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QT n. 21, 7 dicembre 2007 Quindici giorni

La colpa dei mostri? E’ delle casette

L'assessore Andreatta e la Giunta Pacher prendono (finalmente!) atto dello scandalo dell'edificazione illegittima in collina. Ma la diagnosi e la terapia sono tutte da ridere...

A Palazzo Thun hanno cambiato strategia. Di fronte alla scandalo dei mostri edilizi in collina, edificati contro le norme ma con l’autorizzazione del Comune, la strategia era quella di fare finta di niente, oppure negare scandalizzati ("Non esiste alcun marcio in questo Comune!" assicurava il sindaco Pacher in aula) o, se proprio non si poteva fare altrimenti, minimizzare.

Dopo un anno di questo andazzo, di fronte allo scandalo che non rientrava, un crescente discredito nella pubblica opinione, un malessere diffuso nella stessa maggioranza e con procedimenti giudiziari sempre incombenti, il Comune ha deciso di cambiare strategia. Preannunciata da una dichiarazione alla stampa dell’ineffabile assessore all’Urbanistica Alessandro Andreatta ("Dobbiamo evitare che si ripetano gli effetti terribili prodotti negli anni dalle sostituzioni edilizie, dove al posto di ville famigliari sono cresciuti condomini"), la svolta si può così sintetizzare: il problema c’è ed è grave. Dobbiamo individuare nuove norme che lo risolvano.

Detta così, sembra una soluzione, magari tardiva, ma sensata. E invece no: si tratta in buona misura di un trucco da illusionisti.

Sì, perché i mostri in collina, come peraltro abbiamo già denunciato, non sono stati costruiti grazie a norme troppo lasche, ma perchè le norme esistenti non sono state rispettate. Perché gli Uffici comunali in tutti questi anni hanno autorizzato edificazioni in barba a tutta una serie di norme precise e già esistenti: l’ormai famoso Allegato 5 che limita le altezze in collina; il Regolamento edilizio che fissa i criteri di misura delle altezze (misurate invece con trucchi che abbonavano 2-3 metri); le normative sulla viabilità di accesso; le norme antincendio; e, in almeno un caso, i limiti di cubatura.

Insomma, gli Uffici comunali per anni hanno sistematicamente calpestato le norme. Con "effetti terribili" sulla città.

E ora l’assessore Andreatta, dice che bisogna rendere quelle norme più severe, lasciando però a gestirle gli stessi dirigenti (gli architetti Codolo e Penasa) che per almeno dieci anni le norme le hanno usate come carta straccia. Che logica c’è in tutto questo? Nessuna, se non quella di deviare l’attenzione della pubblica opinione dal problema vero: il marcio dentro il Comune.

Quanto questa operazione sia scombinata, lo rivela esemplarmente, seppur involontariamente, un infortunio de L’Adige.

Gli scandali edilizi “denunciati” da L’Adige (e dagli Uffici comunali). Nella foto sotto: gli scandali veri.

Il quotidiano, per uno di quei meccanismi che talora capitano nelle redazioni, aveva inizialmente trascurato tutta la vicenda. Preso quello che in gergo si chiama un "buco", aveva perseverato, mentre il Corriere e soprattutto il Trentino vi dedicavano sostanziosi servizi. Così, quando la notizia, invece di afflosciarsi e scomparire, è invece cresciuta, si è trovato a doverla rincorrere. Ma, a digiuno dell’argomento (eppure gli inviamo QT in anteprima, con un sunto degli argomenti più importanti!) ha pensato bene di affidarsi alle valutazioni – ahi! - dell’assessore Andreatta e al supporto – ahi, ahi! – degli Uffici comunali.

Ed ecco quindi che il 28 novembre dedica alla cosa un’intera pagina dal titolo ecumenico "Tutti d’accordo: ‘salviamo la collina’". Nell’articolo l’assessore e gli uffici rivendicano il merito di aver sottoposto alla commissione urbanistica, nel dicembre del 2003, un’indagine sugli scempi urbanistici possibili in collina, ipotizzando non meglio specificati interventi in proposito. Ma "la commissione disse no" al virtuoso assessore e ai preclari dirigenti. Il risultato L’Adige lo evidenzia con una serie di foto: al posto di villette a due piani e soffitta, sono sorte casette a tre piani.

E così, chi guarda il servizio fotografico de L’Adige (proveniente dai detti Uffici) rimane sconcertato: ma come? Tutto questo can can per così poco? Dove sta lo scandalo?

Il giorno dopo, nelle "Lettere al direttore", interviene inviperito il signor Tullio Cestari, proprietario di una delle casette additate al pubblico ludibrio, che scrive: "Assicuro che in tale abitazione vi sono solo due appartamenti con garage sottostante (e non si può non credergli, vedi la foto a sinistra, ripresa appunto da L’Adige) - Non credo che essa rientri nelle costruzioni folli che sono state costruite nella collina di Trento".

Poi affonda: "Forse vi siete sbagliati con il condominio dopo di me o il condominio due case prima della mia"; e ancora: "Spostatevi piuttosto in quel di Villamontagna, dove si imbocca la strada per salire al Monte Calisio: lì si può notare veramente la rovina e l’usurpazione di quello che può esser un territorio..."

In effetti il signor Cestari smaschera la bufala. Gli Uffici hanno fornito al quotidiano disattento le foto non delle concessioni edilizie fuori norma da loro stessi illegittimamente concesse, bensì quelle regolari. Non quindi i mostri, bensì le casette.

Il punto è che adesso non si vogliono prendere provvedimenti contro chi ha (calpestando le norme!) autorizzato i mostri, e invece si solleva un polverone contro le norme che permettono le casette.

A questo punto è chiaro il disegno di Andreatta. Per lui e i suoi soci agli Uffici "ha da passà ‘a nuttata", bisogna aspettare che il clamore si acquieti. Intanto confondono le idee, millantando, a chi è disposto a credergli, buoni propositi del passato e del presente. Avviando quindi un fastidioso dibattito se sia il caso di ridurre le altezze, oppure anche le cubature, se con una norma di salvaguardia, oppure una variante, se ridurre "in maniera indiscriminata", oppure caso per caso, eccetera.

Tutte cose di per sé non peregrine, su cui ci sarebbe materia per discutere. Ma che sono semplicemente ridicole quando il problema è che il Comune le sue norme è abituato a calpestarle, e sempre per favorire gli interessi degli immobiliaristi.

Insomma, Andreatta, chiuso in un angolo, ha allestito un teatrino. All’insegna del motto gattopardesco "Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi".

O meglio, di una sua riedizione in salsa trentina, dove quello che deve cambiare sono le norme, e quello che deve rimanere sono gli interessi degli speculatori, il posto dei dirigenti fedifraghi, la poltrona dell’assessore connivente, la possibilità di fare delle norme carta straccia.