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17 novembre a Castelfirmiano

Un anniversario che riconferma la deriva pangermanista degli Schützen

Castelfirmiano, 17 novembre 1957. Erano 35.000, venuti da tutte le valli e da tutti i paesi e città, per protestare contro la mancata attuazione dell’accordo Degasperi-Gruber. Nelle riprese di Candido Daz, uno dei primi operatori di ripresa della Rai, la fila in bianco e nero si snoda su per le curve della strada che porta al castello. Diversi fra i partecipanti erano armati. Luis Amplatz, che morirà qualche anno più tardi in uno scontro a fuoco con le forze dell’ordine, guidava i suoi ad ascoltare i discorsi, con l’intenzione di marciare poi su Bolzano, la città italiana, a cercare lo scontro.

Ma lassù successe qualcosa di inatteso. Dopo due oratori "di riscaldamento", Silvius Magnago, interrotto ripetutamente dalle grida di Amplatz e dei suoi arrampicati sulla cima del torrione sotto il quale parlava, riuscì a convincere quello che da allora in poi sarà il suo popolo a far prevalere i cartelli del Los von Trient, via da Trento, su quelli Los von Rom, via da Roma. Da allora la barra dell’equilibrio fra autonomia e autodeterminazione andrà sempre, seppure di poco, a favore della prima. Da quella grandiosa e inaspettatamente pacifica adunata, - avvenuta nello stesso anno dello sciopero della Casbah di Algeri a favore dell’indipendenza, soffocato nel sangue, - si fa risalire il processo che porterà alla seconda autonomia. Il che è storicamente impreciso, poiché dopo Castelfirmiano non accadde nulla, nessun ripensamento dei governi italiani verso i propri impegni mancati nei confronti della minoranza sudtirolese. Ma perfetto nell’epopea di popolo con cui si ricostruisce la vicenda sudtirolese.

17 novembre 2007. Che cosa è accaduto nel solenne anniversario, cinquant’anni dopo?

Affaccendati nei loro affarucci, la SVP e il suo segretario si sono dimenticati di prenotare il castello. Lo hanno fatto invece gli Schützen. Accortosi della faccenda all’ultimo momento, il presidente della giunta Durnwalder non ha voluto lasciare loro il campo e il giorno prima ha tenuto nel piazzale del castello una modesta cerimonia, in cui ha dichiarato fra il resto che la manifestazione di cinquant’anni prima non era contro gli italiani ma per l’autonomia. Falso, ma giustamente detto.

Castelfirmiano, 17 novembre 1957: Silvius Magnago parla alla folla.

Il segretario del partito, Obmann Pichler Rolle come d’altronde moltissimi altri "obbligati", non si è fatto vedere. Al castello era andato per i fatti suoi, per una sessione di foto insieme al povero Silvius Magnago, da usare soprattutto per la propria campagna elettorale.

Il sabato 17, mentre la Svp teneva un ingessato congresso senza invitati italiani, e alla presenza del cancelliere austriaco Gusenbauer che in fatto di Sudtirolo è ben lontano da ogni fanatismo, un migliaio di Schützen si sono recati allo storico castello. E fra i cartelli Los von Rom e Autodeterminazione per il Sudtirolo, e i discorsi ufficiali dello stesso tenore, ne è apparso uno che inneggiava al Los von Wien, via da Vienna. Non c’era neppure Eva Klotz, che nelle settimane addietro con il suo nuovo partito "Tiroler Freiheit" libertà tirolese, ha tappezzato Bolzano di cartelli con la scritta Los von Rom, e si è divertita in un gustoso episodio al Brennero. Lì, vicino al cippo di confine, il sindaco aveva autorizzato (senza saperne il contenuto, ha detto!) che fosse piantato un cartellone, con la scritta Süd-Tirol ist nicht Italien, l’Alto Adige non è Italia. Il sindaco l’ha fatto togliere pochi giorni dopo, in seguito al vespaio suscitato al di qua e al di là del confine.

Si approfondisce la divergenza fra SVP e il corpo paramilitare tirolese? In un seminario a Innsbruck la settimana scorsa si è parlato della radicalizzazione degli Schützen sudirolesi. Dalla corona di spine del 1984, all’assalto alla presidenza del congresso SVP alla Salvar di Merano nel 1987, all’assassinio del consigliere regionale Christian Waldner da parte del referente culturale del corpo, fino alla scoperta recente che i quadri del corpo erano stati addestrati da un ex generale tedesco, che in Germania è considerato un estremista di destra legato a personaggi e gruppi neonazisti e negazionisti della Shoah, invitato e pagato con denaro pubblico. Gli Schützen hanno avuto un’evoluzione che ha trasformato l’associazione culturale, generosamente finanziata dalla Provincia, in un movimento che si pone sempre su posizioni nazionaliste tedesche estreme e provocatorie, intervenendo pesantemente nella politica.

La politica, e soprattutto la SVP, paralizzata in questo periodo dalla preoccupazione per le elezioni del prossimo autunno, reagisce troppo debolmente a questo e ad altre manifestazioni di estremismo di destra. La presenza di cinque gruppi neonazisti organizzati nel territorio sudtirolese, come è stato dichiarato dal Procuratore della Repubblica Kuno Tarfusser, richiederebbe un atteggiamento molto più severo per evitare che si crei un punto di aggregazione di fenomeni che sempre secondo la Procura si teme possano fungere da "ponte" con realtà analoghe a nord e a sud.

A svelare che gli Schützen sono ormai inseriti in una logica pangermanista, deragliando dalla loro essenza tirolese, non ci sono solo i difficili rapporti con gli Schützen del Tirolo del Nord, che in più occasione hanno preso decisamente le distanze dalle posizioni dei camerati del sud, ma anche il sospetto di una voce trasversale, quella della Gesellschaft für bedrohte Völker, la Società per i popoli minacciati. Alla richiesta del corpo paramilitare di essere coinvolti nella lotta antifascista, la GfbV ha seccamente ribattuto che il loro antifascismo sembra molto più odio antiitaliano che vero impegno contro l’ideologia fascista, ma ha anche messo in rilievo che gli Schützen non hanno mai preso alcuna iniziativa per riflettere su quanto accaduto nel 1943 agli ebrei della comunità meranese. Denunciati dai vicini di casa, che incassarono i proventi dell’arianizzazione dei loro beni, essi vennero tutti sterminati. Da parte sudtirolese non vi è stata mai una scusa o una riflessione pubblica su questo terribile evento. Ma i guai per gli Schützen non sono finiti.

Abituati ad accusare di fascismo tutti coloro che si oppongono alle loro frequenti provocazioni, sono incorsi in una critica rivolta loro sulla base dei loro stessi principi. Un giornalista e critico musicale, il ladino Mateo Taibon, ha accusato la proposta di revisione toponomastica degli Schützen di essere un Prontuario. La parola riprende quella che contiene le liste di toponimi e nomi di famiglia sudtirolesi di Ettore Tolomei, adottato come strumento per la snazionalizzazione dei sudtirolesi nel ventennio fascista. La proposta degli Schützen cancella quasi tutti i nomi italiani, definendoli non-storici, ma nel frattempo inserisce in tutte le località ladine toponimi tedeschi che storici non sono affatto. Taibon, senza mezzi termini, accusa la proposta di voler germanizzare le valli ladine.

Ne è anche prova la non veridicità dello slogan degli Schützen: Sudtirolo, tedesco da 750 anni. Infatti, scrive il giornalista ladino, in Sudtirolo vivono tre popolazioni: i ladini, che c’erano ben prima dei tedeschi, e gli italiani che ci stanno da sufficiente tempo per avere diritto di considerarlo la loro patria. Ma "il fascismo disturba solo se è italiano" scrive Taibon.

Gli anniversari della storia raccontata per troppo tempo a scopo militante, stanno diventando sempre più fastidiosi. Superato, tutto sommato bene, il cinquantenario del 17 di novembre, ci si avvicina al 2009, bicentenario della rivolta di Andreas Hofer. Ogni anniversario hoferiano è stato usato per far emergere le voci del nazionalismo, basti ricordare il 1909, il 1959, il 1984. Ora si comincia male, con le ripetute fastidiose dichiarazioni di Durnwalder contrarie al raduno degli alpini a Bolzano per un paio di giorni, per ragioni di "ordine pubblico". Chi scrive è tutt’altro che appassionata di corpi militari o pseudomilitari. Ma mi chiedo se si abbia l’intenzione di concedere per 365 giorni l’anno le vie della città solo alle manifestazioni di questo Schützenbund. Sarebbe davvero preoccupante.