Quelle insospettabili violenze in famiglia
Violenza sulle donne: le cifre impreviste di un fenomeno antico che solo da poco è uscito dall’ombra.
Drammi quotidiani si consumano nel silenzio delle pareti domestiche. Pareti che dovrebbero avvolgere la nostra intimità in un abbraccio affettivo che protegge e rassicura da ogni minaccia esterna. Succede, invece, più spesso di quanto si possa pensare, che l’inferno si nasconda proprio fra queste mura.
La violenza famigliare è senz’altro un fenomeno che per molto tempo è stato sottaciuto con la complicità delle tradizioni culturali o, per meglio dire, di quella disuguaglianza "biologica" fra i sessi che pone la donna in subalternità rispetto all’uomo. Stiamo parlando di retaggi di una cultura patriarcale che sopravvive nel presente negando alle donne la completa indipendenza. Tant’è che ancor oggi certi "uomini padroni" non accettano che la propria compagna, o moglie che sia, recida i laccioli del loro potere e controllo. Insomma, la libertà femminile è considerata un oltraggio insopportabile. Una ferita che svilisce e fa scattare la molla delle aggressioni.
Il repertorio dei violenti è davvero variegato: c’è chi perseguita la partner con le minacce seguendola ad ogni passo come un’ombra e chi sfoga la propria rabbia mandando abitualmente in frantumi oggetti di casa. Ma c’è di peggio: qualcuno va giù duro con le botte o le torture psicologiche. Talvolta oltre alle offese ci scappa pure la brutalità sessuale o l’omicidio. Non a caso, in Italia, come ci racconta una recente indagine Istat, sono oltre mezzo milione le donne dai 14 ai 59 anni che nel corso della loro vita hanno subìto almeno una violenza sessuale (tentata o consumata) e, in tre casi su quattro, gli abusi sono commessi da una persona conosciuta, magari proprio dal compagno che sta al loro fianco.
Per fronteggiare questi soprusi sono sorte, qua e là nelle città italiane, varie associazioni, che si danno un bel daffare per accogliere le vittime ed aiutarle ad individuare le possibili strategie d’uscita dal tunnel della violenza.
Vediamo allora di approfondire meglio gli aspetti sociali e psicologici di questo fenomeno nella realtà trentina. Basti dire che al Centro antiviolenza, solo nel 2004, si sono rivolte per chiedere ascolto e supporto ben 119 donne.
Ma chi sono gli autori di questi maltrattamenti? Emarginati? Drogati? Uomini con il problema della bottiglia? Certo, sarebbe molto rassicurante attribuire le cause esclusivamente ad un contesto di marginalità o disagio psichico. Nascondere tutto dietro il paravento dei luoghi comuni. Ma le cose stanno diversamente. I maschi burberi e con la mano pesante, nel 94% dei casi, rientrano in quella tipologia di persone "perbene", verso cui si ripone fiducia, talvolta dalla carriera brillante e con tanto di ruolo rispettabile nella società. Insomma tipi mansueti, saggi ed educati, che di certo a parole condannano la violenza. Eppure la considerano legittima quando si scatena con furia incontrollata e per banali motivi sulla moglie, convivente o ex partner (vedi grafici 1 e 2). Magari con i figli, anch’essi vittime o spettatori.
E sono proprio questi tipi insospettabili ed "invisibili" che ostacolano la possibilità di creare una rete di protezione per la vittima. "Infatti – spiega la dott.ssa Barbara Bastarelli, coordinatrice del Centro antiviolenza di Trento – è davvero difficile, in questi casi, che la donna sia credibile, perché nelle relazioni esterne essi assumono un comportamento corretto. Inoltre l’uomo non manifesta da subito queste aggressioni perché vuole favorire il legame (vedi grafico 3). Poi, pian piano, nella convivenza queste violenze si esprimono intrecciandosi ad altre forme. Ad esempio, la violenza fisica, che è la più visibile, si accompagna spesso a quella psicologica in cui si denigra la donna con aggettivi offensivi oppure le si crea un vuoto sociale intorno, isolandola da tutta la sua rete amicale e affettiva. Non dimentichiamo che ci sono altre modalità insidiose, tipo quella economica: la sottrazione del reddito della donna, il divieto di svolgere un lavoro retribuito fuori casa, il controllo delle sue spese, l’imporre un conto corrente a nome del marito ecc… Oppure quella sessuale: l’obbligo ad assistere a film pornografici, a prestazioni sessuali di cui lei non è consenziente, eccetera".
Ma come si esce da questa spirale di violenza che fa a pezzi la personalità della donna e la fa naufragare in una quotidianità dolorosa e traumatica? E perché molte vittime, anziché prendere in mano le redini della propria vita, rimangono a lungo imbrigliate in questa trappola, magari auto-colpevolizzandosi?
E’ facile cadere in risposte semplicistiche, del tipo "E’ perché se l’è voluta" o "Le va bene così", che scaricano tutta la responsabilità sul gentil sesso mettendo in ombra le vere dinamiche di questi abusi. Insomma, può succedere che si rischi di sottovalutare le risorse femminili nel fronteggiare il problema. Non dimentichiamo che, per molto tempo, le donne non hanno trovato il coraggio di uscire allo scoperto su queste angherie per via di quel fardello di "virtù femminili" che si appioppavano al gentil sesso come la "naturale" capacità d’abnegazione, di sopportazione, d’essere paciere d’ogni conflitto. Così lo spettro della vergogna e del senso di colpa continua ad aleggiare nel mondo femminile che si svincola dall’autorità maschile. Quindi, poche trovano la forza di denunciare questi drammi e, quando lo fanno, in meno del 10% dei casi si arriva ad una condanna dell’autore della violenza. Per non parlare del fatto che, se la donna non ha un adeguato sistema di protezione attorno a sé, la denuncia può scatenare un aumento delle aggressioni mettendo a rischio la sua vita.
Dunque, "scaricare" il compagno non è affatto semplice. Tant’è che le vittime che approdano ai centri, se pur sottoposte ad uno stillicidio di soprusi, difficilmente si presentano con la valigia in mano, mentre quasi tutte hanno come conseguenza un equilibrio psicologico davvero sconquassato che frena la loro capacità di intravedere possibili soluzioni.
"Per la donna – chiarisce la sociologa – è difficile individuare la pericolosità dell’uomo e capire come affrontarla. Questo perché non c’è un chiaro rifiuto della violenza maschile da parte delle istituzioni e a livello culturale. Non a caso, fino agli anni ‘70, la violenza sulla donna era legittimata giuridicamente, infatti era punito soltanto l’abuso della violenza. Inoltre, va detto che il comportamento del maltrattante è spesso ciclico, quindi alterna fasi di scoppio della rabbia a momenti di ravvedimento in cui chiede ‘dolcemente’ scusa per aver perso le staffe".
Insomma, è molto facile che il violento provi intenzionalmente a confondere le acque sulla sua responsabilità.
Ma se l’uomo cerca di sgattaiolare, le cose non vanno meglio quanto a sensibilizzazione della collettività verso il problema. Non c’è dubbio che le aggressioni in famiglia siano sempre state considerate una faccenda privata, come conferma peraltro il vecchio detto: "Fra moglie e marito non mettere il dito". E come tale, si è trovato un bel pretesto, da parte di tutte le categorie sociali, per lavarsene le mani. C’è però un’altra ragione che ha reso invisibile questa brutta faccenda. Come confermano alcune ricerche in campo nazionale, non è detto che le motivazioni dell’uomo violento siano da tutti bollate come riprovevoli ed automaticamente messe all’indice. Anzi, capita che trovino consenso sociale proprio da parte di quelle categorie di persone, quali forze dell’ordine o personale sanitario, che dovrebbero dare soccorso e supporto morale alla donna in situazioni così delicate.
"Può succedere – commenta Bastarelli – che la vittima vada dai carabinieri per denunciare la violenza e si senta rispondere: "E’sicura? Può rovinare suo marito, che è il padre dei suoi figli". La gente comune esprime spesso biasimo sulla donna. Oppure succede che si banalizzi quello che è accaduto. Diciamo che, da parte di molti, c’è una responsabilità nel mancato accoglimento delle richieste d’aiuto della vittima".
Dunque, non si può pensare di chiudere il cerchio della violenza senza un adeguato bagaglio culturale che crei una nuova sensibilità degli operatori addetti a ricevere simili domande d’aiuto, per poter individuare in tempo i campanelli d’allarme che precedono questi drammi.
Ma come si è attrezzato il Trentino quanto a campagne informative, e come sono state accolte?
"All’azienda sanitaria – risponde la sociologa – sono stati fatti dei corsi sulla violenza sessuale per gli operatori con il contributo del nostro centro. Abbiamo anche organizzato serate e dibattiti, ma sono problematiche che non richiamano grande attenzione di pubblico. A livello informativo abbiamo diffuso locandine e manifesti in tutte le valli e nei Pronto Soccorso. C’è una buona collaborazione con i servizi sociali del territorio. Purtroppo nel nostro centro le risorse languono. Con tre operatrici a part-time non riusciamo a svolgere tutto il lavoro che andrebbe fatto anche sul territorio".
S.O.S. Donne
Il centro antiviolenza di Trento, si rivolge a tutte le donne che si trovano a subire abusi in qualsiasi momento o circostanza della loro vita, ma anche alle persone che sono in contatto con queste vittime.
Il servizio gratuito offre consulenza telefonica informativa, colloqui individuali, sostegno per un’uscita consapevole dalla violenza ed accompagnamento ai servizi socio-sanitari.
Proposto dal Coordinamento Donne e finanziato dalla Provincia, si trova in via Dogana 1, tel. 0461.220048. Orari: lunedì 14-16, mercoledì 14-19, giovedì e venerdì 9-13.