Ragazzi che amano ragazzi
Un libro sulla omosessualità giovanile e una serata con il suo autore, Piergiorgio Paterlini.
Recentemente, a Palazzo Geremia si è tenuto un incontro con un libro "Ragazzi che amano ragazzi" e con il suo autore, Piergiorgio Paterlini.
Paterlini, già redattore di Cuore ed oggi editor di narrativa italiana e collaboratore con Lella Costa di testi teatrali, sorride, saluta, conversa, scherza, creando il clima ideale per affrontare un tema, l’omosessualità giovanile, che per quanto dibattuto e reso quasi ordinario, rimane per i più imbarazzante. Il libro, buon successo editoriale con numerose ristampe, non poteva che essere il punto di partenza per discutere di sessualità, di affettività, di tolleranza e convivenza.
Dopo il discorso introduttivo di un’efficace Lidia Menapace, la parola passa all’autore. Il quale chiarisce subito che esso non ha nulla da spartire col movimento gay né è stato pensato solo per i giovani omosessuali: è sì destinato a loro ma anche ai genitori, ai vicini di casa, agli insegnanti, a chiunque di noi possa aver a che fare con la scoperta dell’omosessualità di un amico, o con la propria dopo anni di vita da eterosessuale.
Il testo si basa sulle interviste a 14 ragazzi omosessuali, di età compresa tra i 15 e i 20 anni, scovati nel mondo normale dei loro coetanei e non lungo i viali di notte. Per raccoglierle, ha rincorso per quasi due anni in tutta Italia giovani disposti a farsi intervistare, dai paesi alle metropoli. In effetti il libro concretizza in 14 storie l’immagine del giovane gay timoroso, disperato, solo ma anche orgoglioso, in cerca di un’identità per quello che è, non per quello che è costretto ad apparire.
I ragazzi parlano di sé, raccontano l’angoscia per la scoperta della propria omosessualità, denunciano il profondissimo disagio provato nel comunicarla ai familiari, descrivono il senso di colpa per la loro "scandalosa" anomalia, ma comunicano anche la scoperta di una loro "normalità omosessuale", la felicità per la presa di contatto con un mondo nascosto tramite l’imbeccata di un amico, l’Arcygay o riviste come Babilonia.
Qualche pezzo delle loro esperienze.
Matteo di Trento, 17 anni. Ogni tanto chiede agli amici, senza scoprirsi naturalmente, se secondo loro è normale provare attrazione per i coetanei maschi. Gli rispondono tutti di no e lui si spaventa.
Alessandro, sedicenne di Roma, ha trovato un "fidanzato" della sua età e adesso è felice: "Ho tutto quel che sognavo" - assicura.
Paolo, di Catania, aveva tentato di contrastare l’attrazione per i ragazzi mettendosi con una ragazza, ma alla fine l’aveva lasciata accettando la propria diversità. Ora si sente sicuro e tranquillo.
Quasi nessuno ha fatto trapelare la sua diversità oltre l’ambiente familiare, al massimo qualche amico, per evitare tante spiegazioni, sospetti, processi, l’isolamento e perfino l’annientamento. La maggioranza preferisce rendere invisibile la propria diversità negando i propri sentimenti e reprimendo la sfera affettiva, ormai ristretta a qualche altro con gli stessi problemi.
Qualcuno invece decide di fregarsene del conformismo sessuale e sociale e, come Mario di Firenze, apre una sede dell’Arcigay per avere un posto dove trovarsi. Ora la sezione conta una settantina di iscritti e lui ne è il presidente.
Paterlini precisa che il suo libro non ha ricevuto particolari attenzioni, pur essendo stato a lungo, nel suo genere, l’unico comparso in Italia e forse in Europa a trattatre questa tematica. Quel che però lo disturba, è l’essere stato trascurato rispetto ad altri autori e testi dal contenuto morboso e volgare.
Definisce vitale il rapporto tra il libro (uscito otto anni fa senza pubblicità), ed i suoi lettori, come dimostrano i frequenti inviti a parlarne che riceve da parte dei gruppi più disparati: scuole, boy scout, circoli culturali, gruppi di genitori apprensivi. Quotidianamente gli arrivano lettere e cita l’ultima trovata la sera prima di partire per Trento: la lettera di un diciannovenne che si apre con un "Questo libro mi ha salvato la vita.. ".
E’ appunto questa corrispondenza, che va avanti dal 1991, anno della prima edizione, che lo ha spinto l’anno scorso a decidere una riedizione del testo con un’appendice di 41 lettere.
Scorrendo le cento pagine del libro, si coglie il senso di in- determinatezza di queste vite. Molti si limitano a complimentarsi per il libro, altri parlano di sé, della scoperta della propria diversità, della difficile quotidianità, qualcuno definisce il libro come un lampo nella propria vita. Scrive un giovane: "Tutte le storie che hai raccolto, pur nella loro diversità, in qualche modo mi appartengono". Marco di Torino ringrazia l’autore: si considerava di vedute aperte, adesso si considera anche fortunato perché ha conosciuto un mondo che fin lì gli era stato nascosto. All’inizio, leggendolo, temeva di scoprirsi omosessuale ma ora è tranquillo: continua a preferire le donne. Guido di Trieste ha 27 anni ma solo ora ha scoperto la sua omosessualità. All’Arcigay ha trovato il suo libro e lo ha letto in una sera: "E’ come se fossi stato io a raccontarti tutta la mia storia, infantile ed adulta e tu l’avessi messa nel libro!". Adesso spera anche lui, come i ragazzi intervistati, di trovare la persona giusta. Uno infine propone il testo come lettura per le scuole superiori.
Aquesto punto della serata, le domande del pubblico. A cominciare dall’interrogativo: perché questo libro? Tutto nasce da uno stupore e da uno scandalo - risponde Paterlini - quasi una "incazzatura" provata 10 anni fa allorché non trovò nulla di scritto sull’omosessualità giovanile, pur essendo il fenomeno ben conosciuto: allora era ammessa ufficialmente soprattutto dai trent’anni in avanti come vizio di pochi depravati di cui parlare soprattutto per fatti di cronaca nera. Molti a Trento ricorderanno ancora l’omicidio del cliente - un ristoratore - da parte di un quattordicenne "di vita", ma pochi ricorderanno come la faccenda fu velocemente archiviata dai media, quasi nascosta.
L’omosessualità tra gli adolescenti era come rimossa. "Ragazzi invisibili" - li definisce l’autore, rilevando come questa rimozione abbia messo ogni giovane intervistato nella condizione di credersi "l’unico", a pensare che fosse una colpa soltanto sua e di non aver nessuno con cui condividerla. Paterlini cita in proposito un manifesto scolastico che proponeva un corso informativo sul sesso in tutte le sue espressioni, omosessualità esclusa: devastante per uno studente omosessuale, è come se il manifesto gli avesse detto: tu non esisti!
Se questo libro ha un merito, questo è proprio l’aver svelato a tanti ragazzi omosessuali che la loro esperienza di sentirsi "l’unico" era in realtà condivisa con altri anonimi lì attorno, l’aver dato la possibilità a tanti di riconoscersi nelle storie raccontate.
L’auspicio è che non siano sempre loro, i gay, a dover uscire allo scoperto, ma siano gli altri ad entrare nel loro mondo, a spingerli a farsi avanti, ad accettarli per se stessi, per il solo fatto che "ci sono": questa sì sarebbe una rivoluzione!
Ecco, il problema della visibilità dei ragazzi omosessuali: se decidono di uscire allo scoperto, di parlare di sé ad un familiare o di confidarsi con un amico, faticano a convincerli che loro sono davvero quello che stanno dicendo di essere: e chissà se è più doloroso essere un omosessuale oppure sapersi tale agli occhi di chi può giudicarli, forse condannare e, comunque, ben difficilmente comprendere.
La tragedia per un giovane gay, più ancora che l’insulto (che in fin dei conti è un riconoscimento), è l’essere in mezzo a tanti per i quali la sua normalità è data per scontata. E’ una cappa di paura che impedisce agli omosessuali di dichiararsi tali all’amico del cuore per non metter a repentaglio l’amicizia; di angoscia continua che gli altri possano aver intuito o saputo; di terrore di non essere più identificato come il ragazzo del quarto piano, lo studente del liceo, il biondino dal motorino verde, ma come la checca del quarto piano, il finocchio che fa il liceo, quel gay dal motorino verde. Queste ansie dominano ogni pensiero ed azione della sua quotidianità e lo spingono a non essere quello che sente di essere.
Due motivi inducono i "normali" a respingere l’amicizia con un omosessuale: la paura di essere qualificato come amico delle checche e il pensiero che prima o poi questo gli farà delle avances. Paterlini dice queste cose con voce contratta: traspare il suo dubbio che questo girare, incontrare, informare, discutere possa ridurre il problema ad argomento di dibattito fine a se stesso, e faccia percepire gli omosessuali come soggetti astratti e slegati da una realtà concreta.
Una signora accenna all’omosessualità femminile e Lidia Menapace fa presente come essa si noti meno. Spesso si incontrano ragazze che camminano tenendosi per mano, si scambiano baci in pubblico, si scrivono bigliettini in classe, passano ore assieme. Questo è accettato: non sono censurate, non suscitano sospetti di lesbismo, perché simili effusioni sono riconosciute come tipiche di un’amicizia tra ragazze. Le stesse tenerezze tra maschi sarebbero etichettate come atti osceni. Le descrive al contempo più visibili, perché più tollerate visivamente, e più invisibili, perché la loro autoaffermazione come lesbiche è più scandalosa.
Poi Paterlini apre il capitolo pregiudizi, lamentandone la persistenza, anche se oggi - riconosce - sono espressi con minor convinzione. Si parla della volgarità di certe battute, dell’educazione sessuale in una scuola rigidamente eterosessuale e dell’effetto di tanti indistruttibili stereotipi, tra cui quello dell’omosessuale che aggredisce un eterosessuale: "Non si è mai sentito, è il ribaltamento della verità!" - esclama accorato ricordando gli omosessuali assassinati a Roma. Più che una protesta è un grido che rivendica un riconoscimento sincero.
Non c’è altro da chiedere né da dire, un po’ alla volta la sala si svuota, l’incontro termina. Fuori nessuno commenta la serata, nessuno accenna all’omosessualità, ai drammi giovanili, al cambiamento. Forse ha ragione Paterlini a temere che l’omosessualità si riduca ad essere per lo più argomento da dibattiti.
In effetti, pur se è trattata sulla stampa, discussa a scuola, supportata da leggi "progressiste", più tollerata, l’omosessualità dichiarata resta ancora un’eccezione e la percentuale di chi la vive "alla luce del sole", che sa interagire con gli altri come fosse un fatto che non li riguarda, è ancora bassissima.
Pesa come un macigno il lacerante rammarico di Paterlini per tante "vite simulate" in cui il soggetto omosessuale diventa l’oggetto di una vita normale, da lui stesso messa in scena, per rispondere alle attese degli altri, per toglier fiato ai pettegolezzi, per non scorgere sorrisetti al suo passaggio, per non sentire alle spalle toni di voce sussurrati, per non deludere i genitori, per l’impossibilità di affermare il suo libero essere nel mondo.
C'è anche chi non ha avuto la forza d’animo per sostenere la recita, le "vite spezzate", come quella di Luca di Verona, suicida, o del tredicenne, individuato ormai da tutti come "checchina" e come tale sbeffeggiato.
Una sera d’inverno, dopo aver visto un film sull’ibernazione, il ragazzo uscì di casa e si sdraiò sulla neve. Lo trovarono così la mattina seguente addormentato per sempre, con un biglietto accanto: "Spero di svegliarmi in un mondo più gentile."
Sembra, da indagini sociali condotte a livello planetario da una multinazionale in cerca di nuove strategie di vendita, che si vada profilando un cambiamento di fondo nel modo di percepirsi reciprocamente, cambiamento che sostituisce alla cultura dell’esclusione quella del riconoscimento. Forse è, oppure sarà così nel prossimo futuro ma, alla controprova di parole come quelle di Paterlini, di storie come quella del tredicenne e di eventi che, ancora quest’anno, hanno avvelenato interi popoli, esso si svela un proposito come altri, sbandierato solo per vendere qualche lattina in più.
Da un libro di citazioni, alla voce "Devianza", salta fuori una poesiola di G. Celli che sembra scritta per tutti i Paterlini che reclamano il rispetto delle loro scelte: "Verso l’alba i biologi scoprirono/ Le basi genetiche del crimine./ A mezzogiorno mi esaminarono/ e decisero che ero un cattivo d’origine./ "Il mondo è degli uomini buoni" / In coro i politici cantarono […]/ Gli uomini buoni non frapposero indugi,/ a mezzanotte mi fucilarono."
Caro Paterlini, che la sorte ti arrida anche per noi.