Le due Simone, il terrore e l’Italia incattivita
Il mondo delle bandiere della pace ha bisogno di un salto di qualità. In quanto alla destra e alla sinistra...
Le tragiche notizie che si susseguono ormai di giorno in giorno nel teatro dell’umanità globale e globalizzata, ci fanno precipitare in un vortice senza fondo, un vortice che ingloba tutto, avvenimenti positivi e sciagure incancellabili, il desiderio di costruire dialogo fra le civiltà e l’invocazione alla guerra, decapitazioni, bombardamenti, attentati, dichiarazione di politici, proclami di fanatici terroristi. Un vortice che ci porta direttamente, e senza via di uscita, al conflitto tra civiltà, al cieco odio razzista del terrorismo globale, ai nostri paesi civili che sembrano conoscere solo la guerra come opzione e strategia. E così questo vortice annienta la memoria, anche quella brevissima, di pochi giorni: la liberazione delle due Simone è già stata archiviata, sopraffatta dall’immagine e dalla gravità dell’attentato in Sinai; e anche ogni ragionamento politico, serio e meditato, viene cancellato dalla cronaca, dal legittimo desiderio di difesa che sfocia però nella sete di vendetta (come ha dimostrato Giuliano Ferrara invocando l’impiccagione di Saddam a seguito della decapitazione dell’ostaggio inglese).
Tentare di fare chiarezza, in questo quadro, è un’impresa difficilissima ma che ci viene richiesta dalla situazione. La politica italiana sembra infatti inadeguata a fronteggiare queste sfide, divisa tra un furore bellicista inquietante e tra un pacifismo timido, incerto e prigioniero anch’esso dei propri schemi.
La liberazione delle due Simone: il mondo pacifista si è isolato? Il sequestro delle due cooperanti italiane suscitò per la prima volta un’ondata di indignazione che coinvolse gran parte del nostro paese, ma anche le comunità musulmane interne, come quelle dell’Iraq e dei paesi vicini, rompendo, anche in questo caso forse per la prima volta, la catena di incomprensione e di odio tra Occidente e Islam, per usare una generalizzazione molto in voga. La loro liberazione, che ovviamente non cambiava nulla sul campo della guerra mai finita all’Iraq o nell’ideologia dei terroristi, sembrava poter diventare simbolo tangibile che un’altra via, per combattere l’integralismo stragista, era possibile. Ma purtroppo il tutto si è risolto in un breve attimo di gloria mediatica, mentre una certa sinistra intimorita e confusa cedeva all’assalto dei vari Foglio, Libero, Il Giornale, uniti nella solita accusa di favoreggiamento ai tagliatori di teste, ai terroristi e alla guerriglia, solo perché le due Simone non predicavano la guerra preventiva e cercavano di incontrare, conoscere e aiutare il popolo iracheno.
Le due pacifiste, alle quali non potevano essere richieste analisi sociologiche, decisioni politiche o strategie militari, sono rimaste fino in fondo se stesse, sperando di tornare in quel paese così martoriato e morente. Dicendo che forse era possibile e doveroso ritirare le truppe italiane dall’Iraq. Dicendo che la guerra ha aggravato la situazione. Ringraziando non solo il governo e l’Italia intera, ma anche i musulmani e gli stessi iracheni.
Tuttavia sembra che anche il mondo pacifista non sia stato in grado di utilizzare questo positivo avvenimento per manifestare e sviluppare nella società e nella politica italiana un altro modo di procedere nella lotta al terrorismo. Piegato da altri tragici rapimenti e da altre efferate uccisioni, intimorito dall’ondata bellicista della destra, venato da alcuni eccessi di autocompiacimento e di moralismo, il pacifismo si trova ora isolato, chiuso e impotente. Certamente i mezzi di informazione non aiutano a portare alla luce un altro punto di vista e l’informazione a senso unico regna sovrana, tuttavia il mondo delle bandiere della pace ha bisogno di un salto di qualità, perché la situazione internazionale è sempre più ribollente e infuocata e la gente cerca risposte al di là delle manifestazioni e delle fiaccolate. Probabilmente manca anche un interlocutore politico capace di marcare nettamente la posizione su questo tema.
La destra verso il conflitto di civiltà? Il buon esito della vicenda delle due ragazze poteva servire anche al governo per recuperare un buon rapporto con i regimi arabi cosiddetti moderati, che devono temere il terrorismo più di noi e che devono essere lo strumento più importante nella comune lotta; ma guidato dalle esternazioni di guerra di civiltà del generale Marcello Pera ("L’Occidente deve combattere", "L’Europa è subalterna e non fa nulla", "Occorre difendere la nostra identità anche con la guerra") che ormai supera Bush, Oriana Fallaci e Baget Bozzo, il nostro governo sembra orientato a continuare lungo la strada tracciata da Berlusconi fin dall’inizio della guerra. Anche se all’interno del governo ci sono posizioni più sfumate, come quella del ministro degli esteri Frattini (che pare cominci ad essere malvisto da alcune personalità governative), tuttavia nella maggioranza ci sono forze politiche schierate per lo scontro totale.
Anche Fini, che oscilla fra posizioni puramente militariste e possibilità di una strategia più accorta, in questi ultimi tempi si è lanciato in campagne al limite dell’incredibile, ma in verità ben studiate e premeditate: dall’attacco contro i pacifisti del 18 settembre ("Vi invito ad una mobilitazione per la pace contro il pacifismo, che è una caricatura della pace. Ponzio Pilato fu il primo pacifista della storia") alla caricaturale rappresentazione di San Francesco che, secondo il vice premier, permetteva l’utilizzo delle armi (il poverello di Assisi sarebbe andato con un carro armato in Iraq?) al rapporto privilegiato con una parte, per fortuna ancora minimale ma di grande peso, come il cardinal Ruini, della gerarchia vaticana favorevole alla guerra globale. Poi interviene il presidente della camera Casini con toni più morbidi e concilianti, e il balletto continua: il governo e la maggioranza dunque, con un colpo al cerchio e uno alla botte, aspettano di sapere come evolva la situazione, a partire dall’esito delle elezioni americane da cui purtroppo dipende anche la politica estera italiana.
Nel bombardamento mediatico ed ideologico a cui siamo ormai sottoposti da mesi, dall’una e dall’altra parte del fronte della guerra globale e infinita al terrorismo, le prime vittime continuano ad essere la verità e il realismo. E così accade che dal fronte interventista l’Iraq stia diventando come Stalingrado, cioè l’ultimo baluardo, da difendere fino alla morte, di fronte all’avanzata nazista-terrorista (dimenticando il fatto che i russi combattevano per la patria e per il proprio territorio invaso); per l’ala pacifista l’Iraq è paragonato alla città spagnola di Guernica (come affermato recentemente dall’esponente diessino Mussi), simbolo dei bombardamenti franchisti durante la guerra civile spagnola, immortalata dal celebre quadro di Picasso.
Il centro-sinistra resterà unito sulla politica estera? Il centro-sinistra vive ancora un momento difficile da cui questa volta sembra essere in grado di uscire: con un minimo denominatore comune in politica estera l’Ulivo riuscirebbe a superare una certa posizione subalterna di questi ultimi mesi. Certamente ha ragione Eugenio Scalfari che nell’editoriale di domenica 10 ottobre scriveva su Repubblica: "Il terrorismo vuole che il livello di violenza aumenti, non che si attenui. Perché la violenza è il cibo che lo nutre, ne alimenta la diffusione, ne allarga il consenso". Il problema all’ordine del giorno è quindi come pacificare l’Iraq, e bisogna valutare attentamente se da solo il ritiro degli italiani andrebbe in questa direzione.
Il disastro della guerra irachena è davanti ai nostri occhi e nei prossimi giorni il quadro diverrà ancora più drammatico, in quanto pare che il comando militare americano stia per sferrare una massiccia offensiva contro le città in mano ai ribelli.
La sinistra dovrebbe cercare, e pare lo stia facendo in questi ultimi giorni dopo l’incontro con Prodi di lunedì scorso (incrociando le dita, visto che le tentazioni suicide sono sempre presenti nell’Ulivo), una sintesi su una strategia anti-terrorismo diversa da quella della destra, non limitandosi a parlare della situazione irachena, ma curandosi dell’insieme dei conflitti in atto.
E questa strategia dovrebbe fare tesoro anche della liberazione delle due pacifiste, puntando sul rapporto privilegiato con i paesi arabi che tentano la via delle riforme interne.
Non solo: non si parla più del conflitto israeliano palestinese se non attraverso i soliti e purtroppo inutili appelli di Ciampi o del Papa. Questa è una chiave di volta decisiva per la lotta al terrorismo globale e che incredibilmente viene cancellata: mettere al centro del dibattito la situazione mediorientale, seguire i movimenti che anche in Israele spingono per un ritorno al negoziato di pace sarebbe un’altra iniziativa utile anche per la sinistra italiana.
Ancora Scalfari: "Per sconfiggere il terrorismo bisogna sfogliarlo foglia per foglia. La prima foglia da togliere è la Palestina, per evitare che vi attecchisca la malapianta del terrorismo globale e islamista."
Ritengo sbagliato chiudersi nell’unica idea che il terrorismo sia una rappresaglia per la guerra; in realtà è qualcosa di complesso, che deve essere considerato non come un blocco unico ma come un insieme variegato di gruppi islamici con strategie diverse. Cercare la complessità, non pensare che ci siano soluzioni univoche, mettere in campo un programma culturale e politico che ci consenta di distinguere i musulmani riformisti da quelli più tradizionalisti, i tagliagole razzisti e bombaroli da chi non vuole una presenza militare occidentale del proprio paese, le rivendicazioni dei Ceceni dai terroristi che uccidono i bambini, distinguere la situazione in Afghanistan dalle bombe in Spagna. Se invece si continua, come avviene ora da parte di Pera e compagni, a unificare i gruppi resistenti con l’insieme di quelli terroristici nell’unica guerra-religiosa-globale-contro-l’Occidente, il fronte antioccidentale crescerà, si rafforzerà e farà fronte comune in maniera sempre più minacciosa e pericolosa.