La fine del veltronismo
Partito Democratico a Roma: il "dialoghismo" con Berlusconi, il buonismo ad oltranza hanno silurato Prodi e snervato l'identità del partito. Ma non è solo Veltroni, è l'establishment di centro-sinistra profondamente inadeguato.
Pi tutti i dati negativi per il Partito Democratico, quello più sconfortante è stato l’affluenza alla maxi-assemblea Costituente: dei 2853 eletti attraverso le primarie di ottobre, il 20 giugno si sono fatti vivi in molti meno della metà. In pochi mesi le aspettative per un nuovo partito che rilanciasse la politica italiana si sono miseramente ridimensionate, neanche gli eletti ci credono più.
Ragioniamo su questo crollo. Mettendo anzitutto alcuni puntini sulle "i", perché sentiamo, anche da autorevolissimi – e magari non allineati - commentatori nazionali, delle giustificazioni fasulle, non sappiamo se frutto di sconcertanti amnesie. Di fronte all’evidente fallimento della strategia di Veltroni, si sente ripetere: "Era impossibile ribaltare i rapporti di forza, le elezioni erano già perse". Ma allora non ci si ricorda che a gennaio il centro-destra era disintegrato, le "spallate" di Berlusconi al governo Prodi finite nel nulla, Fini che alle profferte di partito unico rispondeva con male parole, Casini ormai per conto suo. Poi, il miracolo: Veltroni che individua in Berlusconi il partner per una nuova stagione di riforme istituzionali, e così ricompatta il centro-destra e disgrega il centro-sinistra, con i cespugli che (correttamente) vedono nel progetto la loro fine, e fanno saltare il banco. Risultato: governo abbattuto, centro-destra risorto e vincente, centro-sinistra finito. Ah, dimenticavamo, le riforme istituzionali: durate quel tanto che conveniva a Berlusconi, oggi la riforma istituzionale all’ordine del giorno è il lodo Schifani.
"Tranquilli, non sono uno sprovveduto" diceva a gennaio il Walter a chi esprimeva perplessità su quelle dementi aperture. Ma per favore!
Eppure l’accartocciarsi del PD non si spiega solo con le devastanti pseudo-furbizie di una dirigenza che vorrebbe essere maestra di tattica e sa solo imbrogliare se stessa (non possiamo dimenticare il precedente del ’98, con le altre "riforme istituzionali" contrattate nella Bicamerale tra D’Alema e Berlusconi, e finite con il siluramento del primo governo Prodi). E’ l’anima del veltronismo a che si è rivelata inadeguata. E’ il buonismo ad oltranza, è l’ideologia del "ma anche", così bene evidenziata – e sbertucciata – da Maurizio Crozza: "Noi siamo per la libertà. Ma anche per la schiavitù..." Il "ma anche" applicato a tutto – per la solidarietà, ma anche per le ronde; per più stato sociale, ma anche per meno tasse; per l’uguaglianza dei cittadini di fronte allo Stato, ma anche per una tutela delle massime cariche... Risultato: scarsa credibilità e nessuna identità. Per cosa si qualificherebbe il Partito Democratico? Boh.
Il discorso è aggravato dal sopravvenuto mito del dialogo, altra faccia del buonismo veltroniano. Il dialogo maggioranza-opposizione come bene in sé, indipendentemente dai risultati che porta. Per cui ogni azione politica andrebbe giudicata non nel merito, se serve o meno al paese, ma se serve al dialogo.
L’insieme di tutto questo metterebbe in grave crisi un partito storico, figurarsi quando si tratta di un partito nuovo e fragile. Non sappiamo se il buonismo sia una virtù in politica; di sicuro chi lo ha praticato con successo si è attenuto ad un’esemplare chiarezza delle idee e rigore nel progetto. Pensiamo a Gandhi: leggendario buonista, ma dalle idee chiarissime; ve lo immaginate predicare "Noi siamo per l’indipendenza dall’Inghilterra, ma anche per il colonialismo"?
QT giusto un anno fa con un articolo di Giovanni Agostini (L’uomo giusto al momento sbagliato) metteva in guardia dai troppo facili entusiasmi per la candidatura a segretario di Veltroni, mediaticamente gonfiata come evento epocale. Oggi, alla prova dei fatti, non possiamo che ribadire, anzi aggravare quel giudizio.
Il punto è che non si tratta solo di Walter Veltroni; se l’alternativa è una vecchia pseudo-volpe spelacchiata come D’Alema (che difatti vuol tornare alle alleanze tipo Unione, buttando a mare bipolarismo e vocazione maggioritaria, unico effetto positivo del veltronismo) ci si rende conto di quanto è inadeguato l’insieme dell’establishment di centro-sinistra.
E questo in fondo è quello che pensa la maggioranza del Paese, che principalmente per tale motivo vota Berlusconi.