Jumela: il Principe, i giudici, la democrazia
Viene al pettine uno dei nodi fondamentali del governo Dellai: la demolizione dell’autonomia e credibilità delle strutture tecniche.
"Per ben due volte la struttura della Provincia ci ha portato in una situazione indifendibile. Non si possono più fare brutte figure di questo tipo". Con queste parole l’assessore Claudio Molinari centra - a suo modo, come vedremo - il problema. Dopo la seconda bocciatura degli impianti della Jumela da parte del Tar, viene posto in discussione uno dei nodi più significativi del governo di Lorenzo Dellai: il rapporto del "Principe" con i suoi tecnici, il ricorrente contrasto tra il volere del politico e le ragioni della conoscenza tecnica.
Rivediamo sotto questa luce la vicenda.
Nella seconda metà degli anni ’80 la zona che da Pozza di Fassa arriva al Ciampac, attraverso il Buffaure e la Val Jumela, viene inserita nel Piano Urbanistico Provinciale come area potenzialmente sciabile, previo esame della Via (Valutazione d’impatto ambientale). Questa decisione costituisce un evidente compromesso tra le spinte che da Pozza di Fassa chiedono impianti, e quelle opposte che rivendicano l’integrità del prezioso e incontaminato habitat della Jumela. Arbitro della scelta viene quindi ad essere l’Ufficio Via, chiamato a decidere quali delle due esigenze, quella economica o quella ambientale, debba prevalere.
Negli anni successivi viene elaborato un ulteriore compromesso: si dà il via a una coppia di impianti in località Buffaure, dichiarando che con questi le esigenze di Pozza sono da considerarsi esaudite. Naturalmente non è così: gli impiantini hanno vita grama, e nel ’97, la Giunta provinciale - presidente Andreotti, assessore Leveghi - stipula solennemente un ulteriore compromesso (sottoscritto dalla società impiantistica): viene permesso l’ampliamento dell’area sciistica del Buffaure, ma si considerano "pienamente soddisfatte e concluse le esigenze di sviluppo della zona Buffaure, e completato lo sviluppo delle aree sciabili e sistemi di piste e impianti previsti dal Pup nella zona Val Jumela". Sembrerebbe un punto fermo definitivo, sostenuto da motivazioni tecniche che spiegano ad abundantiam i no ad un’invasione della preziosa valletta, la cui "importanza ambientale è talmente evidente da doversi evitare qualsiasi intervento di carattere antropico."
Discorso chiuso? Neanche per sogno. La società Buffaure, che opera in una zona non a caso giudicata inadeguata, versa in una crisi profonda; e individua come unica soluzione ai conti in rosso un ulteriore ampliamento (naturalmente finanziato dai contributi provinciali) e il collegamento, attraverso la Jumela, con l’area sciistica del Ciampac. Quindi, in occasione delle elezioni del ’98, l’azionariato diffuso della Buffaure stipula, attraverso la formazione politica ladina UAL, un accordo sottobanco, vero voto di scambio, con il candidato Lorenzo Dellai: noi ti appoggiamo se tu, diventato presidente, stracci la delibera del ’97 e dai il via agli impianti. Vinte le elezioni, la UAL pubblicamente rivendica il proprio "diritto": poche storie, Dellai deve onorare il patto.
Si giunge così nel 2000 alla presentazione di un progetto per gli impianti in Val Jumela, fortemente sostenuto dallo stesso presidente della Giunta provinciale.
Ma nel frattempo sono cambiati alcuni dati del problema. L’evoluzione del turismo evidenzia una contrazione della domanda di sci, e un’espansione di quella di naturalità. In questo nuovo quadro il progetto Jumela - ampliamento di un comprensorio sciistico insufficiente (il Buffaure) attraverso nuove piste poco attrattive (perché tali sarebbero, dal punto di vista tecnico, le piste nella Jumela) verso un altro comprensorio di media attrattività (il Ciampac) - sembra più che un disegno economico, un rilancio disperato, alla ricerca di nuovi soldi pubblici, da parte di una società (la Buffaure) in gravi, strategiche difficoltà. Il tutto però a scapito, oltre che dei soldi del contribuente, dell’integrità del territorio e delle prospettive di un nuovo turismo ecologico, che si dovrebbe invece cominciare a perseguire.
Tutto questo porta il presidente Dellai, ormai sostenitore a spada tratta del progetto, ad una serie di scontri. Sul piano politico con la sinistra; sul piano sociale con un’area d’opinione che va molto oltre il mondo ambientalista; sul piano tecnico con la struttura interna. Qui tralasciamo i primi due aspetti (risoltisi il primo con la resa e la marginalizzazione della sinistra, il secondo con le contestazioni in tribunale che hanno bloccato il progetto); ci concentriamo invece sul terzo, i rapporti con l’apparato tecnico.
E’ infatti nel Comitato Provinciale per l’Ambiente che esplode la contraddizione: quell’organismo deve esprimere un parere tecnico su un argomento in merito al quale il potere politico ha già deciso, in base a proprie convenienze elettorali. Così si arriva ad una frattura: le conoscenze di scienza e tecnica da una parte, i calcoli elettorali dall’altra. Il Comitato esprime parere negativo, la Giunta provinciale se ne infischia, e ugualmente approva il progetto.
Ma così non si può fare, e il Tar, in seguito a un’azione intrapresa dalle associazioni ambientaliste, boccia la Giunta.
Com’è noto, la Buffaure e Dellai non si danno per vinti e ripresentano un nuovo progetto. I cambiamenti sono minimi; quello che però è cambiato è il Comitato per l’Ambiente. Il lavoro di Dellai avviene in parte alla luce del sole (depotenziamento della Via con una legge ad hoc, vedi V.I.A. libera); e in parte sott’acqua: pressioni, spostamenti, sostituzioni dei funzionari provinciali non manovrabili.
Il risultato è che il "nuovo" progetto della Buffaure viene approvato, con il voto contrario degli esperti esterni, ma con il compatto voto favorevole dei funzionari provinciali.
Però questo risultato bisogna motivarlo. E qui casca l’asino. Come "denuncia" l’assessore Molinari, i tecnici provinciali, pressati dai politici, compiono il pasticcio: scrivono una relazione secondo scienza e coscienza, elencando cioè tutte le motivazioni per cui gli impianti non si devono fare; ma poi al momento delle conclusioni...
Vediamo. "La Val Jumela - scrive il Rapporto Istruttorio della Via - rappresenta una zona della Val di Fassa con elevato valore paesaggistico e ambientale, caratterizzata da un isolamento antropico... Nella maggior parte delle altre valli laterali la pressione antropica ha raggiunto livelli elevati con evidenti fenomeni di degrado e perdita delle caratteristiche paesaggistiche e ambientali. (...) Lo sviluppo delle aree sciistiche in Val Jumela aggredisce un lembo rimasto integro di questa regione conosciuta in tutto il mondo. Il grande sviluppo di impianti e piste nell’area del Superski-Dolomiti e l’attuale livello di offerta di piste nei comuni di Pozza e Alba non giustificano(sottolineatura nostra, n.d.r.) in termini di adeguamento della domanda turistica, l’ulteriore ampliamento in Val Jumela". E avanti così; le conclusioni sui danni alla flora, all’assetto geomorfologico, al paesaggio, sono drastiche; le parole che continuamente ricorrono sono "gravi danni" e "irreversibile compromissione".
Ma non basta. Anche da un punto di vista strettamente contabile (il dare-avere delle attività economiche), si sottolinea come quegli impianti siano negativi proprio per Pozza di Fassa, dove si ha una maggior presenza di turisti nella stagione estiva, dovuta "alle maggiori attrattive escursionistiche legate ad un ambiente meno infrastrutturato e spesso maggiormente protetto".
E per finire, il Rapporto strapazza l’idea che il collegamento sciistico possa "essere concepito quale sistema di trasporto che permette l’alleggerimento del traffico sulla viabilità della Val di Fassa".
Insomma, un no argomentatissimo e categorico, su tutti i fronti.
Dopo di che, la piroetta finale. Si prescrivono alcuni pannicelli caldi e si conclude - con una prosa contorta, rivelatrice della mancanza di convinzione - che "il rispetto di tutte le limitazioni e prescrizioni può fornire alla società proponente (la Buffaure, n.d.r.) un motivo di valorizzazione turistica della stazione portando e valorizzando, come immagine e come educazione per i propri utenti, lo sforzo attuato per la realizzazione di un intervento di rilievo sia per l’economia della zona (ma non si era detto che era controproducente?, n.d.r.) sia per il rispetto dei valori storici paesaggistici e naturalistici (ma non si era detto che era devastante?, n.d.r.) che la risorsa Val Jumela ha conservato negli anni." Insomma, parole in libertà, che terminano con una chiusa da consumati politicanti: "La realizzazione di un collegamento sciistico che tende ad essere ‘ecocompatibile’ deve essere il vero motivo di sfida...".
E’ accettabile? Si possono fare studi che indicano una cosa chiara e precisa, e poi concludere l’opposto?
Il Tribunale Amministrativo Regionale ha detto che non si può. Ha sospeso la delibera di Giunta, rilevando che "sono ravvisabili aspetti discordanti e di possibile contradditorietà". Non è possibile fondare atti amministrativi su rapporti tecnici che difettano così gravemente di logica.
Il fatto va oltre il caso in sé. E riguarda una questione centrale: la legittimità del potere. Può il politico fare quello che gli pare? Infischiarsene di motivazioni e comitati tecnici? Tirare le conclusioni che vuole?
Quando saranno note le motivazioni della sentenza, approfondiremo la questione; per intanto si possono trarre alcune considerazioni interlocutorie.
Per due volte la Giunta Provinciale è stata fermata su questo scoglio. Ha ragione Molinari. Ma non nel senso che intende lui ("è colpa dei tecnici"); ma nel senso che il politico non può né contraddire il parere del tecnico (primo progetto Jumela) né costringere il tecnico (secondo progetto) a tirare conclusioni in palese contraddizione con i suoi studi.
Questo è un punto centrale nello stile di governo - ma anche nella sostanza - della Giunta Dellai. Per lo meno su altre tre questioni (aeroporto, inceneritore, PiRuBi) abbiamo un’azione politica che bellamente se ne infischia delle risultanze tecniche.
Tutti gli studi, le relazioni, il semplice buon senso dicono che un aeroporto a Trento è una fesseria? La coppia Dellai-Grisenti imperterrita va avanti lo stesso.
E’ stato istituito un comitato di esperti nazionali per valutare se è proprio il caso di procedere con l’inceneritore? Dellai (vedi scheda a lato) se ne infischia, stipula accordi con Mantova per bruciare nel nostro inceneritore (ovviamente dato per scontato) i loro rifiuti.
Decenni di studi tecnici provano la dubbia redditività economica della PiRuBi, la scarsissima incidenza sul traffico della Valsugana, l’aggravamento di quello sull’Autobrennero, l’intasamento dell’interporto, il peggioramento della qualità dell’aria a Trento? Dellai-Grisenti se ne sbattono, diffondono dati fasulli (vedi Sette domande sulla PiRuBi) rifiutano il contradditorio e vanno avanti, "i No alla Valdastico sono ideologici!".
E casi analoghi si sono verificati nel Comitato agricolo (con le dimissioni del prof. Daidola di cui abbiamo già parlato, vedi Maso Franch: tecnico scomodo? Basta sostituirlo!); oppure nel Comitato per la bioetica (che dovrebbe vigilare sull’introduzione degli Ogm in Trentino, e in cui sono stati nominati tutti e solo scienziati favorevoli agli Ogm, vedi OGM: il harakiri della Pat, ulteriori particolari).
Insomma, è una costante: la giunta Dellai non tiene in alcun conto i pareri tecnici contrari; oppure modifica gli organismi tecnici per avere pareri allineati. Tutto questo comporta una conseguenza di grande peso: la delegittimazione del momento tecnico. Che o non conta niente perché viene dribblato; o non conta perché esprime pareri evidentemente preconfezionati.
Ma così si minano le basi stesse dell’autorevolezza della scelta politica, che non appare più supportata da studi e dati oggettivi, ma risulta arbitraria, frutto del mero volere del Principe.
In realtà Dellai sa bene che non può spingersi sulla strada, un po’ grottesca, di un novello autoritarismo (il Principe che decide da solo, senza rendere conto ad alcuno). E quindi il momento tecnico cerca di utilizzarlo; non c’è occasione in cui non dica (inceneritore, PiRuBi, ecc.) che "la decisione passerà al vaglio degli organismi tecnici, della Via", ecc. Ma poi ogni volta i tecnici vengono sbugiardati, o messi in angolo, o in minoranza da funzionari provinciali a loro volta obbligati ad allinearsi.
Una dinamica rovinosa. Che rende poco credibili tante, troppe decisioni politiche.
E allora non c’è da meravigliarsi se le decisioni finali è costretto a prenderle il Tar. O i cittadini con i referendum.