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QT n. 4, 25 febbraio 2006 Cover story

Quei crimini nascosti

E’ un aspetto molto intricato e, soprattutto, sottovalutato, quello della violenza sulle donne. Tant’è che il tema fino a pochi anni fa non destava molto interesse nemmeno a livello di ricerca scientifica. Poi, pian piano, c’è stata una piccola rivoluzione culturale. Insomma, queste brutalità hanno acquisito molta più visibilità sociale grazie al contributo dei movimenti femminili che hanno alzato la voce dicendo basta a questo silenzio. Eppure, ancor oggi, succede che su queste angherie cada l’oblio. Per conoscere i meccanismi sociali che stanno alla base di ciò, ne abbiamo discusso con la prof.ssa Patrizia Romito, docente di Psicologia sociale all’Università di Trieste ed autrice di numerosi saggi sulla violenza famigliare.

A che punto siamo nella lotta a questi soprusi?

"Ci sono stati cambiamenti molto importanti promossi non solo dai Centri antiviolenza, ma anche dal lavoro delle organizzazioni internazionali: l’Onu, l’Oms o Amnesty International. Tuttavia mettere in discussione la violenza sulle donne significa intaccare la dominanza maschile, di cui la violenza è lo strumento più evidente. Quindi vi sono delle forti resistenze diffuse in tutti i gruppi sociali e professionali, ma sono molto visibili, ad esempio, nei movimenti dei padri separati, che rappresentano l’avanguardia del ‘contrattacco’.

Oltre a ciò, va rilevato che ci sono dei meccanismi d’occultamento del problema. Uno di questi è la tendenza a dare una lettura non corretta in termini psicologici. Faccio un esempio: il modello della donna masochista è spesso utilizzato come giustificazione della violenza domestica. Oppure l’eufemizzazione del linguaggio: succede che i media ci raccontano di uomini che uccidono le ex mogli come conseguenza del troppo amore verso le ex compagne. Spesso negli articoli le aggressioni subite sono descritte in termini di litigi e non compare la parola ‘violenza coniugale’.

A livello normativo la legge sull’ordine di protezione (legge Finocchiaro), che prevede l’allontanamento del coniuge violento senza aspettare la denuncia, è utilizzata poco, perciò è difficile capire quanto è servita".

Per combattere la violenza domestica gli interventi si concentrano, per lo più, sul femminile. L’uomo, invece, rimane sullo sfondo. E’ possibile intervenire sulla personalità del maltrattante?

"Gli uomini raramente sono disposti a mettersi in discussione o a chiedere aiuto, sebbene le donne, prima di rivolgersi al Centro antiviolenza, cerchino di sollecitare il loro approdo ai servizi. Non sempre, in ogni modo, quest’ultimi sono preparati a rispondere in modo adeguato. Ad esempio, capita che ci si occupa del problema dell’alcol senza considerare la violenza. Non a caso, in alcuni paesi come la Norvegia, si agisce in primis sul comportamento violento. In sostanza, si dovrebbe agire facendo sì che l’uomo arrivi a riconoscere le sue precise responsabilità e quindi decida lui stesso di chiedere supporto impegnandosi a cambiare".