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QT n. 4, 23 febbraio 2008 Cover story

Il Comune, il marcio e la frana

Dopo la frana in via Spalliera: la sicurezza dei cittadini nelle mani dei periti di parte e di uffici comunali sempre più palesemente inadeguati. La cultura urbanistica, le convenienze, le norme, che rendono possibili i disastri: cosa si può, e cosa non si vuole fare, per voltare finalmente pagina.

La realtà ci ha dato ragione. Anche troppo, e in termini quanto mai drammatici; anche se, per fortuna e solo per fortuna, non tragici. La frana dell’8 febbraio in via Spalliera, l’immenso masso che si distacca dalla parete messa a nudo dai lavori in corso e sgretola la casa sottostante e lì, incastrato, si ferma: una calamità tutta riconducibile all’insensato attacco alla collina di Trento portato avanti da una pluralità di costruttori con la fattiva collaborazione del Comune.

Foto di Marco Parisi

Il marcio nel Comune di Trento

era il titolo della nostra denuncia: e riguardava il sistematico stravolgimento delle normative paesaggistiche, sulle altezze, sulla viabilità, sulla sicurezza anti-incendio. E allora ci si domanda: il "marcio" riguarda addirittura anche la sicurezza idrogeologica? Questo il tema del nostro servizio.

Il caso riguarda un piccolo lotto in via Spalliera, a monte della (sfortunata) abitazione delle sorelle Pedrotti, abbarbicato su una ripida erta (pendenza del 44%) e terminante in una cava dismessa, oggi una parete gradonata di roccia friabile. Lì si può costruire. Il progetto (arch. Marco Carli) prevedeva un edificio di quattro piani fuori terra nel lato a valle e due nel lato a monte, per uno scavo di 12,50 metri: dodici e mezzo.

L’area in questione è stata classificata dal Servizio Geologico della Provincia come "area di controllo geologico con penalità gravi o medie". In soldoni, ci si può costruire sopra, ma previa un’accurata perizia geologica che individui le modalità esecutive adeguate.

Qui, a nostro avviso, nel sistema di regole che devono tutelare la città e le persone, c’è la prima falla. Le norme non prevedono limiti: l’impresa può scavare quanto vuole, anche oltre 12 metri in una roccia friabile; unico limite è l’OK del geologo, che però non è persona terza, ma un perito di parte, pagato dall’impresa.

Un assetto normativo del genere presuppone una grande fiducia nella deontologia e professionalità del perito, che deve essere disposto a scontentare il cliente (cioè l’impresa); anzi, a rompergli le uova nel paniere, mandandogli a quel paese un investimento. Perché se il perito afferma che lì dodici metri non si possono scavare, che quattro piani non si possono ricavare, oppure che per farlo occorrono delle opere di contenimento mostruose e quindi costose, chiaramente la convenienza dell’operazione incomincia a venir meno. E un geologo, cioè un libero professionista, che si comportasse così, quanti altri incarichi riceverebbe? E non sarebbe subito soppiantato da qualcun altro, più accondiscendente?

A monte di tutti questi discorsi c’è un’ipocrisia di fondo: la "deontologia" garantita dagli Ordini professionali. Bene, diciamolo a tutte lettere: gli Ordini non garantiscono un bel niente.

In questi mesi, dalle nostre inchieste sul "marcio in Comune" come da altre denunce, sono emersi fatti gravissimi: progetti fraudolenti (L'imbroglio delle altezze), piani quotati senza quote per imbrogliare sulle altezze (Il progetto approvato (e impresentabile) e il progetto apparso dal nulla (e operativo)), inserimento di proprietà terze o addirittura demaniali per imbrogliare sulle cubature (Scempio in collina: i furbi premiati), rendering falsi per abbindolare il Consiglio comunale... (L’imbroglio del rendering) Bene, si è mai sentito un Ordine professionale intervenire, dire qualcosa? E sì che abbiamo portato di persona nelle rispettive sedi articoli e copie dei progetti incriminati, richiedendo un qualche intervento. Ma per gli Ordini, evidentemente, la deontologia è una burletta, utile solo ad aumentare le parcelle.

Ritorniamo a via della Spalliera. L’area, come abbiamo visto, è molto delicata, vi si può costruire molto (2,5 metri cubi per metro quadro), ma bisogna anche scavare molto; l’impresa che l’ha accaparrata, la Saf costruzioni, è una piccola impresa di Lavis, che con questo progetto intende lanciarsi anch’essa in quella che per i costruttori trentini è oggi la corsa all’oro, la speculazione nella collina di Trento. La Saf incarica della perizia geologica il dott. Paolo Pergher, che riconosce la problematicità dell’area, a causa della "consistente altezza dello scavo e la relativa vicinanza di costruzioni già esistenti" ma "esclude ogni pregiudiziale alla messa in opera del progetto" (cioè si può senz’altro fare), purché si realizzino opportune opere di contenimento, costituite da una serie di micropali verticali associati a tiranti.

La domanda viene inoltrata in Comune, dove gli uffici hanno qualche perplessità e chiedono alcune integrazioni alla perizia.

Ma alle blande perplessità del Comune si aggiungono, ben più corpose, quelle dei cittadini che hanno l’abitazione immediatamente a monte, e che temono, dall’imminente scasso della roccia sottostante, lesioni alle loro case, o peggio. E qui vediamo un’altra vistosa anomalia: non è il Comune che protegge il cittadino, che tutela la convivenza; è quest’ultimo che deve arrangiarsi da solo, difendendosi con le unghie e con i denti. Così sono costretti a fare i cittadini della sovrastante via Missioni Africane: atterriti dalla prospettiva che gli si scavi la terra sotto i piedi (ma è possibile una cosa del genere in un paese civile?), incaricano uno studio legale (avv. Luca Molinari) e uno geologico (geologo Giovanni Galatà e ing. Fabio Rivolti) di proteggere i loro interessi.

La perizia di Galatà affronta il cuore del problema: i volumi ammessi dal Prg e previsti dall’arch. Carli sono "del tutto sproporzionati in relazione alle caratteristiche morfologiche del sito". Insomma, per sfruttare le possibilità (irresponsabilmente) offerte dal Prg, state facendo uno scasso immane e pericolosissimo. A meno che… a meno che non si facciano una serie di opere, che però non possono essere i micropali di cui solo parla, e in termini vaghi, Pergher, che ben si guarda – lui e l’impresa – dal progettare o dimensionare.

Il masso che sarebbe precipitato su Via Spalliera, qui ancora parte della parete rocciosa, indicato come elemento di pericolo nella controperizia del geologo Galatà (fotocopia dalla relazione peritale).

A corredo della relazione, Galatà allega due fotografie emblematiche della pericolosità del sito: una di queste riporta, ancora inserito nella roccia (peraltro tutta fessurata) l’enorme masso che di lì a poco sarebbe precipitato. Quando in Consiglio comunale il consigliere di Forza Italia Marco Sembenotti (cui dobbiamo la specifica documentazione) esibiva la perizia con la foto del masso incombente, un brivido correva per l’aula.

Il fatto è che il Comune, preso in mezzo fra le due perizie, di Pergher e di Galatà e le minacce dei due avvocati - Molinari per i cittadini, Bertò per l’impresa – rivela una disarmante inconsistenza. Prima cincischia, chiede a Pergher ulteriori precisazioni, rimanda le carte da un ufficio all’altro; infine, pressato dall’impresa, dà ragione a Pergher (secondo quali criteri?) e rilascia la concessione. Così spiega in aula l’assessore all’urbanistica Alessandro Andreatta (dal verbale stenografico della seduta): "Il 22 agosto del 2007 il servizio Ambiente, viste le considerazioni geologiche di questi due periti di parte, e visto anche quanto presentato dal geologo della ditta, il geologo Pergher, ritiene che le perplessità espresse abbiano trovato risposta". E’ con questa soave leggerezza, con vaga assenza di motivazioni, che l’assessore comunica come i suoi uffici, tra le due perizie di parte, abbiano dato ragione a quella sbagliata. Dando il via al disastro.

E così il 30 ottobre la Saf inizia i lavori. E l’8 febbraio il masso scende a valle.

Ecco quindi, nell’annaspante nave dell’urbanistica del capoluogo, la seconda falla: l’inadeguatezza degli Uffici comunali. Punto dolente, da noi ripetutamente sollevato. Solo che qui non sembrano emergere gherminelle - come mettere nel cassetto normative del Prg, o avallare misurazioni birichine, o progetti fasulli. Qui ci troviamo di fronte a una duplice inadeguatezza: tecnica e culturale. Inadeguatezza tecnica, nel senso che il servizio geologico comunale è in realtà una sola persona, che sa e fa quello che può; inadeguatezza culturale nel senso che, nel dubbio, si dà ragione all’impresa. E forse siamo ancora troppo buoni: quella che prevale è solo in parte una cultura "del fare" (nel senso di non voler mettere troppi lacci e lacciuoli, per favorire, anche se a scapito della vivibilità urbana, il lavoro delle imprese e l’espansione della città, vedi La mentalità del 1813); come ben sanno tanti cittadini angariati dalla burocrazia urbanistica, si usa essere implacabili con i piccoli, e al contrario accondiscendenti fino alla chiusura di uno, due occhi, naso e orecchie con i grossi, o comunque quelli del giro giusto.

Su tutto poi si staglia il problema di fondo: l’eccesso di volumetria previsto dal Piano Regolatore. Se le imprese si avventurano in progetti ardimentosi come quello di via Spalliera, è perché la posta in gioco è alta, il guadagno, con le elevate cubature ammesse, lauto.

E allora ecco la corsa alle aree residue, improbabili, che una pianificazione distratta ha reso edificabili. E poi la massimizzazione dei volumi, andando a scavare uno, due piani interrati: se fuori terra si realizzano tanti appartamenti, sottoterra andranno fatti altrettanti garage.

Così al Cernidor, il noto mostro di via Gocciadoro (vedi Comune di Trento speculazione, illegalità, menzogne), in area anch’essa a rischio idrogeologico perché inclinata e sovrastante l’alveo sotterraneo del rio Valnigra, per dare un posto macchina ai troppi nuovi abitanti in una zona dove posti in superficie non ce ne possono essere, si è scavato in profondità, almeno due piani. "Almeno" scriviamo: non possiamo essere più precisi perché i progetti in Comune non sono più disponibili: la magistratura, da più parti sollecitata, ha aperto un’inchiesta anche sul mostro ed ha requisito tutti gli incartamenti.

Questa quindi la situazione. In sintesi: una normativa che irresponsabilmente affida la decisione se costruire in zone a rischio al giudizio dei periti di parte, che tutti sappiamo non poter essere pienamente obiettivi; gli uffici comunali inadeguati; le cubature troppo elevate. Come se ne esce?

"Non si può affidare questo ruolo decisivo alle perizie pagate dalle imprese

– ha sostenuto in aula il consigliere comunale ing. Nicola Salvati – Dovrà essere il Comune che stabilisce normative molto più stringenti. E inoltre: quando ci si trova di fronte a casi delicati, con perizie e controperizie, non possiamo lasciare i nostri uffici soli a decidere; dobbiamo rivolgerci a quella che in Trentino è un’autorità riconosciuta, competente ed aggiornata, il Servizio geologico Provinciale".

Quest’intervento – ritenuto troppo tecnico? – veniva ascoltato distrattamente da un’aula peraltro conscia della gravità del problema nei suoi aspetti generali.

E invece a nostro avviso si tratta di punti decisivi: finché si mette la sicurezza dei cittadini nelle sole mani dei periti di parte, si rischia grosso.

Resta l’altro punto: la riduzione degli indici di edificabilità.

Dopo le nostre inchieste sul marcio in Comune, si è avviato in Commissione urbanistica un processo di revisione delle cubature ammesse in collina (La colpa dei mostri? E’ delle casette). Processo semplice in teoria, difficile in pratica, perché i referenti politici degli immobiliaristi sono tanti, attivi, e magari dissimulati: sui giornali sbraitano "Fermeremo il cemento", ma sott’acqua lavorano perché nulla cambi. Sta di fatto che sono passati diversi mesi, e il provvedimento, che secondo l’assessore Andreatta doveva vedere la luce "in una decina di giorni", è ancora di là da venire.

Ma la storia ormai è segnata, la frana di via Spalliera ha fatto capire a tutti la gravità della situazione, e il provvedimento ci sarà.

In pratica sarà una riduzione degli indici da 2,5 a 2 metri cubi per metro quadro.

Viene presentato come una rivoluzione; e lo è, se si pensa che prima dello scandalo da noi sollevato, non solo si edificavano i 2,5 metri cubi, ma anche si violentavano tutte le norme sulle altezze massime.

E’ invece poco più di un pannicello caldo, se pensiamo alla sostanza del problema: l’urgenza di arrestare l’edificazione in una zona delicata della città, non semplicemente di ridurne gli incrementi.

Nei vari proclami elettorali, a cominciare da quello del sindaco Pacher, era scritto a chiare lettere che in collina non si doveva più costruire, ma solo, eventualmente, ristrutturare. Perché è una zona delicata idrogeologicamente, da preservare come paesaggio, dove non c’è spazio per la viabilità, per i servizi, ecc. Insomma, basta metri cubi in collina. Ora invece si dice: aumentiamo ancora, ma un po’ meno di quanto previsto.

Secondo noi non c’è senso in questa posizione. E alla luce di via Spalliera, è tutto l’assetto dell’urbanistica nel capoluogo che va rivisto profondamente.

Abbiamo notato che nei dibattiti a Palazzo Thun questa convinzione incomincia a farsi robusta.