Il (serio) tentativo di modernizzare l’Islam
L’appello di Tareq Ramadan: dalla moratoria delle pene corporali previste dalla shari‘a all’attualizzazione dell’Islam.
Qualche settimana fa è uscito contemporaneamente su giornali di lingua araba e giornali europei di primaria importanza (per l’Italia su La Repubblica del 30 marzo), suscitando scalpore ed enorme interesse, una sorta di proclama di Tareq Ramadan, pensatore e attivista musulmano che vive in Europa.
Di che si tratta? Tareq Ramadan invita i suoi correligionari ad una "moratoria sulla applicazione delle pene corporali" previste dalla Shari’a, la legge religiosa, ossia: fustigazione, amputazione degli arti, e naturalmente e soprattutto l’esecuzione di condanne a morte (si pensi al caso della nigeriana Safiya).
La cosa ha suscitato scalpore nel mondo musulmano, non meno che in quello cristiano, per varie ragioni. Intanto perché Tareq Ramadan non è l’ennesimo "musulmano laico" o "modernista" che denuncia l’arretratezza della sua cultura prendendone implicitamente le distanze; né è il tipo di arabo occidentalizzato che ha voltato le spalle definitivamente alla cultura d’origine, abbracciando il nuovo verbo che discende dalla Rivoluzione francese e dalla "Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo". Al contrario, è un musulmano militante, un sincero credente, un uomo di fede integerrima insomma, e, soprattutto, è un punto di riferimento e guida spirituale per milioni di musulmani che vivono in Occidente.
Il pubblico italiano ha la fortuna di poter leggere in italiano un’opera di Tareq Ramadan il cui titolo è eloquente: "Essere musulmano europeo" (con introduzione di S. Allievi, Città aperta Ed., Troina 1999, pp. 340, euro 20). Il volume porta come sottotitolo: "Studio delle fonti islamiche alla luce del contesto europeo", che già ci permette di capire una delle ragioni di fondo del suo invito allamoratoria di cui s’è detto. Secondo Tareq Ramadan - in parole povere - bisogna che i musulmani si rimettano a studiare le fonti scritturali e riconsiderare se abbia senso oggi applicare un codice penale concepito nel VII secolo.
Ma questa in fondo non è una proposta nuova: i modernisti musulmani cominciarono a parlarne già dalla seconda metà dell’ Ottocento. La proposta di moratoria di Tareq Ramadan è solo l’aspetto più superficiale di una progetto di vera e propria "riscrittura" della legge religiosa (e, in un certo senso, dell’islam stesso), che qui sotto cercheremo brevemente di esporre. Lo faremo per una ragione semplice: perché si tratta di uno dei tentativi più coerenti di conciliare islam e modernità portati avanti da un intellettuale musulmano negli ultimi cinquant’anni, senza "tradire" l’islam, senza rinnegare insomma le proprie origini.
Tareq Ramadan ha un albero genealogico illustre: è nipote di Hasan al-Banna’, negli anni ’20 in Egitto il teorico e fondatore del movimento dei Fratelli musulmani, l’antesignano di tutti i gruppi integralisti islamici odierni. Pur senza mai apertamente ripudiare la sua in qualche modo imbarazzante "genealogia", Ramadan ha mostrato con la sua biografia (è nato in Svizzera, risiede e lavora in Francia, insegna in vari atenei europei) e soprattutto con i suoi numerosi scritti militanti, di avere compiuto una vera conversione a 180° rispetto agli allievi e discepoli del suo celebre e discusso avo.
Oggi egli è giustamente guardato come una bandiera e il portavoce forse più coerente di tutta una nuova generazione di musulmani nati in Europa, di seconda, terza e oramai persino di quarta generazione, che si propongono semplicemente di essere "cittadini europei di fede musulmana". Tareq Ramadan fa parte, tra le altre cose, di organismi governativi francesi e europei preposti allo studio e al governo delle dinamiche dell’immigrazione, svolge una intensissima attività pubblicistica e di studioso dell’ "Islam europeo", è insomma un esempio da manuale di intellettuale arabo integrato nella società europea e un modello per molti suoi correligionari.
L’originalità dei suoi studi però sta in un aspetto completamente diverso. Tareq Ramadan rifiuta il modello assimilazionista alla francese, che partendo dal dogma e dalla prassi dello Stato laico e aconfessionale propone l’ideale di un cittadino che ha ridotto la fede a fatto puramente privato e intimistico; ma rifiuta altrettanto energicamente lo schema "comunitario" che domina oltremanica e oltreatlantico, ove egli vede il rischio di perpetuare la ghettizzazione degli immigrati di fede musulmana.
Ramadan propone piuttosto ai suoi compagni di fede di affrontare sino in fondo la sfida proposta dal titolo del volume sopra citato: accettare responsabilmente le regole dello stato di diritto, essere cittadini leali fino in fondo, assumendosi tutti i doveri impliciti nel "patto" che si sottoscrive - entrandovi - con il paese d’accoglienza, senza tuttavia rinunciare minimamente alla propria identità musulmana, né tantomeno nasconderla.
Sembrerebbe, a prima vista, un po’ come tentare la proverbiale quadratura del cerchio. Tareq Ramadan è conscio delle difficoltà di realizzazione del suo progetto, ed è conscio di tutta una serie di problemi che si pongono per il cittadino immigrato in Europa da paesi di diversa cultura. Ma, è il suo ottimistico messaggio (e qui emerge la sua fede assoluta, "militante", nella vitalità del messaggio coranico) nelle scritture sacre islamiche ci sarebbe tutto quanto serve ai moderni cittadini europei di fede musulmana per fronteggiare la sfida proposta. Solo - sintetizziamo qui le sue ampie e complesse argomentazioni - esistono due ostacoli non indifferenti. Il primo è costituito dai tanti suoi compagni di fede che hanno eretto una certa lettura delle Scritture a dogma indiscutibile: sono, come si sarà capito, fondamentalisti e integralisti d’ogni risma che - sottolinea Tareq Ramadan - hanno la singolare tendenza a identificare l’islam con la Shari’a, ossia la legge religiosa nel senso più riduttivo di regole, precetti e interdizioni così come furono fissati all’epoca del primo islam, nonché a fare della maniacale osservanza del suo rigore un punto d’onore, quasi la "prova del nove" di ogni autentica società musulmana.
Qui Tareq Ramadan è molto netto: "Restare ancorati alle prescrizioni stabilite dai sapienti (gli ulema) del IX secolo, per quanto grandi e rispettabili siano stati, o rifiutare di tenere conto dell’evoluzione storica, sarebbe, sicuramente, tradire gli insegnamenti dell’Islam".
Ramadan ricorda opportunamente che il significato primo, etimologico, di shari’a non è "la legge" bensì "la via", e che in essa le regole e le norme legali sono solo una parte: la fede, la virtù, l’approfondimento interiore in senso mistico o spirituale sono altrettanti elementi essenziali della shari’a, ovvero della "via" che conduce la creatura all’incontro con il suo Signore e Creatore.
Ora - egli denuncia - proprio l’aspetto spirituale tende a venire sistematicamente ignorato dai sedicenti propagandisti del "vero islam". Soprattutto costoro, ricorda Tareq Ramadan, dimenticano che in ogni tempo i giuristi islamici si sono sforzati di studiare e adattare il messaggio del Corano alle circostanze e alla società, insomma mostrandosi l’esatto opposto di certi zelanti propagandisti e severi fustigatori tipo taliban e simili. Egli ricorda inoltre che nessuna delle classiche grandi scuole di diritto islamico si sognò mai di avocare a sé l’ultima parola in materia di interpretazione, come implicitamente fanno gli avvocati del verbo integralista.
Ecco, qui siamo al punto centrale e al secondo ostacolo da superare. Tareq Ramadan, riprendendo la migliore tradizione riformista ottocentesca, individua nella necessità di elaborare un nuovo diritto islamico -adatto ai bisogni e alle nuove situazioni in cui vivono i cittadini musulmani europei - il grande compito che sta di fronte a intellettuali e dottori di cui egli, implicitamente, si propone come punto di riferimento. E ciò non resta solo un proposito. La parte più interessante dei suoi studi (che è ben rappresentata nel volume su menzionato) è costituita da un ripensamento approfondito e generalizzato dei fondamenti del diritto islamico. Ramadan, in altre parole, si sforza, spesso con argomenti sottili ed esposti con elegante e brillante dialettica, di proporre un "metodo" di rilettura delle fonti alla luce del nuovo soggetto - il cittadino europeo di fede musulmana - cui questo sforzo è dedicato.
Dicevamo interessante, perché questa parte ci permette di vedere il faqih (giurista musulmano) all’opera, quasi "dal vivo". Tareq Ramadan scende volentieri a esaminare anche la casistica più ardua, nel tentativo di dare delle risposte al passo coi tempi per i problemi attuali, ma sempre attenendosi - da buon giurista - alle fonti scritturali. Notevole mi sembra la sua affermazione che i doveri scaturenti dalla cittadinanza non possono in nessun caso essere messi in questione o "traditi" in base all’appartenenza religiosa: al cittadino musulmano europeo è al massimo consentito, praticamente negli stessi casi che riguarderebbero anche un cittadino cristiano, di ricorrere all’obiezione di coscienza.
Le associazioni dei dottori e giuristi musulmani operanti in Europa sono invitate, sull’esempio di quelle già operative in Gran Bretagna e altri paesi, a studiare a fondo i vari diritti nazionali europei per vedere di elaborare, paese per paese, caso per caso, le soluzioni appropriate, nell’osservanza incondizionata della sovranità del paese ospite e dei principi dello stato di diritto: "La regola - raccomanda ai suoi correligionari Tareq Ramadan - è il rispetto del quadro legale nazionale e la volontà di cercare per ognuno dei punti del diritto apparentemente in contrasto con i principi islamici, la soluzione più soddisfacente dal punto di vista islamico o, almeno, la meno peggiore" .
Ecco dunque, sommariamente riassunto, qual è il background della forte presa di posizione di Tareq Ramadan espressa nel proclama che invita alla moratoria. Quest’ultima non è dunque un atto estemporaneo, o un atto di opportunistica propaganda, ma, al contrario, è il prodotto coerente di tutta un’attività di pensiero e di ricerca volte a dare nuovi strumenti all’islam del terzo millennio, e, soprattutto, a farlo uscire dalle sabbie mobili della propaganda integralistica dei movimenti estremisti e dell’immobilismo conservatore dell’establishment degli ulema.
Un intellettuale dunque impegnato senza riserve a dare nuove prospettive ai musulmani europei dentro la società europea cui essi sono chiamati, da cittadini e musulmani, a partecipare pienamente e con fiducia. Un compito che richiederà loro una convinta, intensa, lunga -in prospettiva ultradecennale- mobilitazione di ogni energia intellettuale e morale.
Ramadan, si diceva, è un musulmano credente e "militante" che - e forse qui emerge ancora la sua "genealogia"- pensa all’Islam come a un impegno forte, pur tutto dentro la società, dentro il mondo. La sfida della modernità, della "cultura dei diritti" deve essere pienamente accolta, ma per lui non deve affatto comportare un ammaina-bandiera delle ragioni dell’islam, tutt’altro. Al musulmano, egli afferma, compete oggi il dovere di shahada, di prestare cioè "testimonianza" dell’unicità di Dio e dei valori trascendenti in una società che tende drammaticamente a scordarsene.
Non è un caso, egli afferma, che i musulmani si trovino oggi in Europa e in Occidente, al centro dell’Impero e della società opulenta e consumista. Dalla caratteristica di "universalità del messaggio coranico", e dalla derivante "responsabilità dei musulmani di esserne testimoni con la loro vita e le loro azioni", discende secondo Tareq Ramadan un programma che va ben oltre i problemi più contingenti degli immigrati in Europa: "Il profeta ci ha insegnato che il mondo intero è una moschea… Ciò significa che i musulmani che vivono in Europa, individui e comunità dei diversi paesi, non solo possono viverci, ma hanno una grande responsabilità: devono fornire alla società in cui vivono una testimonianza fondata sulla fede, la spiritualità, i valori, il senso del limite e il costante impegno umano e sociale" .
Alla vecchia e consunta opposizione Dar al-Islam/Dar al-Harb (casa dell’Islam/Casa del Conflitto), Tareq Ramadan oppone l’idea che l’Occidente sia ora diventato la nuova Dar al-Da’wa, la casa dell’Appello (a Dio), ovvero la terra in cui i musulmani devono incessantemente impegnarsi a testimoniare il trascendente, come aveva fatto tenacemente Maometto nella ostile Mecca, dominata da una casta di ricchi e arroganti mercanti sordi al messaggio di Dio e ai bisogni dei più deboli.
Certo ne esce una equazione per noi forse non lusinghiera e inquietante: Occidente=Mecca dei mercanti sordi al messaggio di Dio e ai valori della solidarietà.
Come si vede, in conclusione, un messaggio tutt’altro che quietista e rinunciatario, ma anche lontano mille miglia dalle grossolanità e dagli orrori della deriva integralista. La predicazione e l’insegnamento di Tareq Ramadan sono già oggi popolarissimi tra le giovani generazioni di musulmani europei, e trovano orecchie attente anche in tutti i paesi arabi. Faremo bene a tenerne conto. Se essere musulmano europeo ed elaborare un nuovo diritto islamico è la sfida che Tareq Ramadan rivolge ai suoi correligionari, l’Europa, come nuova Dar al-Da’wa, è chiaramente una sfida diversa con cui, c’è da scommettere, anche i cristiani europei avranno occasione di confrontarsi nei prossimi decenni. Specialmente se non sapranno raccogliere e mettere in atto l’estremo messaggio di Karol Wojtyla a testimoniare con coraggio e coerenza nelle secolarizzate società occidentali le ragioni del trascendente.