Trentino tutto e sempre cattolico? Precisiamo…
Dibattito sulla presunta naturale natura cattolica (e democristiana) del Trentino. Interviene un Dc doc.
Troppa grazia, verrebbe da dire. Risulterebbe anche a me improprio (come a Ettore Paris, ultimo numero di Questotrentino, Pensiero unico: il Trentino, sempre e solo cattolico) che "l’insieme della comunicazione culturale" si proponesse di sostenere che "…il Trentino è sempre stato (ed è ora) terra cattolica, la sua storia è quella della cultura cattolica, ecc.". Lui deriva la sensazione dalla recente "rivisitazione" della figura degasperiana. Che poi "tutti gli altri, illuministi, liberali, laici, socialisti, fino agli extraparlamentari degli anni ’70" vengano "depennati" (giudizio suo), mi pare sovraccarico autolesionista. Se è accaduto, è difetto di inquadramento visivo, storico. Forse a ricerca premeditata di compiacimenti esterni? Se sì, sarebbe comunque carenza di serietà.
Mi ritrovo nell’analisi di Walter Micheli. In effetti, per rimanere agli ultimi due secoli, il Trentino vide il confrontarsi di diverse culture, espresse - osservo io - da forze diventate diseguali. Con una emergenza "cattolica" derivata anche da creatività promozionale (cooperative, ecc.) capace di stabilizzare consensi convinti. Anche anticipatrice (primo Novecento!) di supreme distinzioni. Sarebbe impropria, infatti, una lettura integralista del Degasperi giovane studente, non ancora giornalista né politico, che al congresso degli universitari cattolici (marzo 1902) lancia quel suo: "Prima cattolici e poi italiani, e italiani solo fin là ove finisce il cattolicesimo". Era un segnale di identità, "nel timore di una affermazione socialista, materialista, anticlericale". Tuttavia, non clericale.
Nel 1904, protagonista all’assemblea introduttiva al Partito Popolare, Degasperi andrà a precisare: "Conviene distinguere tra azione e movimento sociale e movimento puramente politico. Il primo è opera delle società operaie cattoliche... il secondo si manifesta nelle adunanze espressamente politiche e nelle agitazioni elettorali". Una anticipazione di linea dei popolari di Sturzo, 1919.
Il Degasperi del 1952, nel confronto con Pio XII, citato su Questotrentino da Mauro Bondi (Le nostalgie asburgiche del Principe Dellai ), è in quello stesso stampo di distinzione. "Incompreso dai suoi", lui dice. E invece no. Degasperi aveva ricusato una indicazione vaticana a coinvolgere DC e MSI in un’alleanza elettorale per il Campidoglio, intesa a confermare Roma quale "capitale della cristianità", considerata a rischio per l’intesa frontista. Quello che conta, per il Trentino, è la corrispondenza di linea affermata allora dalla Giunta diocesana dell’Azione cattolica, presidente Flaminio Piccoli, assistente mons. Alfonso Cesconi. Comunicata quindi a Luigi Gedda, presidente centrale dell’Azione Cattolica. Ciò che costò a loro la sospensione dagli incarichi, poi rimediata dalle perorazioni "oltre le mura" di un conciliante vescovo De Ferrari. Non sovrabbondanze clericali, dunque. Al punto che un riconoscimento di sana laicità ci fu consegnato perfino da Guido Piovene. Anno 1957, "Viaggio in Italia".
A Trento, volle scoprire il rapporto tra società civile e società religiosa. "Non muove foglia che Cescon non voglia" dicevano allora talune malelingue. Non gli pareva fantasia retorica, ma verità poetica nel senso di Goethe dire che a Trento e nelle valli, da dopo il Concilio, "passano ancora, saturando l’aria dei loro fluidi, ombre purpuree-violacee di cardinali". Dal colloquio con Cesconi ("molti i legami con i laici, ma prete, interamente, fisicamente, prete…") egli distillò un’impressione diversa da quella iniziale. Che fosse da respingere l’idea di una città clericale. Non casualmente - concluse - Degasperi proveniva "da una specie di controriformismo locale, una schiera di laici". Localmente, Quinto Antonelli ("Fede e lavoro",Rovereto 1981) andrà a riconoscere il prete dell’epoca come "l’intellettuale organico di questa società precapitalistica", puntualizzando: "è già un clero uscito di sacrestia".
Santo, adesso, Degasperi? Attenuo l’acerbo timore di Paris e Bondi. A me il Degasperi conosciuto e ascoltato basta e avanza. Neanche mi angoscia il "veto" di Magnago. Comprendo, tuttavia, che la Chiesa voglia sperimentarsi a introdurre nell’annuario della testimonianza "eroica" anche uomini della contemporaneità, i La Pira, i Lazzati, i Dossetti. Il politico "obbligato alle cose", perciò negato alle vie dello spirito? Difficile, non impossibile. Frattanto, a Degasperi, diamogli tutto il suo, dico a Bondi.
E’ una lettura impropria l’inadempienza attribuita a Degasperi, un suo mancato ricordo del martirio di Cesare Battisti, alla riapertura del Parlamento austriaco. Gli aggiorno la memoria. Dichiarò Degasperi, nell’aula, il 28 settembre 1917 (pagg. 1325-1329 dei verbali): "Dico di un popolo intero che venne evacuato e, per meglio dire, deportato, per un peccato originale che grava su noi tutti, quello di essere nati italiani… Lo spirito medesimo che ci ha banditi infuria ancora contro quelli che sono rimasti in patria; lo stesso che vede il colmo delle sue manifestazioni nella vergognosa danza macabra inscenata attorno a una forca. Questi tirannelli credono, perché tutto tace, che sia un cimitero. Ma lasciate che lo spirito della libertà soffi sopra queste ossa ed esse si ricomporranno e costituiranno di nuovo uomini vivi e liberi. Questo giorno deve venire e verrà". Detto in quell’aula, in quel momento!
Scavalcando i tempi, neanche mi va di accondiscendere alla semplificazione polemica, introdotta da Piergiorgio Rauzi, che lo induce a descrivere una "modernizzazione" del Trentino frenata dalla DC, in antagonismo anche con Kessler, perché minoritario rispetto ai dorotei di Piccoli, a sua volta (Kessler) sostenuto negli intenti dalle altre culture, "riformismo di sinistra, movimento sindacale ecc.".
Che vi fossero talvolta dissonanze, anche conflitti, non intendo negarlo. Osservo, tuttavia, che gli obiettivi riformisti di Kessler (dall’università, al Pup, alla tentata ricomposizione del "Los von Trient" sudtirolese) furono sistematicamente sostenuti dalla DC intera.
Per finire, non faccio fatica a condividere, di Ettore Paris, la scoperta che "l’egemonia della Chiesa, nel Trentino del 2000, non c’è più". Con la specificazione - forse per lui insperata - che esiste (non necessariamente minoritario) un intendimento di rendere rispondente ad una società esigente questo rapporto di presenza. Lo dico (mentre scrivo) nell’imminenza del convegno ecclesiale nazionale di Verona, là dove talune pigrizie a rischio potrebbero consolidare connotati non rispondenti alle occorrenze. Peraltro, confortato da impuntature interessanti. Ad esempio, sottolineature revisionali circa il fatto che, negli ultimi anni, l’unica voce ecclesiale anche a nome dei laici sembra quella "targata Cei", come scrive don Vittorio Cristelli. Non a caso, peraltro, l’introduzione ufficiale al convegno invoca la crescita di "cristiani adulti".
L’anno scorso, all’epoca del referendum sulla legge 40, Romano Prodi non incontrò gradimento episcopale nella sua autoaffermazione di votante quale "cristiano adulto", rispetto all’indirizzo ufficiale dell’astensione. Nella sua esperienza, anche Degasperi riteneva di doversi considerare "cristiano adulto". Ma qualcosa si va rimuovendo. "Oltre Ruini", si può dire?