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Festival e giovani: “Sta a voi farvi largo!”

Le rivendicazioni dei giovani, l'esortazione del ministro e le teorie sull'apporto di idee fresche. In quanto poi alla pratica...

E’apparso a più riprese, al Festival dell’Economia, il tema dei giovani. Accorsi in massa tra il pubblico; e pronti a porre la domanda fastidiosa: "Perché non ci valorizzate?" Perché tutta questa gavetta; perché questa precarietà; perché i posti chiave sono riservati agli over 50?

Il ministro Padoa-Schioppa al Festival, tra il presidente Dellai e l'assessore Salvatori.

Il ministro Padoa-Schioppa, con un pizzico di demagogia, sottolineava l’apporto positivo che i giovani danno ad ogni organismo, in quanto fisiologici portatori di nuove idee ("un consesso che non contiene una quota di giovani è una cosa morta" diceva, scordandosi del Consiglio dei Ministri). E allora uno studente gli sottoponeva "una proposta provocatoria: se siamo così utili ma inutilizzati, perché a fianco delle quote-rosa non prevedete delle quote-giovani?"

Padoa-Schioppa se la cavava con un’uscita discutibile "Sta a voi farvi largo". Mah: farsi largo tra i cda, le segreterie, le conventicole baronali dominate dai sessantenni?

Il problema non è in realtà così semplice. Soprattutto per i giovani d’oggi. Che scontano da una parte l’allungamento della vita e del benessere fisico dei loro padri. Cosa nuova nella storia umana, che comporta però che i sessanta-settantenni assisi in posizioni gratificanti e di prestigio, non le mollino più. Come la regina Elisabetta, ottuagenaria pimpante: e il figlio Carlo a languire nell’inutilità.

Il "sta a voi farvi largo" del ministro ha forse un altro significato. Una generazione ha più diritti da rivendicare, quanto più porta visioni nuove. I sessantenni attuali, quaranta anni fa erano portatori di una visione del mondo magari sbagliata, utopistica, ma comunque nuova. Fu quindi logico richiedere, esigere, ascolto e considerazione. E lo si ottenne. Ma i giovani di oggi portano un’altrettanto radicale carica innovativa?

Non crediamo. Eppure il problema rimane. Il "largo ai giovani" vale solo quando questi portano una visione nuova, che magari chiamano rivoluzionaria? O non dovrebbe essere una cosa implicita, naturale?

All’ultima sera del Festival, a un bello spettacolo al Teatro Sociale, mi trovavo seduto a fianco di uno studente argentino. Parlammo dell’università di Trento, che trovava ben organizzata, di indubbio livello, dagli ottimi servizi. "E i professori?"

"In genere sono preparati".

"Ma sono disponibili?"

"No, è un disastro. Per loro siamo un fastidio, un’incombenza cui farebbero a meno – poi la mazzata finale – Per fortuna ci sono tanti professori stranieri, che hanno un rapporto del tutto diverso. Soprattutto gli americani: sono loro che ti cercano, perché per loro tu sei una fonte di conoscenza, un momento di confronto, porti le novità. Sì, meno male che ci sono loro!"

Meno male. Ma: nel resto della società?