Trento, Napolitano e l’Europa: il fumo e l’arrosto
Al di là delle esagerazioni provincialiste, la visita del presidente Napolitano è risultata importante. A sottolineare un processo di internazionalizzazione del Trentino che in effetti è in corso e può progredire.
Il 12 febbraio sto andando a sostenere un esame all’Università. Passando davanti alla solita edicola, getto l’occhio sui titoli dei giornali locali. E’ l’Adige che calamita la mia attenzione: "Da Trento riparte l’Europa: lectio magistralis nel segno di Degasperi per il Presidente Giorgio Napolitano".
Sorrido: fra il titolone trionfalistico e l’ormai abusato paragone degasperiano, il richiamo è talmente smisurato da risultare goffo. Eppure, al di là dell’esaltazione da parte della stampa locale, l’esortazione rivolta dal Presidente è un segnale realmente significativo, oltre che insolito per una persona composta e particolarmente cauta nelle parole come Giorgio Napolitano. Ratificare un Trattato a Camere sciolte è procedura inusuale e complicata: ecco spiegato il risalto che hanno dato alla notizia (svuotata dai toni trionfalistici dell’Adige) i principali media nazionali, dalla Repubblica al Corriere.
Anch’essi rischiano però di inciampare in un’informazione distorta e provinciale, dimenticando che in fondo l’Europa - quella politica, oltre che geografica - non è fatta solo dall’Italia e che è riduttivo fermarsi ai proclami ed alle intenzioni del nostro Paese. Che l’Italia, nelle vesti del suo Presidente, spinga per ratificare il Trattato è un fatto di importanza relativa in confronto a quelle che possono essere le reazioni degli altri Paesi membri (specialmente di Francia e Olanda, che nel 2004 bocciarono la Costituzione).
L’Europa non ripartirà di certo da Trento: di questo, al di là delle parole urlate con la grancassa, dovremo farcene una ragione; e sarà già tanto se l’Europa riuscirà effettivamente a ripartire con il dovuto vigore. Per la nostra città potrebbe esser vero piuttosto il contrario: l’Europa è una possibilità importante per tutti e lo è a maggior ragione per Trento, città di confine e di incontro, che mai come adesso ha bisogno di recuperare quel dinamismo politico, oltre checulturale e sociale, che negli anni si è lentamente affievolito.
Come sottolinea il prof. Sergio Fabbrini, direttore della Scuola di Studi Internazionali, l’Europa torna ad essere la stella polare per Trento grazie alla volontà di Napolitano di scegliere proprio la nostra città tra i diversi atenei che gli avevano proposto una laurea honoris causa. Sempre secondo Fabbrini, "questo è stato possibile perché l’Università di Trento ha puntato su alcuni settori in cui si è creata massa critica" (su tutti, la Scuola di Studi Internazionali, vedi box).
La giornata di Napolitano a Trento va dunque interpretata leggendo tra le righe delle parole, delle cerimonie e perfino di simboli, come quella laurea honoris causa, sui quali ormai sempre meno ci fermiamo a riflettere. Il messaggio più denso risiede nell’invito del Presidente, rivolto tanto al pubblico del Sociale, quanto a quello della cooperazione trentina nel pomeriggio, ad aprirsi verso l’Europa e, più in generale, verso una dimensione internazionale ad oggi sempre più imprescindibile.
Per comprenderne il significato bisogna allargare il campo di visuale, partendo da una tendenza già atto, che spinge affinché Trento ed il Trentino possano diventare punti focali per la nuova dimensione europea del nostro Paese. Le basi di questo trend stanno nei numeri (il 7% degli studenti stranieri che hanno intrapreso un corso di laurea in Italia hanno scelto Trento), nelle persone (moltissimi sono i visiting professors che ogni anno transitano per il nostro ateneo, tra cui anche diversi premi Nobel), negli istituti (vedi box a pag. 23) e nelle istituzioni (dall’Università alla Provincia), ma soprattutto nella mentalità delle persone. Proprio quest’ultima deve ancora adattarsi del tutto all’idea del ruolo che Trento può ricoprire: non più quello di città isolata in quanto autonoma (self-autonomy), ma aperta all’esterno proprio in virtù di quest’autonomia.
Basta uno sguardo all’Europa per accorgersi che la posizione geografica del Trentino fa della nostra regione, a cavallo fra il Mediterraneo ed i Paesi del Nord Europa, un importante crocevia etnico oltre che viario.
Per questa ragione il Trentino ha vissuta la Storia (quella con la S maiuscola) alla ribalta: sempre sul palco, seppur mai del tutto protagonista (eccezion fatta per il cameo del Concilio, purtroppo controriformatore). Dall’età romana di Tridentum e dei percorsi attraverso la Valle dell’Adige riportati nell’Itinerarium Antonini e nella Tabula Peutigeriana, all’età dell’evangelizzazione, delle peregrinationes maiores, dei Franchi e del Principato vescovile; fino all’apice del Clesio, e del suo disegno di Trento luogo d’incontro tra papato e Riforma.
Eppure, dal Seicento, il Trentino non più cerniera tra il Nord e il Sud, sembra aver perso il suo ruolo nella recita, sempre più spinto verso il margine del palco, chiuso nella sua dimensione locale.
Ecco perché diventa importante, prima di tutto, riprendere coscienza del ruolo che si può giocare in un panorama più ampio di quello del nord-est italiano. Un nuovo impulso verso l’Europa, e più in generale verso l’internazionalizzazione: a questo possono servire gli incontri come quello con il presidente Napolitano. Eppure, alla base, sono le istituzioni che devono spingere verso forme di coordinamento che possano valorizzare anziché solo sfruttare i benefici del regime di statuto speciale di cui si avvantaggia la Provincia Autonoma di Trento.
In questo senso è di grande aiuto la testimonianza dell’Ateneo trentino: con l’attuale rettore Bassi si è andata consolidando una tendenza che già con Egidi aveva assunto priorità assoluta: l’internazionalizzazione appunto.
Fu già lo statuto di fondazione a ricordare che l’Università è nata con l’obiettivo, non l’unico, di diventare ponte tra la cultura italiana e quella tedesca. L’impegno internazionale non è però rivolto alla sola Germania ma, specie nell’ultimo decennio, è andato sempre più aprendosi al mutato contesto internazionale. Sono attivi programmi di mobilità studentesca rivolti all’Europa delle durata massima di un anno (Erasmus, Socrates) o due (doppia laurea), che permettono agli studenti di trascorrere un periodo di studi in tutte le principali città europee: non si tratta solo di scambi con l’estero, ma di una formazione sovranazionale. La forte spinta verso gli studi nell’ambito europeistico è testimoniata dalla Scuola di Studi Internazionali, dalla presenza di un centro di eccellenza e di una cattedra Jean Monnet, dal fatto che l’Università sia stata la prima cattedra di giurisprudenza Fullbright in Italia, oltre che essere attualmente uno sportello della commissione Fullbright.
Non solo Europa, però: negli ultimi anni sono stati stretti accordi con tutti i continenti: dagli Stati Uniti all’Asia, all’Indocina, all’Oceania e all’America Latina. Insomma, la mobilità internazionale dell’Università è altissima: non solo studenti (sia in uscita che in entrata), ma anche docenti. Sono moltissimi, come già ricordato, i visiting professors stranieri che trascorrono alcuni mesi di studio nelle strutture trentine.
C’è anche una parte consistente di società, fuori dall’Università, che guarda oltre i confini nazionali: basti pensare al mondo associativo della cooperazione allo sviluppo, al turismo che intesse rapporti con un ventaglio di Paesi sempre più ampio, le imprese che all’estero trovano nuovi mercati, nuovi partner per joint-ventures, nuovi siti per stabilimenti (anche il Trentino delocalizza!).
In questo contesto si inserisce il secondo appuntamento di Napolitano, l’inaugurazione del Centro Studi sulla Cooperazione, che nasce con ottica squisitamente internazionale e che può contribuire a sensibilizzare le diverse espressioni della società e delle persone che ne fanno parte.
Al di là degli eccessi da grancassa, quindi, in effetti il presidente con la sua visita ha riconosciuto uno sforzo vero di parti decisive della nostra realtà, tese nella riconquista di un ruolo nel mondo della globalizzazione. Non si tratta più di un semplice ambito di ricerca o di sperimentazione, ma di un’imprescindibile questione strategica.
Certo, c’è anche chi si attarda sui vecchi schemi della ristrettezza localistica e dell’economia piccola, chiusa ed assistita.
Difficile dire come andrà a finire, ma non è sbagliato ritenere che la Storia stia chiaramente indicando l’unica direzione possibile.
Il malore e l’apprensione
In quel momento mi è venuto spontaneo pensare a Enrico Berlinguer e al suo comizio del 1984 a Padova, quando fu colto da un ictus mortale mentre esortava i compagni: "Lavorate tutti, casa per casa, strada per strada, azienda per azienda...".
Io allora dovevo ancora essere concepito, ma quelle immagini mi sono rimaste nella mente da quando le vidi alla tv, da giovane. Napolitano invece l’ho visto dal vivo, e lì per lì la sensazione di déjà vu è stata forte. Prima la voce che si fa roca, poi l’evidente fatica nel proseguire il discorso e perfino a reggersi in piedi. Dalla platea un urlo ("Si sieda presidente!"), analogo a quel "Basta Enrico!" che accompagnò gli ultimi momenti di Berlinguer. Allora fu il pubblico ad urlarlo a pieni polmoni, qui invece Marco Boato, che probabilmente stava a sua volta ripercorrendo nella mente quei drammatici momenti, come me, come le persone che mi stavano accanto in platea.
Ma le analogie finiscono qui: Napolitano si è presto ripreso splendidamente, tanto che pochi minuti dopo il Rettore esultava: "E’ vispo come un grillo. Sta meglio di noi". Non c’è che dire, neppure al trentacinquenne Berlusconi in Montecatini è riuscito un recupero del genere.