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QT n. 11, 27 maggio 2000 Servizi

“Mamma sono gay...”

Scoprirsi omosessuali: la difficoltà di ammetterlo e di farlo sapere ai genitori e agli altri.

Qualche tempo fa, nella sede dell’Arci-Gay di Trento, si è tenuto un incontro con i genitori di ragazzi omosessuali. L’appuntamento, dedicato a quei padri e quelle madri che spesso telefonano preoccupati per i comportamenti e le frequentazioni dei figli, era stato presentato come un’opportunità per loro di conoscere le esperienze di altri genitori e per dar modo ai molti giovani ancora nell’ombra di farsi conoscere. All’Arci-Gay però non esitano a riconoscere una certa delusione per il ridotto numero di ragazzi presenti ("Praticamente i soliti") e per i pochi genitori convenuti. La colpa viene addossata alla mentalità dei trentini ancora chiusa ed impregnata di un cattolicesimo intollerante ("Molti dei nostri per trovarsi preferiscono scendere fino a Verona" - accusa uno) e ricordano come tempo fa l’associazione avesse organizzato sul tema dell’omosessualità un incontro cui potevano partecipare, in orario scolastico, tutti gli studenti interessati: se ne presentarono meno di 30. Eppure le cifre sono lì a quantificare un fenomeno che, stando all’Organizzazione Mondiale della Sanità, riguarda il 10% della popolazione mondiale; per l’Italia, l’Istat parla di 500 mila ragazzi stabilmente omosessuali: due-tre per classe, uno per squadra di calcio e, fatti gli opportuni calcoli, un cinque- seicento in giro per Trento.

Un’interpretazione più "moderna" e probabilmente più verosimile di questa mancata partecipazione è data dal fatto che oggi il gay è sempre meno considerato un depravato diffusore di malattie, quanto piuttosto un cittadino qualsiasi con i suoi problemi quotidiani, le sue ansie ed le sue soddisfazioni. Questo cambiamento ha fatto venir meno per lui la necessità di far parte di gruppi chiusi di difesa come era inevitabile vent’anni fa e in parte spiega il calo di iscritti all’Arci-Gay: a Trento, ad esempio, da 150 ad 80. Certo a Londra, città che fa tendenza, il fenomeno delcosiddetto Pink Pound è in piena espansione con ristoranti, hotel, linee aeree, soap opera in TV e banche, tutto solo per gay, ma queste non sono più strutture di difesa per una minoranza accerchiata e minacciata, bensì di appartenenza per persone che condividono liberamente un determinato stile di vita.

Resta in ogni caso il dramma del giovane che a 15, 18 o 30 anni scopre in sé l’anomalia omosessuale e sente di doverla comunicare agli altri, i genitori per primi. E’ il momento del primo venir fuori, del "coming out", forse un passo ancor più difficile della stessa ammissione con se stesso.

Molte e diverse le esperienze di coming out in famiglia raccontate nella serata di Trento: si spaziava da chi si è visto accettato serenamente a chi ha avuto come risposta dai genitori solo lacrime; da chi è stato messo alla porta e dimenticato a chi ha dato vita ad un’accettazione basata sul non detto, sul far finta che non sia così. In ogni caso, di fronte al disvelamento del figlio, i genitori hanno una reazione emotiva negativa che prevale sulla comprensione intellettiva. Molte variabili incidono sulla risposta effettiva - età, reddito, livello culturale e posizione sociale - ma ugualmente, per molte famiglie, la notizia equivale ad una temporanea perdita del figlio o della figlia che hanno conosciuto ed amato fin lì. Una madre presente all’incontro ricorda come venne a conoscenza dell’omosessualità del figlio ventiseienne: "Eravamo in auto e lui improvvisamente me lo disse. Mi sono sentita cadere dal decimo piano… non lo avrei mai sospettato. Gli ho chiesto tempo per capire. Ho ripercorso la mia vita per cercare dove avessi sbagliato e lui mi è stato molto vicino". Oggi la donna ha accettato la condizione del figlio convinta che, in ogni caso, un genitore debba stare dalla parte di un figlio ed amarlo. Si rammarica soltanto di non aver capito per tanto tempo che lui aveva un problema.

In genere la maggior parte dei genitori, quando il figlio o la figlia svelano il loro orientamento omosessuale, attraversa una serie di fasi: shock, diniego, senso di colpa, espressione di sentimenti, personale presa di decisione, accettazione vera. La prima si verifica quando i genitori non hanno mai sospettato l’omosessualità del figlio. Lo shock, una reazione naturale atta ad evitare stress acuto e stati di sofferenza, può durare da dieci minuti ad una settimana. Altri genitori invece che hanno già intuito vivono il coming out del figlio o della figlia quasi come una liberazione. Cercano di giustificare la loro mancata sorpresa con un: "Lo sapevo da sempre che eri diverso… avevo considerato questa possibilità. Non so… ti voglio bene però devi aiutarmi ad accettare questa realtà".

A volte possono dire: "Lo sapevamo da lungo tempo a causa di una lettera che hai lasciato sul tavolo l’estate scorsa. Stavamo aspettando che ce lo dicessi."

Segue la fase del diniego, usato da una persona come scudo per difendersi da un messaggio doloroso o minaccioso. In queste circostanze, le reazioni possono assumere molte forme: ostilità ("Nessuno dei miei figli sarà frocio"), distrazione ("Va bene, caro, cosa vuoi per cena?"). abbandono ("Se scegli questo stile di vita.. non ne voglio più sapere di te"), rifiuto ("E’ solo una fase, ti passerà"). Può esprimersi in un intervallo che va da un tranquillo stato di trance fino a pianti e urla isteriche.

La maggior parte dei genitori, in seguito alla rivelazione, vive momenti di conflitto o di disfunzione all’interno del rapporto di coppia. Spesso impongono al figlio di rivolgersi ad uno psicologo per "guarire".

La terza fase è quella del senso di colpa. Quando i genitori iniziano a sentirsi in colpa significa che sentono di aver affrontato in modo sbagliato il problema e che adesso intendono occuparsi del figlio. Un padre o una madre separati possono colpevolizzarsi ancora di più e percepire per sé una maggiore responsabilità perché attribuiscono alla separazione dall’altro una parte di colpa nella genesi dell’omosessualità del figlio.

La quarta fase, l’espressione dei sentimenti, si apre quando i genitori capiscono che le auto-colpevolizzazioni e le auto-recriminazioni sono improduttive e cominciano a fare domande, ad ascoltare le risposte e controllare le emozioni. Il dialogo diventa vantaggioso e si esprime attraverso un’ampia gamma di sensibilità diverse: "Ti prego, non dirlo in giro; non sono pronto a parlarne con nessuno"; "Mi sento così sola e ferita; sarebbe stato meglio se tu non me lo avessi detto"; "Come hai potuto ferirmi in questo modo?"; "Mi spiace che non avrò nipoti "; "Preferirei saperti morto".

Seguono le fasi 5 e 6: la presa di decisione personale e l’accettazione vera. Con la prima il genitore trova in sé una spiegazione ed un motivo di convivenza col figlio e ne giustifica le scelte, mentre con la seconda ne accetta più o meno apertamente il modo di vivere. A quel punto le relazioni familiari possono tornare al livello di prima.

Quella del coming out non è una scelta facile. Dentro di sé il ragazzo sa di avere due alternative: nascondere la sua diversità magari confondendosi tra la folla di una grande città o svelarsi prima che i pettegolezzi lo facciano per lui. La prima è la strada della normalità esteriore ma anche dell’ombra e dell’infelicità interiore; la seconda, oggi pur meno difficile, è quella della scelta di venir fuori, del comunicare agli altri la propria diversità ed esigerne il rispetto, cosa che ancor oggi è più nelle declamazioni di principio che nei fatti concreti. In ogni caso, prima di palesare agli altri la propria omosessualità, deve affrontarla per se stesso.

All’inizio tenta di negare, di ignorare certi sentimenti e sensazioni comportandosi normalmente, imponendosi di fare la corte ad una ragazza, di vivere spensierato, di non pensarci, ma alla fine è costretto a guardarsi in faccia e ad accettarsi. Rimanda giorno dopo giorno il momento del coming out perché sa che il suo tormento interiore diventerà anche quello dei genitori: come reagiranno? E gli altri?

Ricorda uno: "Ho sofferto come un cane, in completa solitudine avendo di fronte tutta una vita da costruire. C’ero solo io e quel momento".

Il passo è molto difficile e non pochi, piuttosto di affrontarlo, negano la propria condizione, prima di tutto a se stessi, rassegnati ad affrontare una vita senza possibilità di esprimere un sentimento o un affetto vero. Qualcuno addirittura non ce la fa e si volge a scelte estreme.

Il suicidio nell’adolescenza omosessuale è diffuso ma di solito mascherato per l’opinione pubblica dietro altre motivazioni o semplicemente nascosto. Secondo il "Department of Health and Human Services" americano (1989) un giovane omosessuale ha probabilità da due a tre volte maggiori di tentare il suicidio rispetto a un giovane eterosessuale e i suicidi di omosessuali spiegano da soli circa il 30% di tutti i suicidi attuati da ragazzi negli Stati Uniti in un anno.

Per l’Italia c’è uno studio dei primi anni ‘90 sulla condizione omosessuale condotto da Arci-Gay-Arci-Lesbica e Ispes. Risulta che il 6% degli omosessuali di ogni età, ma ben l’ 11% di quelli sotto i vent’anni, hanno tentato di togliersi la vita, mentre il 22% e rispettivamente il 33% ci hanno pensato almeno una volta. Nella metà dei casi il primo tentativo di suicidio viene fatto subito dopo la scoperta e nel 35% nello stesso anno di riconoscimento della propria omosessualità. L’età media è 15 anni e mezzo e la motivazione più citata per giustificarlo concerne i problemi familiari insorti o che avrebbero potuto insorgere dopo il coming out.

Fortunatamente oggi sempre più ragazzi scelgono, sia nel privato con i familiari sia in pubblico con gli amici, i colleghi e gli altri, di venir fuori e di rappresentare la propria omosessualità nella normalità della vita quotidiana. L’osservazione di un edicolante del centro ben rende l’idea del cambiamento: "Vendo al mese una ventina di riviste per gay: Babilonia, Charlie, Play Gay… Una volta chi voleva comprarne una si fermava a 20 metri dall’edicola ed aspettava che non ci fosse qui nessuno prima di venir a chiederne sottovoce una. Oggi invece arrivano anche in coppia, aspettano il loro turno, chiedono e se ne vanno come sono venuti. Dieci anni fa erano tutti sopra i 40-50 ma adesso vengono anche parecchi giovani".

A conclusione dell’incontro, all’Arci-Gay hanno tenuto a far sapere che, in collaborazione con il Comune di Trento, stanno per pubblicare un libretto rivolto ai ragazzi, ma non solo, che stanno intuendo o hanno già ammesso con se stessi di essere omosessuali. "Non devono sentirsi soli" - affermano, aggiungendo che ogni martedì, mercoledì e giovedì, dalle 20.30 alle 22.30, è a disposizione di tutti un servizio di telefono amico al numero dell’associazione: 0461-980871.