Dove porta il protezionismo
L'inchiesta sugli appalti, il protezionismo verso le imprese trentine, i finanziamenti alla politica.
In questi giorni si sta sviluppando un’approfondita inchiesta della magistratura sugli appalti pubblici in Trentino. Non intendiamo entrare nel merito di un lavoro che si preannuncia complesso e importante.
Vogliamo invece spendere due parole sul quadro complessivo, sull’humus dentro cui sono sorte le ipotizzate distorsioni.
A nostro avviso tutto nasce infatti dalla pretesa dorotea di pilotare politicamente gli appalti. In nome di una – ahimè condivisa – necessità di "garantire le imprese trentine". Che quindi si dà per scontato che siano – e non possano non essere – industrialmente inferiori alla concorrenza; e che quindi abbiano bisogno di una pelosa "protezione".
Certo, gli alibi accampati non mancano: gli altri sono troppo grossi – le imprese francesi o tedesche - oppure brutti sporchi e cattivi – quelle delle altre regioni - e non rispettano le norme antinfortunistiche, i subappalti ecc. Però non si ovvia consorziandosi e diventando grandi; né richiedendo uno stretto (e peraltro doveroso) controllo sulle prescrizioni ad iniziare da quelle antinfortunistiche. Agli amministratori si chiedono le scorciatoie. E questi ben volentieri le accordano.
Ecco quindi nascere gli incredibili appalti-spezzatino, per aggirare le gare europee e procedere per affidamento diretto (Lo spezzatino di Grisenti & Dellai). Ecco, soprattutto, instaurarsi un vizioso e collusivo intreccio: l’impresa vince la gara con un ribasso stratosferico, fuori dalla logica economica; poi potrà contare sulla benevolenza dell’amministratore quando ci saranno varianti in corso d’opera, riserve e quant’altro, per far lievitare opportunamente i costi. Ed ecco le imprese costruttrici diventare generose finanziatrici della politica.
E’ in questo contesto che nasce il verminaio su cui sta indagando la magistratura.
Un contesto che non sviluppa certo – ricordiamolo – la managerialità imprenditoriale: la testè fallita impresa Chini (vedi Gli amici del mattone) era finanziatrice della Margherita (che nel palazzo Onda – appunto della Chini - ha la propria sede, dopo che Dellai ne aveva comperato, con i soldi del Comune di Trento, l’immenso garage lasciato puntualmente inutilizzato).
Tangentopoli sembra non aver insegnato nulla, sulla fragilità di un’economia basata sulle protezioni politiche.