Fra PD e Partito Territoriale
La Margherita si divide in due, cercando di rifondarsi: con quali prospettive?
Se il Partito Democratico trentino è un cantiere in cui, oltre al lavoro, ferve la confusione (vedi Pacher\Civico le primarie che non ti aspettavi) altrettanto, anzi, molto di più lo è il costruendo Partito Territoriale. Di cui non si sa ancora il nome, ma di cui si sospetta (o meglio, i suoi esponenti sospettano) che sia a rischio fallimento.
In poche parole, in Italia si sono uniti DS (maggioritari) e Margherita per dare vita al Partito Democratico; in Trentino si è pervicacemente rifiutata questa strada, e si è approdati a un’altra soluzione: il Partito Democratico con (quasi) tutti i DS e una piccola parte della Margherita da una parte, il Partito Territoriale con il grosso della Margherita (e quindi dei voti) dall’altra; solo che il risultato finale, grazie all’appeal del Partito Democratico nazionale e al coinvolgimento che può venire da settori della società civile (basti pensare all’Associazione per il PD) può portare ad un brusco ribaltamento degli attuali rapporti di forza, con gli ex-margheritini superati dagli ex-diessini. Mettiamoci nei panni dei notabili della Margherita: non possono di certo essere felici di questa prospettiva. Hanno per due legislature sopportato e in cuor loro disprezzato i diessini, ritenuti alleati inetti e fastidiosi, e ora se li vedono con il vento in poppa, con i sondaggi che li proiettano dal 13% (ottenuto alle ultime provinciali) al 26%, cioè ancor di più del 25% ottenuto allora dalla stessa Margherita, che oggi invece, nella versione Partito Territoriale, deve ripartire quasi da zero.
Come si è arrivati a questo approdo?
Il primo responsabile viene – giustamente - ritenuto lo stesso Lorenzo Dellai che, proprio quando tutti si aspettavano che estraesse qualche geniale coniglio dal cilindro, ha invece infilato una serie impressionante di errori.
Dapprima si è comportato come se il PD nazionale non dovesse nascere e si dovesse perpetuare la divisione tra Margherita e DS; poi, nato il PD, ha preteso che non nascesse in Trentino ("Qui non verrebbe capito", perché qui, a suo dire, sarebbe ancora vivo e vegeto l’anticomunismo); quindi ha deciso di aderire alle primarie per il segretario nazionale, schierando la corazzata Margherita in appoggio ad un candidato anomalo, Enrico Letta, risultato inopinatamente ultimo, sorpassato anche da Rosy Bindi, supportata solo dall’Associazione per il PD; infine, alle elezioni di aprile, ha sostituito al Senato la lista del PD con una Lista per le Autonomie assieme alla SVP, indicata come modello del nuovo costruendo partito: risultato disastroso, con la perdita secca di un senatore e lo stesso modello SVP entrato in crisi verticale e probabilmente irreversibile.
In tutto questo c’è una scarsa capacità di leggere il Trentino? "Dellai ormai si è bevuto il cervello" ci dicono alcuni critici malevoli. Ma non è vero: il presidente è sempre in palla, nei discorsi ufficiali, nei convegni sa non solo affascinare con la parola, ma anche operare sintesi efficaci e produttive di ore di dibattito.
Allora forse la risposta è un’altra: il bagaglio culturale dell’uomo è rimasto arretrato. Il presidente infatti ha improntato i suoi dieci anni di governo ad un mix di innovazione ed arretratezza: innovazione per le città (università, ricerca, cultura alta) e tradizione democristiana per le valli (il clientelismo più pervasivo, fatto di contributi a settori economici maturi o deboli, e di favori alle corporazioni, fino all’inconcepibile, tipo il roccolo provinciale per fornire a prezzo politico ai cacciatori uccellini da richiamo). Ma, cosa di cui abbiamo già discusso, la tradizione democristiana oggi non è riciclabile: il favore clientelare disgiunto dal senso di appartenenza a un partito e ad una cultura comuni, non funziona; il cliente non si sente per niente fidelizzato, a ogni elezione rinnova le richieste, e se non le soddisfi, tradisce; e così il sistema diventa ingestibile.
La Margherita ha pensato di arginare lo scontento valligiano decentrando i poteri: "Chi ha fatto per le valli quello che abbiamo fatto noi? – chiede Giorgio Casagrande, capogruppo della Margherita in Consiglio provinciale – Abbiamo decentrato decisioni e competenze, in maniera che ogni comunità possa progettare il proprio futuro. Che si può volere di più?" In realtà (anche per responsabilità dei DS, che si sono messi a cavalcare il localismo dei piccoli comuni) le Comunità di Valle sono un pasticcio e la probabilità che ricalchino l’esperienza fallimentare dei Comprensori è molto alta; elettoralmente, rivendicarne l’istituzione rende poco o niente.
Da qui lo spiazzamento di Dellai, che continua ad elencare dalle pagine dei giornali i milioni girati ai Comuni, i favori alle categorie, e nonostante questo si trova con un consenso calante. E disastroso è stato il tentativo (in primis dell’assessore Grisenti, per questo rimosso) di legare in maniera vincolante i finanziamenti al voto: l’esternazione sulla "magnadora" è un boomerang che si continua a pagare.
E’ in questo contesto che, dopo la batosta delle politiche, Dellai ha deciso di giocare la carta delle nuove scatole: via libera al PD da una parte, costituzione del nuovo Partito Territoriale dall’altra. Con la Margherita che si scinde in due.
A questo punto i "territoriali", ossia i maggiorenti della Margherita non passati al PD, hanno incominciato a temere per la poltrona e a dubitare del leader. Per un certo periodo è sbucato un progetto alternativo: abbandonare Dellai e il centro-sinistra, e costituire un polo di centro, con l’Udc, il Patt, i Leali, le formazioni sparse che fanno capo a Giovanazzi, Andreotti, Bertolini; come nuovo leader si vagheggiavano i nomi di Diego Schelfi (che in realtà sta bene dove è, alla presidenza della Federazione delle Cooperative, e poi è troppo contiguo a Dellai per fargli uno sgarro del genere), del sempre evocato Paolo Piccoli, di altri ancora.
Non se n’è fatto niente. Anche perché il progetto partiva con tutte le difficoltà del Partito Territoriale (incertezza di strategia, partito nuovo e sconosciuto, ma con uomini vecchi), ma senza i vantaggi (continuità nella gestione del potere, leader riconosciuto).
Ora i territoriali lottano contro il tempo. Varare il nuovo partito, farlo conoscere e lottare su due fronti: al centro per evitare il travaso di voti margheritini al PD, a destra per battere Divina (o Borga).
Si tratta di obiettivi non semplici. A dire il vero, nel ’98, Dellai aveva in pochi mesi fondato un nuovo partito (la Margherita) e lo aveva portato alla vittoria; ma erano dieci anni fa, la Margherita di allora profumava di novità, e gli alleati (i DS) erano obnubilati, facevano a gara a genuflettersi con la formula di rito "Riconosco in Dellai il nostro leader". La Margherita oggi "appare come partito di potere" (parole di Dellai) e un semplice lifting non basterà, occorreranno robuste innovazioni almeno nei nomi da presentare. E d’altra parte i DS sono sì più screditati di allora (quando erano reduci da una stagione di interessanti seppur solo parzialmente realizzate riforme, mentre oggi hanno sul groppone i disastri assessorili di Andreolli alla Sanità e Cogo alla Cultura, e le Comunità di Valle di Bressanini), ma il PD potrebbe davvero essere una cosa nuova, che ingloba una parte fresca e vivace di ex-margheritini e la società civile rappresentata dall’Associazione per il PD; e poi faranno le primarie. Insomma, sono percepiti come il nuovo: se non faranno sciocchezze per garantire i frusti notabili diessini, possono davvero fare un exploit.
In conclusione, a sinistra, la concorrenza non sarà semplice. Anche perché, tra alleati, va giocata in punta di fioretto.
Poi c’è lo scontro con il centro-destra. Che, se non si autodistruggerà continuando a dividersi sul candidato presidente, parte con il vento in poppa: elezioni vinte, clima nazionale da luna di miele con il governo, sdoganamento a tutti i livelli della Lega, una cui candidatura oggi è plausibile.
Dellai ha subito sbandato: a giorni alterni si è messo ad inseguire la Lega, presentandosi come variante un po’ meno xenofoba (vedi la drastica riduzione delle assegnazioni degli alloggi Itea agli extra-comunitari, - A rimorchio della Lega - o il fastidio verso i controlli sulle imprese), per tornare il giorno dopo a predicare la convivenza e l’armonia sociale.
Alcuni ceti, nonostante i contributi elargiti, sembrano ormai persi: ad esempio, gli albergatori e una bella fetta di artigiani. E’ stato illuminante l’intervento del leader dei giovani albergatori al congresso di categoria: "E’ ora di dire basta agli attacchi terroristici degli ispettori del lavoro". C’è una piccola imprenditoria che pensa di affrontare la globalizzazione ricorrendo al lavoro nero, allo sfruttamento intensivo della mano d’opera, all’evasione normativa e fiscale: e in questo ritengono di poter trovare un supporto nel centro-destra e in particolare nella Lega, non in Dellai, che magari vorrebbe, ma è "ostaggio della sinistra".
Il Partito Territoriale cosa risponde? Balbetta.
In realtà, anche nelle valli, la partita i territoriali non l’hanno persa. A livello nazionale, la luna di miele con Berlusconi non durerà all’infinito, e prove severe sono all’orizzonte: Napoli, Alitalia, la situazione economica, per iniziare. E anche l’ossessione sulla sicurezza e gli immigrati, può in breve trasformarsi in boomerang: è bastata la contestazione ai gazebo leghisti da parte di uno sparuto gruppo di anarchici roveretani, da anni condannati a un solipsistico isolamento, per mettere in crisi tutto il can-can sulle ronde.
E a livello locale, in generale, esclusi alcuni settori, Dellai, pur usurato, appare tuttavia rassicurante. "Di lui si sa chi è; non così di Divina".
Insomma, il Partito Territoriale ha ancora carte da giocare. Se deciderà in breve cosa essere. Se saprà presentare come positiva, e non come un peso, la sua alleanza con la sinistra (per esempio, su temi come il lavoro o l’immigrazione). Se smetterà di scimmiottare ora il Patt, ora la Lega. Insomma, se dimostrerà di avere una ragion d’essere, oltre l’ambizione di gestire il potere.