Serge Latouche: decrescere per reincantare il mondo
A questo punto devo considerare Trento un vero centro della decrescita". Di fronte a un aula conferenze, quella della Fondazione della Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, gremita fino al punto che qualcuno ha dovuto seguire il suo intervento in piedi, Serge Latouche ha con queste parole, l’8 novembre, espresso il suo riconoscimento a un pubblico che già un anno fa aveva accolto altrettanto numeroso la sua presenza a Trento.
Economista, sociologo, filosofo, Latouche è colui che meglio di chiunque altro ha saputo dare credibilità al progetto di una società della decrescita, radicalmente alternativa al modello sociale che, sviluppatosi in Occidente, oggi domina nel mondo per effetto della cosiddetta globalizzazione. "Nient’altro che una nuova parola, quest’ultima, per definire il processo di ‘occidentalizzazione’ del pianeta", spiega Latouche al pubblico trentino. "Un processo cominciato quando lo si chiamava ‘colonizzazione’ e proseguito, dopo la seconda guerra mondiale, centrandosi attorno ai concetti di ‘sviluppo’ e di ‘crescita’. Il risultato, oggi, è un mondo appiattito su un pensiero unico, economicista, uniformato nell’adorazione del dio Pil". Un mondo destinato alla catastrofe ambientale e sociale, talmente incapace di pensare in maniera altra da reagire alle avvisaglie del disastro (l’uragano Katrina e le fiamme di Parigi, per restare agli esempi più eclatanti degli ultimi tempi) rimanendo aggrappato al concetto di sviluppo e limitandosi ad aggettivarlo. "Sviluppo sostenibile – osserva Latouche – è l’ossimoro più assurdo che l’uomo abbia mai inventato: per definizione, nessuno sviluppo è sostenibile". La soluzione sta allora nel "decolonizzare l’immaginario della crescita", per riuscire a pensare e a realizzare una società dove ad essere sostenibile sia invece la decrescita: "Non una società della recessione, come può pensare chi ragiona in maniera tradizionale, ma una società conviviale, pacifica, solidale".
Un’impresa tutt’altro che facile. Lo fanno notare per primi Ugo Morelli e Sergio Manghi, i due professori chiamati a dialogare con Latouche nell’incontro organizzato dalla Trento School of Management. Convinti anch’essi della necessità di cambiare rotta, entrambi pongono però l’accento sul vuoto di senso che può lasciare negli individui e nelle collettività l’abbandono di un modello così rassicurante come quello centrato sul concetto di sviluppo. Come fare a colmarlo? "Provando a reincantare il mondo – risponde il pensatore francese – con l’arte, la poesia, l’ozio e tutto ciò che l’economicismo ha cacciato dalle nostre vite bollandolo come ‘inutile’, e che la società della decrescita vuole riconquistare".
Basterà per convincere i "tossicodipendenti" della crescita? Latouche non nasconde l’improbabilità della cosa. Non può esserci società della decrescita senza individui educati a recepirla, ma, d’altra parte, solo una società della decrescita può educare gli individui alla ricezione dei valori cui è ispirata: è a causa di questo circolo vizioso, osserva Latouche, che la rottura con qualunque immaginario dominante resta improbabile. Ma non impossibile. La rottura parziale sta già avvenendo in più di un caso, come dimostrano le esperienze di economia solidale presenti anche in Trentino.
Non resta che continuare a dialogare con gli individui e le collettività potenzialmente più sensibili. Con quale spirito? Latouche risponde citando Gramsci: "Temperando il pessimismo della ragione con l’ottimismo della volontà".