L’uomo giusto al momento sbagliato
Veltroni doveva essere solo uno dei candidati, sia pure largamente favorito. E invece...
Gennaio 2006, Milano. Nello studio televisivo di "Che tempo che fa" Fabio Fazio sorride sornione, la cravatta come sempre leggermente allentata sul collo. Ospite della trasmissione il sindaco di Roma Walter Veltroni. Domande bonarie, clima disteso. Il presentatore arringa allegro l’esponente diessino ricordandogli come molti contino su di lui per il futuro dei DS, dell’Ulivo, della nazione... Veltroni ride, sostiene che il fatto stesso che se ne parli tanto sia la garanzia dell’infondatezza di tali voci. Poi d’un tratto si fa serio e annuncia che, qualora i romani lo riconfermino sindaco per altri 5 anni, quello sarà il suo ultimo ruolo politico. Non crede nella politica a vita e, dicendosi consapevole della poca credibilità pubblica di cui godono le promesse elettorali, conclude dando un appuntamento agli scettici: "Ne parleremo tra 5 anni, si vedrà tra 5 anni se sarà vero o no!". Applausi in studio.
Perché abbiamo voluto ricordare questo aneddoto? Per bollare d’inattendibilità Veltroni? No. Per instillare il dubbio che i politici siano tutti uguali? Nemmeno. Forse per convincere i lettori che l’attuale sindaco di Roma non sia adatto a guidare il Partito Democratico? No, o per lo meno non proprio.
Abbiamo ricordato il siparietto da Fazio perché ci pare eccessivo, e fors’anche dannoso, il clamore mediatico che l’evento di Torino ha suscitato, e ci pare quindi sciocco elevare Veltroni a panacea dei mali del centro sinistra. L’eccesso retorico di Veltroni da Fazio ci permette infatti di ricordare anche ai più eroici sognatori che Veltroni è un politico, probabilmente un buon politico, ma di sicuro non è un messia e nemmeno l’uomo della provvidenza. Rinfoderiamo quindi le trombe e smettiamola di salutare la venuta dell’Eletto.
Veltroni ha un brillante curriculum: segretario del PDS, vice di Prodi nel ’96, è al secondo mandato da sindaco di Roma, rieletto nel giugno 2006 con un ampio margine sull’ex ministro Alemanno. E’ poi una persona che sembra avere le caratteristiche adatte al delicato ruolo di mediazione che lo attenderebbe alla guida del PD. Scuola PCI ma interpretata in chiave soft, mai inviso alla Margherita, impegnato nel sociale, è molto abile nell’esercizio della politica che non scontenta, un atteggiamento che in verità, per alcuni, ne rappresenterebbe il limite maggiore e ne minerebbe di conseguenza l’efficacia. Ha forse un’unica ombra: era segretario dei DS nel crepuscolo del centro-sinistra coi governi D’Alema e Amato, e in quel ruolo non arginò la frana; anzi, alle elezioni del 2001 scappò armi e bagagli, rifugiandosi nelle sue personali elezioni a sindaco di Roma e lasciando solo il povero Rutelli a contrastare Berlusconi (che vinse per un soffio). Poi si riscattò come sindaco della capitale.
In conclusione, Veltroni non è un messia, e l’enfasi che ha investito la sua candidatura e il discorso a Torino non ci piacciono. Lo riteniamo comunque un politico con caratteristiche tutto sommato adatte al ruolo per cui viene invocato. E allora, perchè siamo perplessi? Perché siamo contrari alle fanfare, certo, ma c’è dell’altro.
Temiamo infatti che la parola "candidatura", a questo punto, rischi di risultare fasulla. Pare infatti che la candidatura di Veltroni possa, ad ottobre, essere l’unica in campo e mutare quindi rapidamente in nomina. La pensa così Fassino che sconsigliava a Bersani di concorrere, e la pensa così una parte della Margherita: Franceschini si è già proposto come suo vice. Apprezzabili, anche se purtroppo in questo senso indicative sono state le parole di Parisi: "Se non si candida nessuno mi candido io". A noi sarebbe piaciuto che la leadership del PD si fosse combattuta a suon di programmi, non di nomi. Ci sarebbe piaciuto vedere un confronto coi 4 milioni di persone in fila per le primarie, capire cosa pensano di laicità e religione, lavoro e pensioni. E solo dopo sentir parlare di saggi e di grandi elettori, e solo dopo assistere alla conta, sulla base di una testa un voto, che va bene, ma per scegliere un leader, non sulla base di chi è e di cosa ha fatto, ma di cosa farà.
C’è chi dice che le cose, ormai, sono andate così, che sia inutile quindi recriminare, e che a questo punto, comunque, Veltroni rappresenti la miglior soluzione possibile. Può darsi. Rimane però il rammarico per questa mancata evoluzione della politica italiana; un’ulteriore occasione persa.
Persa anche per responsabilità dello stesso Veltroni. Il quale, fuori dalla bagarre politica, e dalla gazzarra quotidiana, se ne è restato in una posizione di riserva tutti questi mesi invece di spendersi in modo generoso affinché la nascita del PD non tradisse le aspettative. Aveva deciso di smettere con la politica, non aveva equilibri da mantenere e neppure futuri da garantirsi, perché non si è messo in gioco appieno, e si è lasciato calare dall’alto?
Adesso in giro c’è già chi auspica che, in occasione della nomina-elezione di Veltroni a segretario, si presentino al voto almeno un milione di persone: un quarto rispetto alle primarie di Prodi di un anno fa. Ma qualcuno che darà fiato alle trombe ci sarà anche quel giorno, è sicuro.