicoletti (poi scomparso dal dibattito) il pd ha fatto il servitore del principe, e senza i distinguo del patt, un ruolo di "terza gamba" non molto dignitoso.

Marco

Naturalmente la contraddizione emerge in tutta la sua chiarezza quando la Casta invita ad andare a votare per le politiche, per le amministrative o per il parlamento. Proviamo, come sarebbe possibile, a mettere il quorum del 50% di votanti anche per le consultazioni pro-Casta e vediamo se a Lorsignori passa la voglia di invitare all'astensione.
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