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“Servi dell’Europa? Mai!”

Quando la destra e la sinistra estrema marciano insieme.

Fra pochi giorrni, i capi di stato e di governo s’incontreranno a Lisbona per firmare il Trattato di Riforma dell’Unione Europea. Finalmente.

In Austria, intanto, il FPÖ, che ultimamente si firma"Soziale Heimatpartei" (Partito sociale della Patria, allusione schifosa a tempi passati) compra pagine intere nei giornali per fare pubblicità ad un inverosimile referendum. Mai e poi mai dovremmo diventare "servi dell’Unione" ("EU-Knecht"). Ohibò, e con la Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione, che fa parte integrante del Trattato di Riforma, come la mettiamo?

Nel 2004, il nostro parlamento aveva ratificato l’allora Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa con 182 voti, cioè con i voti anche di tutto il gruppo FPÖ, tranne una deputata della destra oltranzista.

Adesso, a raccogliere firme per un referendum, c’è anche la sinistra estrema, anch’essa pronta a difendere, costi quel che costi, la sovranità nazionale contro gli gnomi neoliberali di Bruxelles. Questi non capiranno mai la differenza abissale fra un capitalismo sfrenato ed una competizione con delle regole? Una bella coppia, non c’è che dire.

Il Trattato di Riforma, o di Lisbona, o come diavolo si chiamerà, in effetti è uno schifo, dal punto di visto della forma: 250 pagine (protocolli allegati e dichiarazioni inclusi) di modifiche ai Trattati UE e CE e centinaia di nuovi commi. Senza leggere il testo insieme ai vecchi Trattati non si capisce un’acca. Tutto risultato di mesi di bazar fra portaborse dei governi nazionali, con un protocollo qui per tener buoni gli inglesi, un protocollo là sul Parlamento per far piacere agli italiani, e una riserva per accontentare i ridicoli gemelli polacchi Kacinsky, uno dei quali recentemente cacciato dagli elettori. Per credere, andate a controllare su http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cmsUpload/cg00001-re01.it07.pdf

Bruxelles, il palazzo dell’Unione Europea.

Ecco cosa ne dice l’eurodeputata Monica Frassoni, capogruppo verde, che pure in Parlamento si è espressa per il sì: "Per fortuna questa Conferenza Intergovernativa è stata breve. Non so, se fosse durata più a lungo, quali altri capolavori di chiarezza il Consiglio ci avrebbe propinato".Per poi castigare "i governi che han scelto di scippare il processo di riforma all’opinione pubblica e ai parlamenti e di giocare la carta dell’ingarbugliamento e della confusione".

Ma in fin dei conti, questo testo, illeggibile e quasi incomprensibile, contiene il 95 per cento di quanto c’era nella Costituzione. Suvvia, ratifichiamolo presto, e speriamo che qualcuno avrà il buon senso di pubblicare poi, nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione, una versione che integri tutte le modifiche in un solo testo, come avvenne, dopo Nizza, con il Trattato CE.

Avremo, finalmente, un Parlamento rappresentante dell’Unione dei cittadini e delle cittadine chiamato a deliberare su quasi tutte le leggi europee, e non solo il Consiglio dei Ministri come legislatore decisivo; avremo finalmente, con la nuova "doppia maggioranza", istituzioni non più bloccate; avremo una carta dei diritti fondamentali, e magari perfino una politica estera e di sicurezza comunitaria. Scusate se è poco.

Un referendum, in Austria, è obbligatorio solo quando si tratta di un capovolgimento della Costituzione. E un referendum facoltativo soltanto il Parlamento può indirlo. Il che non farà. Socialdemocratici, popolari e verdi ratificheranno il Trattato, e la cosa finirà lì.

Il Trattato di Riforma non cambia sostanzialmente la nostra Costituzione. Il cosiddetto "principio di precedenza pregiudiziale" (in parole povere: il diritto europeo automaticamente abroga le norme nazionali) la Corte di Giustizia lo aveva stabilito ben prima dell’adesione dell’Austria alla UE, e questa "modifica" della Costituzione, i cittadini l’avevano approvata, con una maggioranza di due terzi, nel referendum di dieci anni fa.

A proposito di referendum e principi democratici: noi verdi siamo sempre stati favorevoli ad un referendum europeo. Volentieri la Costituzione l’avremmo sottoposta al referendum comunitario, e siamo sicuri che sarebbe passata a grandissima maggioranza. Un referendum "nazionale", però, è una cosa diversa. Gli elettori sarebbero facilmente influenzati da motivazioni di politica interna.

Vogliamo davvero che una risicata maggioranza degli 8 milioni di austriaci possa bloccare una riforma europea per più di 400 milioni di cittadini europei? E questo per difendere un fantomatico "interesse nazionale"; o, più verosimilmente, per fare un dispetto al governo di turno?