Street art: gallerie a cielo aperto
Tra graffiti, stencil, adesivi, mosaici, disordinazioni segnaletiche...
Sotto il generico nome di street art si racchiudono variegate modalità d’espressione artistica, accomunate da un fattore: il loro svolgersi per strada, gratuitamente godibili dall’occhio vigile del curioso come da quello distratto del passante. Tag (è il logo, la firma del writer), graffiti, stencil, adesivi, perfino mosaici e disordinazioni segnaletiche invadono ormai le grandi e piccole città, talvolta pungendo di creatività brutti, grigi ed anonimi paesaggi suburbani (e subumani), talvolta invece imbrattando antichi monumenti già martoriati da incuria ed inquinamento.
Una eterogeneità creativa che talvolta giunge a risultati perfino commoventi: che dire dei lavori dello svedese Peter Baranowski, che applica minuscoli abiti in stoffa all’umanità stilizzata dei segnali stradali? E dei calligrammi di Zys, che decorano il bianco delle strisce pedonali di Tokio? E degli alieni di un noto videogioco, la cui forma a pixel è stata riprodotta con tessere di mosaico da Space Invader in capitali di mezzo mondo? E delle spine elettriche che escono da veri sportelli bancomat, dipinte dal belga Plug con bombolette spray? E del gioco-progetto The art of urban warfare,consistente nel riprodurre a stencil il maggior numero di sagome di soldatini negli spazi di molte città?
E questi sono solo alcuni casi in cui la perizia pittorica degli artisti è marginale. Se per una panoramica soprattutto iconografica più completa rimandiamo al bel sito www.streetlogos.com, ricco di decine e decine di links, ospitiamo di seguito un intervento-intervista a Roberto Malpensa, dal 1992 attivo nel campo della street art e del writing, collaboratore della rivista "Artlab", ed ideatore di varie pubblicazioni, tra cui "Pressure" e "Taking Over", nonché autore del reportage fotografico "Agitare prima dell’uso".
Quando e come nasce la street-art?
"La street art, o meglio quel mix di adesivi, stencil, volantini e interventi grafico-pittorici che viene così definito negli ultimi anni, nasce e si evolve da una costola del writing, dal quale prende l’idea di ripetizione ossessiva e il modo di rapportarsi agli spazi urbani, ai mezzi di trasporto e ad alcuni materiali. Sappiamo che nella prima metà degli anni ’90 alcuni noti writers francesi lasciano il writing più tradizionale, per elaborare dei veri e propri logotipi costituiti da lettere ed elementi figurativi. Di lì a poco, in numerose città francesi, il collettivo Space Invaders realizza una vera e propria invasione di alieni, derivando l’iconografia da un videogioco e riproponendola su piastrelle e composizioni a mosaico. Stabilire con certezza quando nasca il fenomeno è però impossibile, in quanto si possono trovare alcuni precedenti sia in Europa che negli Stati Uniti".
Esistono opere "monumentali"?
"A livello di writing c’è il pezzo lungo cinquanta metri e alto quasi dieci eseguito illegalmente dalla Crew C4 sulla parete di una fabbrica di Marsiglia, visibile dalla linea ferroviaria, e la ripetizione della sua tag in quasi tutte le città e ferrovie d’Italia da parte di un writer romano di nome Hekto. Per la street art vanno sicuramente ricordate le campagne Obey Giant (www.obeygiant.com) e Space Invaders (www.space-invaders.com), che hanno avuto una diffusione globale oltre ogni aspettativa, arrivando a generare anche un notevole merchandising, o l’opera di persone come Banksy (www. banksy.co.uk), che è riuscito a far parlare di sé e delle tematiche che propone ogni tipo di testata giornalistica del Regno Unito".
Qual è la filosofia del writer?
"Non esiste una filosofia comune: c’è chi preferisce la quantità alla qualità, chi preferisce la dimensione legale e rilassata alla visibilità di luoghi senza permesso o chi intende il writing solo nella sua applicazione sul treno. Nella maggior parte dei casi però non c’è solo la voglia di marcare il territorio: c’è la volontà di elaborare qualcosa di proprio e riconoscibile, di farlo meglio degli altri e di fare in modo che sia il più visibile possibile".
Esiste un’etica della street art?
"Anche in questo caso non esiste un’etica condivisa. Nel writing coprire opere altrui è universalmente segno di poco rispetto, ma per quanto riguarda monumenti ed edifici storici, le opinioni sono purtroppo molto diverse: c’è chi li considera off-limits e chi non fa differenze, deturpando tutte le superfici che incontra. Nella street art si cerca di raggiungere il più possibile gli spazi più visibili senza fare troppa differenza tra un muro antico o meno, forse ritenendo che interventi come stickers o volantini incollati possano comunque essere rimossi senza lasciare gli stessi segni lasciati da una tag; c’è anche chi all’interno della street art vede i monumenti addirittura come bersaglio preferito per realizzare una impresa di impatto maggiore rispetto a qualsiasi altro elemento urbano".
Graffiti, writing, adesivi, a parte le tecniche, hanno una loro specificità?
"Nel writing, come dice il nome stesso, l’importante è scrivere, interpretare ed evolvere lettere, come riportato in un’intervista ad un writer milanese:’Puoi essere bravo a disegnare, a creare personaggi, ma se non fai le lettere sei un bravo decoratore, non sei un writer’.
Nella street art si cerca di elaborare una o più immagini legate a volte ad un messaggio, a volte semplicemente riconducibili alla stessa mano, e di farle conoscere grazie alla ripetizione ossessiva talvolta con leggere varianti. Purtroppo però la notorietà viene ottenuta spesso più grazie ad un’attività di autopromozione via web, che effettivamente ‘sul campo’, cosa quantomeno incoerente per chi opera in ambiti legati in maniera indissolubile alla dimensione urbana".
Dov’è più facile incontrare interventi di writing e street art?
"Sia gli interventi di writing sia quelli di street art sono ormai facili da incontrare in ogni città, con una concentrazione particolare in quei luoghi e su quegli elementi dell’arredo urbano che consentono una visibilità maggiore: dai muri delle linee ferroviarie a quelli visibili da autostrade e tangenziali, dai pali dei semafori ai cartelli stradali".
La street art è un linguaggio globale o esistono delle specificità locali?
"Essendosi diffusa così tanto e così in fretta, la street art ha sicuramente assunto un carattere di linguaggio più globale che locale, portando persone di luoghi diversi e lontani a produrre adesivi o stencil molto simili per soggetto o trattamento dell’immagine; va detto però che chi porta avanti un proprio percorso in maniera ragionata e coerente, tende a far confluire nella propria produzione elementi della realtà che lo circonda e delle esperienze che vive: chiari sono per esempio i riferimenti a San Francisco e San Diego e l’influenza dell’arte e messicana in autori come Barry ‘Twister’ McGee e Dave Kinsey".
Quanto influisce il business sulla street-art?
"L’idea di poter produrre una serie di gadget, adesivi, magliette o cappellini e venderli una volta imposto un simbolo, ha portato molti autori a fossilizzarsi su poche immagini senza continuare ad evolversi.
Ci sono però alcuni casi in cui il merchandising è diventato una parte coerente di alcune campagne di street art: il collettivo Space Invaders, dopo i primi interventi in alcune città francesi, ha prodotto e venduto le cartine geografiche che mostravano i punti delle città raggiunti dagli alieni, riuscendo così a finanziare parte degli interventi successivi. Una volta ‘invase’ abbastanza città e fatto conoscere globalmente il progetto, ha fornito attraverso il proprio sito web le istruzioni e i kit di tessere da mosaico utili a persone di tutto il mondo per riprodurre nella propria città gli ormai famosi alieni e continuare così l’invasione".
Le opere di street art hanno un carattere per lo più effimero. C’è qualcuno che si sta prendendo la briga di catalogarle o comunque documentarle nella loro molteplicità?
"Sia sul writing che sulla street art sono già stati pubblicati svariati libri, a cui si vanno ad aggiungere le riviste di settore e il numero sempre crescente di siti web dedicati a questi argomenti. La parte testuale è a volte carente o scritta da chi dell’argomento conosce ben poco, ma almeno a livello di raccolta di immagini, queste pubblicazioni offrono una buona documentazione del fenomeno".