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QT n. 9, 7 maggio 2005 Cover story

Gay e lesbiche in Trentino

Dichiarare la propria omosessualità non è facile. I gay escono pian piano allo scoperto, ma l’amore fra donne rimane più nascosto: per la gente comune è ancor oggi un tabù.

Sono uomini e donne. Seguono le stesse coordinate delle persone comuni. Frequentano gli stessi luoghi. Hanno gli stessi bisogni: di mura domestiche, di fare famiglia, d’intimità. S’innamorano. Ma hanno un cuore che batte per lo stesso sesso.

Per questo, sono bersaglio di pregiudizi e dicerie. Su di loro non si lesinano le etichette. Così la loro identità rimane spesso ingabbiata, sottaciuta, per paura di uscire allo scoperto. Per paura di perdere le relazioni che contano. Ed è facile scivolare in un vortice d’insicurezza e solitudine.

Foto di Walter Hill.

Certo, essere omosessuale, non evoca più lo spettro della malattia come nel passato, quando chi si dichiarava poteva vedersi aprire nientemeno che le porte di un manicomio. Oggi togliersi il velo, essere visibili, è diventato più semplice. C’è meno controllo sociale. C’è maggior libertà nei costumi sessuali. Ci dichiariamo tutti più tolleranti. Ma è davvero così?

Qui vogliamo capire qual è l’atteggiamento dei trentini nei confronti di gay e lesbiche, e, soprattutto, come questi ultimi vivono la loro identità nel quotidiano. Per farci un’idea, abbiamo chiesto alla gente comune, in città e in valle, cosa pensano di loro.

Basta dare un’occhiata alle risposte per rendersi conto che l’aria non è delle migliori. Non c’è dubbio che la domanda susciti un certo imbarazzo. Molte persone, seppur con elevato livello d’istruzione, quanto a conoscenza dell’argomento, brancolano nel buio: "Non so se sono così per motivi genetici oppure perché sono stufi della relazione e fanno un’altra scelta"."Forse sono così perché hanno difficoltà nei rapporti".

Spesso si corre ai ripari utilizzando i luoghi comuni: "Sono sensibili, creativi". "I gay sono effemminati e quindi più attenti alla cultura". Naturalmente chi è più informato o ha contatti con il "mondo omosessuale" esprime vedute più aperte: " Li frequento, sono persone normali, non vedo perché dovrebbero nascondere la loro vita affettiva". " Ho un’esperienza fantastica con i miei vicini di casa, che sono gay. Da quando li conosco non ho più pregiudizi".

Comunque, una certa dose di omofobia, intesa come paura irrazionale o reazione d’ostilità verso i propri ed altrui sentimenti omosessuali, è palpabile in parecchie risposte. Infatti, alcuni uomini, spaventati dalla domanda, precisano subito da che parte stanno, con la frase: "Ti premetto che a me piacciono le donne". E c’è chi la mette giù dura: "L’omosessualità maschile mi fa schifo", oppure: "Basta che non vengano a farmi proposte oscene". Anche se, in verità, non abbiamo mai raccolto espressioni d’esplicita condanna con aggettivi denigratori.

I giovani sono certamente i più tolleranti nelle idee: "Non sono diversi dagli altri". "Tutti hanno diritto di esprimere come vogliono la loro sessualità".

Negli adulti e nelle persone anziane c’è spesso un "ma", che accomuna i giudizi: "Non mi danno fastidio, ma basta che tengano le loro cose fra loro". "E’ un’anomalia che va accettata, ma a patto che non ne facciano sfoggio, che non si abbandonino ad effusioni, perché questo dà certamente fastidio".

E’ chiaro che, per molti, l’orientamento sessuale non convenzionale è considerato un fatto privato e come tale deve rimanere. Se è esibito negli atteggiamenti, se chiede legittimazione, allora è tutta un’altra storia, e può suscitare disgusto. Da queste premesse, si capisce come non sia facile, per chi ama lo stesso sesso, uscire allo scoperto e quali costi psicologici questa scelta implichi.

Per entrare nel merito della questione, abbiamo sentito il parere del dott. Stefano Cò, presidente dell’Arcigay di Trento. "Negli ultimi anni - spiega Cò - dichiararlo a se stessi, è ormai un fatto accettato, soprattutto fra i giovani. Dirlo fuori è difficile. Certo, rispetto al passato si comunica di più agli amici e ai parenti prossimi. A volte, non a tutti i genitori. La difficoltà maggiore rimane quella di esprimerlo quotidianamente, specie nell’ambiente lavorativo. In certi lavori, esempio di tipo intellettuale, dichiararsi, o per lo meno non negarlo, non crea più discriminazione. Invece in quelle mansioni, tipicamente maschili, quali ad esempio l’edilizia, la discriminazione qui in Trentino è molto forte.

In ogni modo ho l’impressione che i giovani di entrambi i sessi, sebbene più aperti, non siano del tutto tolleranti, magari perché la loro personalità non è ancora ben strutturata e temono di esserlo essi stessi".

Dunque, uscire allo scoperto significa imboccare una strada spesso in salita, e non c’è dubbio che il cammino possa essere facilitato o frenato da molti fattori. Entrano in ballo, infatti, il livello d’istruzione, la residenza in città o in periferia, il sesso, e via dicendo.

E pure l’educazione religiosa ha il suo bel peso. Non a caso, quello delle anime che "vanno contro natura" è sempre stato un tasto dolente per la Chiesa cattolica, la quale ha mostrato un atteggiamento altalenante verso chi ama lo stesso sesso. Da un lato, ha molta compassione per chi incappa in questo "problema". Dall’ altro, condanna come peccatore chi lo vive, dato che la famiglia è, per natura indiscussa, quella "regolare": formata da un uomo e da una donna, vocati alla procreazione.

Come si concilia, quindi, l’essere gay, con l’essere cattolico credente? La religiosità praticata può rappresentare un laccio per chi già fatica a rivelare il proprio orientamento sessuale?

"L’essere praticante - sostiene il presidente - incide senz’altro. Ma forse il discorso vale più in valle che a Trento. Anche se la secolarizzazione è presente ormai dappertutto. Penso però che influisca di più sui giovani che non hanno ancora un’identità ben strutturata. Comunque, sono molti i gay credenti che ci chiedono di sviluppare il tema della religiosità. Purtroppo, il rapporto con l’istituzione religiosa è certamente difficile. Tranne qualche caso: ad esempio, il parroco di Rabbi, si è dichiarato a favore delle unioni gay e con alcune figure istituzionali all’interno della Chiesa trentina si è instaurato un minimo dialogo. Naturalmente non c’è con questo vescovo di Trento".

Ma se le istituzioni religiose sono poco attente alle anime gay, c’è da dire che le cose non vanno meglio nelle sedi culturali. A quanto pare, infatti, l’argomento non suscita molto interesse nemmeno a livello accademico. Tant’è che le ricerche latitano. Per dirla in breve, su gay e lesbiche molto si mormora, ma poco si sa. E’ certo, comunque, che qualsiasi iniziativa di divulgazione, sia essa rivolta agli adolescenti nelle scuole o ad altro pubblico, apre la strada ad un approccio positivo al tema. Ovvero, offre strumenti utili per mettere in soffitta pregiudizi e tabù. Partecipare a tali proposte, anziché sgattaiolare, non potrebbe quindi che rappresentare un toccasana per le persone eterosessuali.

Ma che fermento c’è in Trentino, quanto ad iniziative culturali, e, soprattutto, chi se ne occupa?

"Diciamo - commenta il presidente - che sono di solito i circoli Arcigay o Arcilesbica a proporre. Però siamo stati chiamati dagli studenti, in alcuni licei di Trento, durante le autogestioni, e pure da un vicepreside a Rovereto.

Per quanto concerne la partecipazione di pubblico eterosessuale alle conferenze, ultimamente è un po’ calata. Forse perché il tema oggi è affrontato anche dalla televisione. Certi argomenti, del tipo omosessualità e religione, oppure genitori e figli, hanno attirato una buona affluenza. Il tema, in ogni caso, non interessa neanche ai politici. C’è stato qualche spiraglio di luce: ad esempio, Paolo Cova ha proposto a Rovereto i registri civili delle unioni gay, anche se poi ci sono stati dei problemi e non se n’è fatto nulla. Pinter ha cercato anni fa di fare qualcosa, ma ha mollato e francamente mi ha deluso".

Insomma, le associazioni si danno un bel daffare per colmare il vuoto culturale e politico e favorire maggior sensibilizzazione al tema. Non solo. Per gay e lesbiche, partecipare alle attività dei circoli significa poter condividere gli stessi vissuti, esprimere i propri sentimenti senza essere bacchettati, e costruire la propria identità in modo positivo. O meglio, aiuta a superare lo stigma d’identità sbagliata.

E’ chiaro che il coinvolgimento in queste associazioni, viste da chi sta fuori come "esclusive", dà una marcia in più per uscire dal guscio e rivelarsi nella vita pubblica. Ma i circoli sono sufficienti per dar voce a questa "minoranza invisibile"?

"Specifico - puntualizza Cò - che le critiche sulla ‘chiusura’ dell’associazione non provengono tanto dalle persone eterosessuali, ma soprattutto da alcuni gay trentini, i quali scelgono di vivere il loro quotidiano nascondendosi e proiettano la loro chiusura sul gruppo.

Detto questo, diciamo comunque che il Trentino potrebbe attrezzarsi meglio quanto a strutture e servizi. Infatti, mancano i luoghi di ritrovo. C’è solo qualche bar "gay friendly" che la domenica sera è aperto ai nostri soci. La nostra piccola sede, che condividiamo con l’Arcilesbica, è priva di una sala riunioni.

Con maggiore spazio si potrebbero organizzare dei nuovi servizi quali, ad esempio, un centralino contro le discriminazioni sul tema del lavoro".