Val Jumela: i nodi vengono al pettine
Gli effetti dello strappo della Jumela: Trentino senza politica, Ulivo senza illusioni. E il Dellai decisionista resta senza niente in mano.
E’ riesplosa la Jumela. La questione, che già aveva rappresentato il punto di svolta della giunta Dellai, l’inizio della precipitosa discesa della giunta di centro-sinistra, è tornata alla ribalta. Cassando la delibera che dava il via libera ai contestati impianti, il Tar non ha solo salvato una piccola valle incontaminata, ma ha messo a nudo il nulla della politica provinciale. Riepiloghiamo i fatti.
A Pozza di Fassa, negli anni scorsi si è costituita, con un forte azionariato popolare, una società, la Buffaure, per la costruzione di impianti di risalita in zona. L’opposizione degli ambientalisti a uno sfruttamento delle valli San Nicolò e dei Monzoni porta a un compromesso: gli impianti verranno realizzati sul monte Buffaure e aree circostanti. Non tutti i monti si prestano a ospitare piste da sci: occorrono pendenze, dislivelli, esposizioni adeguate; anzi, "i versanti pienamente utilizzabili sono rari" - ci ricordava il compianto ing. Umberto Groff, responsabile del Servizio Impianti a fune della Pat; e il Buffaure non è fra questi.
Ma non importa. Da una parte sembra che il destino di una località sia segnato se non ha un proprio sistema di impianti a fune. Dall’altra un sistema di generosi contributi della Provincia permette di realizzare qualsiasi cosa, anche economicamente strampalata. Un’apposita legge provinciale finanzia gli impianti a fune con contributi fino al 65%. Con incentivi di tal genere, un impianto prima lo si fa, poi si vede se ha senso; e così accade per il Buffaure.
Frattanto lo sci si evolve: i materiali sempre nuovi e le tecniche sciistiche più raffinate elevano di molto il livello dello sciatore medio, in grado di macinare chilometri e chilometri di pista in una giornata. Si afferma quindi una richiesta di piste lunghe, abbastanza impegnative, collegate fra loro (i "caroselli"); o, in alternativa, uno sci di nicchia: impianti specializzati per bambini, o piste emozionanti e poco battute per sciatori esperti, o altro ancora.
La Buffaure non offre niente del genere, ha poche piste banali, e quindi vuote. I bilanci, nonostante le continue iniezioni di miliardi provinciali, si tingono di rosso.
La risposta è l’allargamento di un’offerta inconsistente: nuovi impianti (tanto, ci sono i contributi, erogati in percentuali tra il 20 e il 35%) e nuove piste mediocri. Il rosso dei conti diventa sempre più profondo.
In quest’ottica si arriva alla Jumela, valle incontaminata, da anni studiata dagli scienziati: attraversandola con seggiovie si arriverebbe a collegare il Buffaure con la zona sciistica del Ciampac.
Sul piano tecnico-economico la cosa, ancora una volta, non regge: il Ciampac è un’area sciisticamente equilibrata (una bella, lunga pista che porta a valle, e diverse più facili in quota), ma non è certo l’Eldorado dello sci; e il percorso di collegamento (in andata e in ritorno) sarebbe insipido, un noioso spostamento. E’ facile prevedere che i nuovi impianti aggiungerebbero debiti ai debiti (Val di Fassa: il collegamento Buffaure-Ciampac).
Ma, coi miliardi dei contributi pronti, questi ragionamenti non si fanno: e così, con una serie di salti logici, si presenta la distruzione della val Jumela come l’ultima opportunità per la Buffaure, quindi per Pozza, quindi per Fassa.
In realtà la gente non abbocca: un sondaggio rivela che non solo in Trentino, ma anche in val di Fassa la maggioranza è contraria alla realizzazione. Ma ciò non conta: la lobby degli impiantisti è potente, può giocare da una parte sul risentimento dei piccoli azionisti, dall’altra sui collegamenti esclusivi che ha con i politici.
E qui arriviamo alla politica. A cominciare dalla politica turistica.
Il Trentino turistico infatti si trova ad affrontare un momento di svolta. Da un lato la globalizzazione che incide anche sul mercato turistico (Canazei è in concorrenza col mar Rosso); dall’altra l’inesorabile decadenza dello sci (Il declino dello sci: è ora di accorgersene), sport che da anni attrae sempre meno praticanti (tendenza arginata dal sopraggiungere dei turisti dell’Est; ma anche lì stan costruendo nuove stazioni…). I convegni all’uopo organizzati hanno indicato la via d’uscita: rafforzare i comprensori sciistici dove i caroselli offrono una domanda forte; nelle altre zone diversificare l’offerta, puntando alle nicchie del turismo ecologico, naturalistico, culturale, ecc.
Questa però è la teoria. Nella pratica i poteri forti (e/o ammanicati) di valle impongono un’altra strada: più impianti, più strade, più costruzioni (le seconde case in Trentino non si sono fermate mai), con ciò rovinando le premesse del turismo naturalistico e probabilmente anche del turismo tout court.
Di qui lo scontro emblematico sulla Jumela: deve prevalere il gioco di corto respiro (prendi i soldi, distruggi e scappa), oppure quello che guarda al futuro? Domanda retorica; nel Trentino di oggi prevale non la logica, ma la clientela: gli impiantisti fanno un patto elettorale (segreto) con Dellai, e questi impone il suo diktat agli alleati di Giunta, riottosi ma troppo deboli e attaccati alla sedia per opporsi seriamente (Val Jumela, il problema, ora è della sinistra).
Finché, in seguito a un ricorso degli ambientalisti, il Tar obbliga a un ritorno alla ragione, dichiarando illegittima la delibera, con una motivazione esemplare: "La Giunta provinciale non poteva certo privilegiare gli effetti socio-economici dell’opera (peraltro non dimostrati n.d.r.) rispetto alle fondamentali esigenze di tutela dell’area interessata".
La lobby impiantista si scatena. Senza pudori, rivela il patto scellerato (voti contro impianti: al limite del reato di voto di scambio), minaccia sfracelli contro l’insolvente Dellai e più in generale contro il Trentino, ventilando il passaggio della valle alla provincia di Bolzano. In realtà ad agitarsi è il solo Comune di Pozza, dove risiedono i piccoli azionisti della Buffaure; il resto della valle è molto più tranquillo, non si sogna di legare il proprio futuro ai destini di una società decotta; né il ritorno di fiamma per Bolzano, alla ricerca di una improbabile maggior permissività ambientale, è un’idea seriamente spendibile. Eppure la vicenda, a questo punto diventa, ancora una volta, rivelatrice.
Anzitutto della misera fine cui è destinata la politica di Dellai. Non solo per i limiti personali del "leader", ormai evidenti. Ma perché inadeguata ai tempi: il doroteismo, il clientelismo eretto a sistema, non sono defunti né per caso, né per un complotto di giudici comunisti, ma perché nell’Europa del duemila la società clientelare non ha più spazio.
E così in Fassa abbiamo l’insurrezione dei clienti, prima solleticati attraverso patti scellerati, e poi abbandonati quando ci si è accorti dell’impossibilità di accontentarli. Il punto vero sta nel manico: oggi con una politica fatta di contributi e disinvolture procedurali, non si va da nessuna parte. Si violano le leggi dell’economia, quelle della logica, si forzano le procedure amministrative, si perde il consenso della pubblica opinione: alla fine il castello di forzature non sta in piedi, e crolla miseramente.
Val la pena ricordare qual è stato il senso politico del diktat dellaiano sulla Jumela. Espresso in nome del decisionismo del "leader": "Basta discutere, occorre fare" e fare quello che dico io. Oggi si vedono i risultati.
Il punto è che lo strappo sulla Jumela corrisponde a livello locale, alla forzata staffetta Prodi-D’Alema a livello nazionale. In entrambi i casi questi passaggi hanno significato la rottura dell’incantesimo, la fine dell’Ulivo: la coalizione non più come momento propulsivo di un nuovo modo di governare, ma come teatro di giochi di potere, sganciati da ogni progettualità. Quelle cesure (Jumela e sostituzione di Prodi) hanno portato il disincanto nell’elettorato, la conflittualità (o un rancoroso vassallaggio) nelle forze politiche.
Tutto questo lo paga il Trentino (e rispettivamente l’Italia). Ne è difatti seguita una verticale perdita di autorevolezza del governo provinciale, che evidentemente non persegue alcun disegno di politica economica, turistica, ambientale, ma si barcamena con favori a questo o a quel potentato. E qui sta la vera radice del "Los von Trient" dei fassani: preoccupante non tanto per la sua realizzabilità, ma perché spia di un malessere che si va diffondendo. Se la politica provinciale si riduce a maldestre distribuzioni di risorse decrescenti, se il Trentino non promuove il presente e non progetta il futuro, perde esso stesso di senso. Ecco infatti avanzare molteplici tendenze centrifughe: oltre a Fassa, anche l’alta Val di Non guarda a Bolzano, Rovereto e Riva a Verona, le Giudicarie al bresciano, la Valsugana al vicentino…
E’ dai primi anni ’90 che il Trentino va avanti a tentoni, esprimendo governi debolissimi e inconcludenti. I nodi cominciano a venire al pettine.
A questo punto la palla torna alla sinistra. I fatti le hanno dato ragione (la Jumela era davvero un pasticcio inverecondo) e al contempo torto (aver finito con il subire il diktat per amor di carega).
Ora Dellai si balocca con nuove soluzioni, che sono nuovi pasticci. La prima soluzione è quella di opporsi alla sentenza del Tar, ricorrendo al Consiglio di Stato: il che vorrebbe dire perseverare nell’errore, per poi magari ritrovarsi tra un paio d’anni con un’ulteriore sentenza sfavorevole.
La seconda è quella di presentare un nuovo progetto di impianti, confezionato in modo da non essere più sottoposto alla Valutazione di Impatto Ambientale (secondo le nuove norme nel frattempo ad hoc confezionate). Questa soluzione sarebbe la peggiore: indicherebbe come la nuova normativa della Via - sciaguratamente patrocinata dall’assessore Iva Berasi (Lista Verde!) - altro non sia che un mezzo per sottrarre il controllo del territorio agli strumenti tecnici, e assoggettarlo invece alle mutevoli convenienze politico-clientelari. Un autentico golpe anti-ambientale, realizzato con la fattiva connivenza di una sinistra allo sbando (vedi V.I.A. libera).
Appunto, la sinistra. Cosa ha da dire? Come si sta attrezzando di fronte a questo passaggio?
"Aspettiamo di vedere le proposte di Dellai e della giunta - ci risponde Mauro Bondi, segretario dei Ds - Oltre alle due ipotesi da lei citate, c’è una terza: che si accetti il verdetto del Tar. Per noi infatti, con questa sentenza la questione è chiusa."
Così non sembra dalle dichiarazioni del presidente Dellai…
"Noi non ci basiamo su frasi riportate dalla stampa, ma su atti concreti. Fino a che non c’è una qualche posizione ufficiale, il problema Jumela non esiste".