Quando fare la spesa è come andare a votare
Il commercio equo e solidale: come funziona e perché il Trentino è all'avanguardia in Italia.
Ogni volta che facciamo la spesa possiamo scegliere non solo in base al prezzo e alla qualità, ma anche in base alla loro storia e al comportamento delle imprese che ce li offrono. In particolare è importante valutare se sono prodotti utili, se sono frutto di oppressione in qualche paese del mondo, se richiedono alti consumi di energia per la loro produzione, se hanno conseguenze ambientali gravi". Insomma, "consumando in maniera critica è come se andassimo a votare ogni volta che facciamo la spesa".
Queste parole, che leggiamo negli atti di un convegno della Federazione Trentina delle Cooperative svoltosi lo scorso anno, ci introducono al tema del cosiddetto commercio equo e solidale, che nel nord Europa ha ormai una storia trentennale e che in Italia è partito una ventina d'anni fa. Nel panorama nazionale, il Trentino è all'avanguardia: nella nostra provincia, infatti, la spesa pro-capite in prodotti di questo genere, è addirittura quadrupla rispetto al dato della Liguria, che viene al secondo posto in questa classifica. Questo anche perché il Trentino è la sola realtà italiana in cui la distribuzione di queste merci avviene, oltre che tramite le botteghe a ciò deputate (da noi si chiamano "Mandacarù", e si trovano a Trento, Rovereto, e tra breve a Riva), anche all'interno della grande distribuzione, in particolare i Supermercati Trentini e le Famiglie Cooperative.
Nonostante questa (relativa) diffusione, sarà comunque meglio, prima di proseguire, stabilire qualche punto fisso; ad esempio, ricordando che il commercio equo e solidale non vuole proporsi come pura testimonianza alternativa nei confronti di un sistema produttivo e distributivo che accetta tranquillamente, fra l'altro, lo sfruttamento dei minori e la distruzione dell'ambiente; vuole piuttosto combattere queste storture, dimostrando che si può entrare e restare nel mercato pur rispettando la dignità umana e la natura.
In concreto: anzitutto occorre garantire ai produttori una giusta remunerazione, aiutandoli con prefinanziamenti utili all'acquisto delle materie prime, in modo da evitargli il ricorso al prestito bancario che rischierebbe di strangolarli.
Si tende poi a operare su materie prime rinnovabili presenti sul posto, valutando l'impatto ambientale di tutte le fasi della lavorazione. Infine, vengono privilegiati i prodotti coltivati in modo naturale.
In Trentino la gestione di questo commercio è in mano alla Cooperativa Nord-Sud, nata nel 1989, che nelle sue botteghe e attraverso la grande distribuzione vende i prodotti che la CTM (altra cooperativa senza fini di lucro), importa in Italia da circa 100 gruppi di produttori di 33 paesi di Africa, America Latina ed Asia, che coinvolgono complessivamente più di 40.000 persone.
Le due botteghe "Mandacarù" di Trento e Rovereto (dove si trova un po' di tutto, dai prodotti alimentari a quelli artigianali) in questi anni hanno venduto oltre tre miliardi di mercé; ma la svolta si è avuta quando nel '96, dopo un periodo di rodaggio, la collaborazione col Sait è divenuta stabile e in quei supermercati sono cominciate ad apparire delle scaffalature appositamente dedicate ai prodotti del commercio equo, che oggi si possono trovare in una novantina delle 120 Famiglie Cooperative del Trentino: 18 prodotti alimentari che vanno dal caffè al miele, al cacao, al cioccolato, allo zucchero di canna, al riso, al thè, ai biscotti...
Un ostacolo oggettivo a una diffusione più massiccia di questi prodotti è il loro costo: una più equa remunerazione di chi lavora e l'uso di sostanze naturali, per non parlar d'altro, fanno evidentemente lievitare i prezzi, che però non si possono definire fuori mercato. Abbiamo fatto un breve sopralluogo al supermercato di piazza Lodron a Trento mettendo a confronto i prezzi di alcuni generi, e abbiamo constatato che gli alimentari del commercio equo si collocano sì nella fascia alta di prezzo, ma non troppo lontano dalla concorrenza. Il miele, ad esempio, aveva un prezzo di 11.000 lire al chilo (quello "normale" partiva da 8.500 e arrivava a 11.900); il caffè 22.000 (contro un massimo di 21.000), il cacao costava 20.000 (contro un massimo di 17.000); solo il cioccolato andava fuori misura, con un costo di 29.000 lire al chilo, il doppio cioè del cioccolato più caro esposto negli scaffali. Ma in questo caso - ci è stato spiegato - ci trovavamo di fronte a un prodotto di qualità assolutamente superiore.
Il confronto col mercato tradizionale non è dunque impossibile, ma certamente faticoso; anche per un altro problema, una certa difficoltà di assicurare il rifornimento costante di quei prodotti che la grande distribuzione ha accolto nei suoi punti-vendita. Il consumatore che, superato l'ostacolo di un prezzo alto, arrivi ad affezionarsi ad un certo caffè, poi pretende di trovarlo ogni volta che ne ha bisogno, il che non sempre avviene.
"La cosa non dipende da nostre carenze organizzative - ci spiega Claudio Brigadoi, responsabile commerciale della Cooperativa Nord-Sud - E' un problema strutturale di questo tipo di commercio. Fra i nostri produttori ci sono anche cooperative composte da dieci persone, che difficilmente sono in grado di garantirci un flusso continuo di rifornimenti. Poi ci penalizza anche il fatto di privilegiare .i prodotti naturali, senza conservanti".
Però, così stando le cose, c'è il rischio di avere soprattutto una clientela "militante", fatta di persone che consumano i vostri prodotti per motivi ideologici, di solidarietà; dunque, una clientela necessariamente ristretta.
"In proposito abbiamo fatto un 'indagine con dei questionari e abbiamo visto che per i frequentatori delle nostre botteghe Mandacarù lo spirito di solidarietà è effettivamente la motivazione principale. Ma chi acquista i prodotti del commercio equo nei supermercati lo fa in primo luogo perché ne apprezza la qualità e la genuinità."
In questo caso, non sarebbe meglio che i vostri prodotti, anziché essere presentati tutti insieme in un espositore a parte, venissero distribuiti fra gli scaffali a fianco delle marche concorrenti?
"Nei normali scaffali, la sola regola che vale è quella del prezzo, e da questo punto di vista non siamo abbastanza concorrenziali. L'espositore a parte è più efficace, è come un piccolo negozio all'interno del grande negozio, che ci permette meglio di spiegare, di trasmettere il nostro messaggio. E l'informazione è un elemento importante della nostra attività, che contempla anche frequenti incontri abbinati alla degustazione di prodotti. Una informazione che spieghi sia la qualità di quello che vendiamo, sia il contesto in cui avviene la produzione. Forse è interessante sapere che un terzo del prezzo pagato dal consumatore per un nostro pacchetto di caffè va a chi lo coltiva; una percentuale che scende al 5% e anche meno quando si tratta di un caffè del commercio tradizionale".
Il nostro interlocutore riconosce al Sait una grande disponibilità nel portare avanti la collaborazione in corso, e in effetti nell'immediato futuro della cooperazione di consumo trentina ci sono dei progetti tali da far pensare che quanto fin qui realizzato non sia un'operazione di pura immagine: "Prossimamente - ci spiega Cristina Calassi, dell'Ufficio Stampa - intendiamo distribuire nei nostri punti vendita i prodotti (dai formaggi a piccoli frutti) di alcune cooperative di giovani calabresi: un vero e proprio commercio equo e solidale tutto italiano..."