Quei fragili legami di coppia.
Quanto vacillano i matrimoni in Trentino, come e perchè finiscono, quale è il destino dei figli. Le statistiche e le indagini degli studiosi ci dicono che...
Sono sempre più frequenti i matrimoni che giungono al capolinea dopo una convivenza sofferta, stanca, deludente. Certo, oggi ci si sposa per amore. Ed è una "relazione pura", come la definisce la psicoanalista Donata Francescato, meno ingabbiata dai vincoli "della necessità, della tradizione, della legge o della religione". Insomma, uno scambio più effervescente fra i partner: fatto d’intimità, fiducia, reciproca soddisfazione. Che richiede però, un rinnovo d’energie quotidiane nel rapporto. Energie che, se affievolite, lo fanno vacillare.
PROCEDIMENTI DI SEPARAZIONE E DI SCIOGLIMENTO DI MATRIMONIO IN TRENTINO (Annuario Stat. PAT) | ||
Anno | Separazioni | Divorzi |
1980 | 229 | 59 |
1985 | 299 | 145 |
1990 | 316 | 268 |
1995 | 447 | 246 |
2000 | 615 | 334 |
2001 | 717 | 375 |
2002 | 669 | 396 |
Ma quanto vacillano i matrimoni in Trentino? Numeri alla mano, comparando i dati dell’ultimo decennio alle altre regioni italiane, scopriamo che tutto sommato hanno una discreta tenuta, sebbene i naufragi delle unioni siano in costante aumento (vedi tabella a lato).
Le statistiche ISTAT sui tassi di separazioni e divorzi, calcolate sul totale delle famiglie, ci dicono che il Trentino è in linea con la media nazionale, ma ha un tasso un po’ inferiore rispetto all’area del Nord-Est. C’è però qualche dato curioso: quanto a separazioni legali, la nostra Provincia, pur vantando tradizioni cattoliche, si allontana dal basso indice delle regioni del Sud, ma si avvicina a quelle più laiche, come la Toscana e l’Emilia Romagna. Da cosa dipende? Abbiamo girato la domanda ad un esperto, la professoressa Chiara Saraceno, docente di Sociologia della Famiglia presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Torino.
In Trentino - spiega Saraceno - "ci sono molti più cattolici che si dichiarano praticanti e lo dimostra il fatto che ci sono meno separazioni, per esempio, rispetto alla Valle d’Aosta, alla Liguria o alla Lombardia. C’è una tenuta quindi abbastanza forte dell’appartenenza religiosa in termini di valori, non solo in termini formali. Però il matrimonio e la fecondità, sono fra gli aspetti della vita più secolarizzati. O meglio: la vita privata è una questione in cui si pensa che la Chiesa non debba entrare troppo".
E il malessere della vita di coppia, è ben espresso soprattutto dal mondo femminile. Infatti, sia in Trentino, sia a livello nazionale, è per lo più il sesso debole a farsi portavoce di questo disagio, rivolgendosi ai consultori pubblici o ad avvocati e psicologi in caso di crisi coniugale. Donne, dunque, che decidono di prendere in mano le redini della situazione, di uscire da una fase di stallo nel rapporto. E che fanno il primo passo nella richiesta di separazione.
Ma perché il gentil sesso è più determinato a spezzare il legame di coppia?Le donne, - sottolinea la docente - "investono di più nel matrimonio, perché si dedicano molto all’attività di relazione. E proprio per questo, accettano meno che un matrimonio non funzioni. Gli uomini investono molto nell’identità lavorativa. Va anche detto, che essi mandano avanti le donne, poiché non vogliono apparire come coloro che vanno dall’avvocato. Il divorzio invece, statisticamente, è richiesto soprattutto dai maschi, perché più frequentemente si risposano. (L’Italia, infatti, è uno dei pochi paesi in cui lo scioglimento del matrimonio si svolge ancora in due fasi. La prima è la separazione legale, seguita dopo 3 anni dal divorzio, n.d.r). Le donne, forse, hanno meno desiderio e interesse degli uomini al divorzio: vuoi perché hanno i figli a carico o perché si sentono ‘vecchie’ rispetto al mercato matrimoniale".
Se è la donna a far affiorare per prima le ombre del legame di coppia, ricercando una qualità di vita migliore, non va dimenticato che è proprio lei che più spesso si sobbarca i problemi di vulnerabilità economica che conseguono alla separazione. In Trentino, infatti, i nuclei monoparentali, cioè costituiti da un unico genitore separato o divorziato e con prole, sono a rischio povertà. Il 4,9% dei capi-famiglia donna vive queste debolezza economica, contro l’1,9% dei nuclei con a capo un uomo. Il tutto crea molto stress nelle madri che devono provvedere a sbarcare il lunario e ad organizzare il menage familiare. Ma solo una buona partenza, ossia un matrimonio egualitario fra i sessi, può ridurre la povertà della famiglia in caso di separazione. "Il matrimonio e soprattutto la nascita dei figli, - commenta Saraceno - ancora oggi divaricano le carriere lavorative degli uomini e delle donne, sia perché allontanano una quota consistente di loro dal mercato del lavoro, sia perché spesso causano il passaggio al part-time o, comunque, il rallentamento nella carriera. Le donne più vulnerabili in assoluto nel momento della separazione sono quelle che si trovano con lavori marginali o casalinghe. Per i maschi, invece, il matrimonio incoraggia la partecipazione lavorativa: non perché sono egoisti, ma perché sentono la responsabilità. Ossia, il modo per essere un buon marito e padre è investire nel lavoro. Naturalmente, sostenuto dall’impegno domestico familiare femminile. L’intervento preventivo dovrebbe consistere nel far sì che le donne, sposate e madri, stiano il più possibile sul mercato del lavoro".
Spostiamo ora l’attenzione sulle risorse che il Trentino utilizza per supportare la coppia che si separa. La rottura del legame coniugale, si sa, è un evento della vita fra i più stressanti e dolorosi per entrambi i partner, perché implica un momento critico fatto di bilanci nonché di revisione della propria identità.
Insomma, qui vogliamo capire come si è attrezzato il Trentino culturalmente e nella messa a punto di servizi. Oggi i consultori pubblici - sostiene la docente - " non fanno quasi nulla, perché sono diventati fortemente sanitarizzati, come risulta dalle ricerche che ho fatto con Barbagli a metà degli anni 90’ e che comprendevano anche il Trentino. A livello d’intervento culturale bisogna lavorare molto per sviluppare il senso di responsabilità reciproca fra i partner: per sostenere la durata del rapporto quando è possibile, ma anche per favorire la capacità d’uscita dai legami insostenibili. Non dobbiamo però considerare chi si separa come patologico. Certo, si possono moltiplicare i servizi di ascolto come offerta, come transizione utile, ma non in modo stigmatizzante. I servizi di sostegno non devono a tutti i costi cercare di riunire la coppia, ma solo accrescere la capacità di lettura della realtà. Recuperare se c’è qualcosa da recuperare e fornire risorse per lasciarsi senza esserne distrutti o sentirsi colpevoli".
E proprio in tema di servizi di sostegno abbiamo chiesto un parere alla coordinatrice dell’ALFID (Associazione Laica Famiglie in Difficoltà) di Trento, la mediatrice famigliare Franca Gamberoni, la quale sottolinea che il vero punto dolente per chi si separa nella nostra Provincia è la ricerca di un nuovo alloggio. Non a caso, l’ALFID mette a disposizione degli utenti quattro appartamenti, ma a fronte delle seicento persone che l’associazione ha seguito nel 2003, questa risorsa si rivela del tutto insufficiente. In un momento così delicato, come quello della separazione, - spiega Gamberoni - "entrambi i partner desiderano trovare una sistemazione adeguata per stare con i bambini, ma il mercato della casa non è fluido ed offre poco". E le ricerche condotte a livello nazionale confermano questo fatto. Tant’è che per molti coniugi, specie se di ceto economico basso, la rottura del legame implica una temporanea e sofferta perdita d’autonomia, con il ritorno al tetto famigliare d’origine.
Insomma, la crisi di coppia comporta non solo una riattivazione delle risorse intime dei partner per elaborare questo evento destabilizzante, ma richiede anche una maggior attenzione nell’investimento di quelle pubbliche.