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QT n. 11, 31 maggio 2008 Servizi

Governare male. E impunemente

Dal napoletano Bassolino al nostro Alessandro Andreatta: ai partiti, se governi male, non gliene importa.

Era devastante la puntata di Report (Rai 3) di alcune settimane fa. Un’analisi approfondita e spietata della politica urbanistica del Comune di Roma negli ultimi quindici anni, attraverso documenti e interviste, ad amministratori, impresari, architetti, cittadini. In sintesi, il Comune aveva pianificato le espansioni urbane attraverso la costituzione di nuove "centralità" (così venivano chiamate), cioè sobborghi da 200.000 abitanti, dotate di servizi, verde, collegamenti, che le avrebbero rese piacevolmente vivibili. Poi, passando alla pratica, attraverso deroghe, aggiustamenti, condoni, patteggiamenti, si sono costruite solo le abitazioni. Risultato: agglomerati invivibili per i cittadini, profitti stellari per gli immobiliaristi (il solito giro romano, Caltagirone & C.). Il tutto con la solerte (indispensabile) collaborazione delle amministrazioni, quella di Rutelli prima e quella di Veltroni poi. Già a metà trasmissione non si poteva non concludere: "Ma allora per forza hanno votato Alemanno!"

Sostenitrici del PD durante la campagna elettorale.

Ci si aspetterebbe che un fatto del genere susciti un vespaio: vi è implicato l’establishment, il segretario del primo partito italiano. Invece nessuna replica (a parte un timido e tardivo preannuncio di querela da parte di un assessore all’Urbanistica). E soprattutto nessun dibattito dentro il Partito Democratico. Dove peraltro i coltelli ci sono e vengono branditi: D’Alema, a Veltroni, ogni due giorni gli fa uno sgambetto, ma su tutt’altri temi: alleanze con la Sinistra Alternativa, governo ombra, poltrone... Di come si governa sembra non si interessino proprio.

Un altro fatto, vicino a noi. In questi mesi c’è stato un emergere del vicesindaco di Trento Alessandro Andreatta: candidato alle elezioni nazionali, candidato nella lista Pacher per l’Assemblea del PD, papabile per un posto nel prossimo Consiglio provinciale. Ma come? L’Andreatta dei mille pastrocchi urbanistici? Quello sempre sdraiato sulle aspettative degli immobiliaristi, che ha tentato fino all’ultimo di coprire i mostri in collina, che ha gestito in prima persona il pasticcio dell’Auto In, del muro Cavit e via elencando? Si promuove un personaggio del genere?

Abbiamo posto la domanda ad alcuni esponenti del Partito Democratico. "Mah, queste cose non le conosco, non le so valutare bene – è stata la ricorrente, disarmante risposta – E d’altronde Andreatta rappresenta il mondo del cattolicesimo sociale..." Ancora: l’attività di governo conta zero, contano le appartenenze. Del resto, quando mai tra i DS trentini si discute di cosa stia facendo Andreolli alla sanità? O Cogo alla cultura? Non sono argomenti che interessano, anzi, sembrano non riguardare proprio la politica. D’altronde, a livello nazionale, il PD si configura come il partito di Bassolino: quattordici anni di disastri, culminati nell’epopea della monnezza, contano zero, Bassolino è un notabile, quindi fuori discussione, se sui rifiuti l’ha fatta proprio grossa, si vedrà di spostarlo al Parlamento europeo, ma a tempo debito, in maniera che non sembri – per carità! – un’attribuzione di responsabilità.

Lasciamo da parte il centro-destra, di cui potremo parlare tra un paio di anni. E rimaniamo sul centro-sinistra. Questi fatti a nostro avviso ci dicono una cosa: la cultura di governo è assente.

Su questo mi sembra di notare dei sintomi positivi di cambiamento – ci dice Marco Brunazzo, ricercatore di Scienze Politiche a Trento, che incontriamo ai margini di un convegno sulla presentazione di uno studio proprio sulla "Democrazia in Trentino" – Prodi e Bersani dibattono sui contenuti dell’esperienza di governo, non sulle formule. E la stessa costituzione del governo-ombra, che dovrebbe incalzare punto per punto l’operato degli avversari, va in questa direzione.

Detto questo, è vero che ci troviamo di fronte a un doppio deficit di cultura di governo: dei politici e dei cittadini. Il punto è che la classe politica non vuole essere giudicata; e dall’altra parte il controllo dei cittadini non è semplice, perché costa, in termini di tempo e risorse".

Se parliamo di controllo dei cittadini, investiamo subito due temi: la trasparenza e l’informazione. Perché più trasparenza c’è, meno "costosa" , faticosa, sarà l’azione di controllo.

Un esempio? Lo scandalo dei mostri in collina, gli scempi perpetrati con l’autorizzazione degli uffici comunali di Trento, sono emersi grazie al lavoro di scavo effettuato da un gruppo di cittadini, che hanno potuto avere un accesso facilitato alla documentazione anche grazie all’esemplare pubblicizzazione via Internet delle norme del Prg. E come risposta, gli stessi uffici comunali messi sotto accusa hanno elaborato un nuovo regolamento edilizio che per il futuro rende complicatissimi i calcoli sulle cubature, in pratica inaccessibili senza l’apporto di un consulente specializzato.

"Non ci si può aspettare la più totale trasparenza dai politici, deve essere sollecitata – replica Brunazzo - Sono importanti le regole che spingono l’amministrazione alla trasparenza, ma una tensione ci sarà sempre. Tra il presidente Dellai e il difensore civico Borgonovo, ci sono sempre scintille: perché lei vuole più trasparenza, lui la interpreta come un’invasione di campo. A questo punto sono i cittadini che devono avere una cultura del controllo ed esigerlo".

E allora ritorniamo all’altro corno, l’informazione. Un caso esemplare è proprio Report, indipendente anche dalle logiche di schieramento, ma una rondine non fa primavera. (E nel nostro piccolo, anche QT, che rifiuta le censure di schieramento, è odiato proprio dagli ambienti politici teoricamente più vicini: ora, oltre a Dellai, anche Pacher si rifiuta di farsi da noi intervistare, vedi nelle pagine successive).

"A livello nazionale la situazione non è buona. Per via del conflitto d’interessi, ma anche delle logiche di schieramento, per cui la notizia appare sempre viziata dall’interesse di qualcuno. Manca l’orgoglio del giornalismo indipendente, con la schiena dritta. A livello locale invece le cose vanno meglio con un livello medio dell’informazione abbastanza elevato".

Siamo sostanzialmente d’accordo. Però per converso vediamo, proprio soprattutto a livello locale, un livello medio della classe politica decisamente basso.

"Negli anni ’90 c’è stato un ricambio della classe politica abbastanza ampio, sia a Roma che in Trentino. Poi però si è bloccato, e gli effetti sono risultati di superficie, perchè si è sostituito un ceto politico con un altro, si sono cristallizzate le persone e i comportamenti".

Ed ecco allora sorgere lo strumento delle primarie, che ottengono un vasto consenso e attivano una partecipazione impensata. Possono essere uno strumento del rinnovamento?

"Senz’altro. Ma con tutta una serie di distinguo. Innanzitutto vengono istituite ad intermittenza, quando fa comodo, o con regole non sempre chiare... "

...e qui il pensiero non può non correre alle elezioni comunali romane, dove il pseudo alfiere delle primarie, Veltroni, non le indice, e si mette d’accordo con Rutelli perché gli succeda nella carica di sindaco. E si è visto come è finita... Oppure, a proposito di regole, le primarie-farsa dei DS nel 2006, quando poi è stato candidato non chi le aveva vinte, ma chi non vi aveva neanche partecipato...

"Certo. C’è peraltro il pericolo speculare, la retorica delle primarie, che dovrebbero essere il toccasana, oppure la legittimazione di decisioni già prese. Le primarie sono utili, molto utili, solo se c’è un’effettiva competizione, fra ipotesi politiche diverse. Mentre sembra che ci si possa scontrare sì, ma non tanto; discutere, ma fino a un certo punto. Questo accade solo in Italia: e questa levità del dibattito è dovuta al fatto che nessuno deve perdere davvero, chi perde deve poter rientrare nel gioco; e questo può accadere solo se lo scontro è stato sui generis. Invece negli Usa non è così: o Obama, o Clinton, e chi perde va a casa".

In Trentino forse abbiamo già raggiunto il massimo in fatto di primarie finte. Nel ’98, quando si fecero per trovare i candidati alle liste delle provinciali, con l’intesa che sulla linea politica ("riconosco in Dellai il nostro leader") erano tutti d’accordo, si doveva solo votare il più simpatico, o quello che portava alle assemblee più amici. Una finzione, insomma: chiacchiere sì, dibattito politico no. Ne uscirono vincitori Remo Andreolli e Margherita Cogo.

E le attuali primarie, per il segretario del PD, come si configurano? Questo lo vediamo nell’articolo a seguire.