La città e gli studenti
Le continue proteste per gli studenti troppo gaudenti e schiamazzanti ripropongono un tema antico: il rapporto tra Trento e la sua Università. La città vuole crescere o addormentarsi? In quanti rimpiangono la quiete mortale degli anni ’50? In ogni caso i problemi ci sono: vediamo come si pensa di affrontarli.
Dal "controquaresimale" con cui Paolo Sorbi nella primavera del ’68 contestava in Duomo il predicante, attirandosi le ire della città, ne è passata di acqua sotto i ponti. Sono ormai ricordi che ci fanno sorridere le immagini degli studenti che, per sfuggire a cittadini ed alpini inferociti, si vedevano costretti a trincerarsi in facoltà ("sozzologia", perché era la nuova visione del sesso, ovviamente, quello che colpiva allo stomaco).
Quindi tutti d’accordo: se nei primi anni della sua attività l’Università di Trento è stata spesso percepita dai cittadini come un elemento di disturbo e provocazione, nel corso dei decenni successivi la città ha imparato a riconoscere ed apprezzare il fondamentale contributo che l’ateneo ha fornito in termini di sviluppo culturale, economico e sociale. Ma allora, come la mettiamo con le proteste, le petizioni, le raccolte di firme contro gli studenti, i loro bar, i loro schiamazzi? Quale è oggi il rapporto tra città e Università, tra città e popolazione studentesca?
Sull’indubbia evoluzione del rapporto città-università, il consenso è unanime. Il Presidente dell’Opera Universitaria, prof. Fulvio Zuelli, osserva come "la città si stia progressivamente affezionando alla sua Università, che è ormai considerata una presenza normale e sostanzialmente positiva sul territorio cittadino". Anche l’assessore alle attività economiche Franco Grasselli sottolinea l’evoluzione di questo rapporto, nato tra mille difficoltà: "Molti trentini sono passati ormai per l’Università e l’hanno quindi resa propria. La crescita dell’Ateneo da un punto di vista qualitativo ha inoltre favorito un forte radicamento nella vita cittadina del corpo docenti, che ha un sempre più stretto rapporto con l’ente pubblico in termini di consulenza e collaborazione. E da ultimo anche le categorie commerciali e dei pubblici esercenti si sono rese conto dell’importanza della presenza dell’ateneo per le loro attività".
Tuttavia permangono alcuni motivi di "scontro" tra la città e la sua università, in particolare nei rapporti diretti tra studenti e cittadini. Questo accade perché università non significa solo lezioni, seminari, convegni, cultura e sviluppo economico. Essere studente universitario significa anche volersi divertire, significa avere dei ritmi di vita che non corrispondono esattamente ai vecchi, sani ritmi biologici che i trentini sembrano spesso prediligere… "Non a caso - ci ricorda Luca Facchini, candidato di Charta ‘91 alle cariche di rappresentante degli studenti per la facoltà di Ingegneria e per il Consiglio d’Amministrazione dell’Università - uno dei punti del programma di Charta è proprio: festa". Perché anche questa è un’esigenza – molto fisiologica, ci sembra - espressa dagli studenti universitari. E in quanto tale va considerata ed affrontata, nel momento in cui la città decide, ed è questo indubbiamente il caso di Trento, di investire ingenti risorse nell’università, nell’ottica di migliorare la qualità del servizio offerto e di attrarre così sempre più studenti. Insomma, se la strategia della città è avere più università, bisogna attrezzarsi conseguentemente: prima per attirare gli studenti; e poi per saper convivere al meglio.
Facchini, come molti altri, ritiene che gli studenti considerino Trento "non esattamente una città aperta". I locali sono pochi, piccoli, spesso anonimi. E gli orari, in particolare in centro, sono ristretti, a causa delle lamentele di alcuni cittadini che rivendicano il diritto al riposo e alla tranquillità. Ed è indubbio che a volte gli studenti, che stazionano per delle ore davanti alla porta del locale à la page di turno, non esprimono particolare rispetto nei confronti di ciò che li circonda, quasi niente esistesse all’infuori del loro "happy hour", pratica sempre più diffusa nei locali della città, che ha il potere di riunire vere e proprie masse di giovani nello stesso luogo.
Dall’altra parte, quella dei cittadini, si riscontrano però spesso intolleranza e chiusura mentale. Molte proteste sembrano pretendere che alle 10 di sera la città intera spenga la luce e vada a dormire. E questo non è solo sintomo di mancanza di comprensione per le esigenze di una parte ormai sostanziosa della popolazione trentina, studenti e giovani in genere, ma anche un modo curioso di concepire la città e la vita che al suo interno si svolge. Una città vivace, capace di offrire ai suoi abitanti luoghi ed occasioni d’incontro e di scambio e di invogliarli a vivere le sue strade, le sue piazze, i suoi spazi comuni, dovrebbe essere considerata come una fortuna ed una possibilità di arricchimento dell’esistenza individuale, e non come un elemento di disturbo e di compromissione delle abitudini. Va da sé, come ci ricorda l’assessore Grasselli, che "non è pensabile che l’offerta relativa al tempo libero in una città di 100.000 abitanti come Trento sia paragonabile a quella di città più grandi e, per così dire, più mediterranee", dove le condizioni climatiche favorevoli permettono nelle strade della città quel movimento e quella vivacità che Trento conosce nei mesi estivi. Tuttavia, qualche miglioramento può, e deve, essere fatto.
Ma in che modo? Innanzitutto: come far convivere esigenze discordanti, a cominciare dalla questione degli orari?
La posizione dell’attuale amministrazione, espressa da Grasselli, è quella di considerare la mezzanotte come spartiacque ragionevole, relativamente alle attività esterne ai locali. "A questo proposito - considera l’assessore - gli interessi dei cittadini e quelli degli studenti sono inconciliabili. Sono necessarie dunque sia una modernizzazione dei cittadini di Trento, che devono rendersi conto del fatto che la presenza sempre più sostanziosa non solo di studenti, ma anche di turisti, richiede alla città una vivacità serale maggiore; ma anche una responsabilizzazione dei gestori, che dopo una certa ora devono invitare i clienti ad entrare nel locale e ad evitare comportamenti che possano infastidire i vicini".
Diverso naturalmente il discorso per quello che riguarda l’interno dei locali, che, se dotati d’isolamento acustico sufficiente, possono prolungare l’attività anche oltre la mezzanotte. "In questa prospettiva è stato istituito il Nucleo Operativo Anti-inquinamento (NOA), composto da un insieme di vigili urbani dotati di strumentazioni per la misurazione dell’inquinamento acustico, che valutano la qualità dell’isolamento interno dei locali. Se il locale è nuovo, questa misurazione viene fatta prima di concedere la licenza, se invece esisteva già, essa avviene nel momento in cui ci sia un subingresso di attività".
Resta il fatto che l’installazione di un buon impianto d’isolamento acustico è un’operazione costosa, a cui molti gestori sono costretti a rinunciare, precludendosi così un certo tipo di clientela e di attività. Fornire dei contributi pubblici a coloro che decidono di affrontare questa spesa, potrebbe forse rappresentare un buon incentivo per i proprietari e gestori di locali a muoversi in questa direzione e dunque anche a risolvere almeno in parte il problema dei disagi creati ai cittadini.
Anche una delocalizzazione di alcune attività particolari potrebbe contribuire ad una parziale soluzione del problema. In questo senso si muove ad esempio l’Opera Universitaria, che, come ci spiega Zuelli, "si impegna a non allocare i suoi nuovi alloggi universitari in situazioni condominiali per così dire tradizionali, in modo che gli studenti abbiano la possibilità, una volta tornati a casa, di continuare a divertirsi senza disturbare nessuno".
Per i locali invece, è evidente che la struttura architettonica ed urbanistica della città di Trento rende difficile, se non impossibile, la creazione di grandi spazi, sia esterni che interni, usufruibili nel centro storico: per appuntamenti vari, concerti, feste come accade – con grande successo ma una sola volta all’anno – nel parco di Mesiano. Creare al di fuori del centro-città tali spazi per eventi culturali e d’intrattenimento di grande portata appare quindi non solo una cosa sensata, ma una necessità. Anche se ciò implica un discorso sui collegamenti pubblici, dal momento che non tutti gli studenti, fortunatamente, dispongono di mezzi di trasporto privati.
Però intendiamoci: la possibilità di delocalizzare alcune strutture al di fuori del centro cittadino non ha nulla a che vedere con la folle proposta, emersa di recente, di costruire una "cittadella del divertimento", una sorta di riserva dove confinare strutture ricreative e attività serali in modo da proteggere i cittadini dal chiasso creato da coloro che ritengono che una città viva sia preferibile ad una città morta.
Fortunatamente questa proposta è stata accolta con disappunto nonché ironia da tutte le parti sociali. Studenti e pubblici esercenti sono drastici: "Sarebbe come metterci al confino" - afferma Luca Facchini. "Cosa vogliamo creare, un ghetto?" protesta la proprietaria del Bar Stube.
Ma anche i nostri interlocutori nelle amministrazioni non sono da meno: per Grasselli "sarebbe un ritorno all’urbanistica della zonizzazione tipica degli anni cinquanta, contraria all’originale struttura delle città, che prevede la compresenza di strutture di tipo abitativo, lavorativo e di erogazione di servizi"; e per Zuelli "il punto non sta nello spostare il problema, ma nell’affinare la capacità di convivenza, trovando le opportune regole".
C’è forse un’altra possibile soluzione all’incompatibilità tra esigenze dei cittadini ed abitudini degli studenti. I locali del centro città sono di dimensioni in genere ridotte, e questo è, come abbiamo visto, un problema architettonicamente insolubile. Gli studenti, da parte loro, presentano la curiosa abitudine di recarsi in massa nel medesimo locale, all’interno del quale non c’è posto a sufficienza per tutti, il che li costringe a restare in strada, sotto le finestre degli abitanti dei palazzi circostanti. Ed è a questo punto che fioccano le lamentele e si creano i problemi.
Ma cosa spinge gli studenti ad eleggere proprio quel locale come locale del mese e a recarsi soltanto lì, creando problematici assembramenti? Da un lato le politiche di ribasso dei prezzi in determinate serate (il cosiddetto "happy hour"), ma anche e soprattutto la mancanza di un’alternativa qualitativamente allettante.
A Trento i locali sono spesso anonimi, privi di personalità, sterili. A parte alcune lodevoli eccezioni, dappertutto girano gli stessi cd, dappertutto si bevono e mangiano le stesse cose e gli arredamenti sono sempre uguali a se stessi.
In questo modo i clienti sono portati a non fare mai una scelta di qualità, ma sempre e solo una scelta di convenienza. La concorrenza basata sull’abbassamento dei prezzi è tuttavia una concorrenza facile e terra-terra, e anche, come concorda l’assessore Grasselli, "di scarsa prospettiva economica". Non c’è dubbio che un maggiore spirito d’iniziativa da parte dell’imprenditoria trentina, che si concretizzasse nella creazione di locali particolari, diversi l’uno dall’altro, in grado quindi di caratterizzarsi per un’offerta di qualità, costituirebbe non solo un vantaggio in termini economici per gli stessi pubblici esercenti, ma anche una rivitalizzazione della vita cittadina e una più razionale suddivisione della clientela, che eviterebbe i citati problemi di sovraffollamento.
"Più tolleranza reciproca, più spirito d’iniziativa, più apertura mentale" - ci hanno ripetuto, anche se ognuno dal suo punto di vista, i vari interlocutori. E questi in effetti ci sembrano gli ingredienti di una convivenza migliore in una città più ricca e stimolante.